REALPOLTIK, DALLA SASSONIA AGLI STATI UNITI CON FURORE

di Massimo Iacopi -

A lungo disprezzata, la Realpolitk conosce oggi, almeno a parole, un recupero di favori in Occidente. Grazie a un recente lavoro dello storico britannico John Bew possiamo conoscere meglio la genesi di questa nozione e i motivi del suo ritorno in auge.

Per lungo tempo la Realpolitik non ha goduto dei favori della stampa. Sinonimo di cinismo e di amoralità, essa serviva a stigmatizzare la fredda politica delle grandi potenze, chiusa ai sentimenti e alle considerazioni di ordine etico. Dare prova di Realpolitik significava, nella sua accezione negativa, affidare l’agire politico a una spregiudicatezza finalizzata all’utile del singolo Stato e, di conseguenza, la disattenzione rispetto alle eventuali ricadute di ordine morale. Ancora oggi questa connotazione negativa del termine rimane viva. Ma la Realpolitik non ha solamente nemici, perché sono numerosi quelli che vi scorgono non cinismo ma piuttosto prudenza e saggezza. Le recenti disastrose guerre d’Iraq e di Libia hanno contribuito non poco ad abbassare e ridurre le pretese universaliste democratiche e dei difensori dei diritti a tutti i costi.

Von Rochau, il fondatore

Il concetto di Realpolitik, ben lungi dall’opporsi storicamente alla nozione di idealismo e di progressismo, è stato inizialmente forgiato da un pensatore liberale, idealista e progressista.
È nel 1853 che il termine viene coniato dal giornalista e attivista sassone August Ludwig von Rochau (1810-1873), che lo impiega nel titolo del suo libro, Fondamenti della Realpolitik, di cui un secondo tomo appare nel 1868. Rievocando il fallimento della primavera dei popoli del 1848, alla quale ha preso parte, e più in particolare analizzando l’incapacità dei liberali nazionalisti tedeschi, ai quali appartiene, di realizzare l’unificazione degli Stati germanici, von Rochau invita il suo campo ad abbandonare la “politica dei sentimenti” (Gefühlpolitik) o dei principi (Prinzipienpolitik), per convertirsi a quella che egli designa con il neologismo di Realpolitik. Tuttavia, ciò non significa in alcun modo che occorra rinunciare ai sentimenti o ai principi, ma piuttosto che questi non sarebbero sufficienti a elaborare una politica efficace.
Von Rochau constata che ogni politica si basa, che lo si voglia o meno, sulla legge del più forte che “domina la vita interna dello Stato nello stesso modo in cui la legge di gravità domina il mondo fisico”. Anche se rimane convinto dell’importanza delle idee in politica, egli sottolinea, tuttavia, che non è la giustezza delle idee che ne determina la loro forza: non lo è proprio perché le idee liberali sono giuste ma non è detto che esse trionferanno come per incanto sull’ordine autocratico. Un concetto che Von Rochau riassume in una parabola biblica: “Per abbattere i muri di Gerico, il Realpolitiker sa che il più semplice dei picchetti gli tornerà molto più utile della più potente tromba”. Per Von Rochau non si tratta di abbandonare i propri ideali, ma piuttosto di capire che la nobiltà o la giustezza degli ideali, da soli, non sono in alcun modo pegno del loro successo.
A questo stadio del problema vale la pena di sottolineare due aspetti: in primo luogo, la nozione di Realpolitik è stata forgiata in un contesto politico interno e non riguarda la politica internazionale, alla quale essa sarà in seguito associata. In secondo luogo, l’inventore della nozione era un oppositore delle potenze della Santa Alleanza, a cominciare dall’Austria del conte Metternich, campione indiscusso della Realpolitik.

Internazionalizzazione del concetto

Il fatto è che il concetto sfugge ben presto al suo stesso inventore. Ripreso dal teorico nazionalista antisemita tedesco Heinrich von Treischke (1834-1896), che lo traspone nell’analisi delle relazioni internazionali, la nozione di Realpolitik offre un terreno fertile per l’elaborazione della “politica di potenza” (Machtpolitik) e della “politica mondiale” (Weltpolitik) in voga nella Germania unificata di Guglielmo II. È in questo modo che progressivamente, in particolare grazie alla penna dello storico Friedrich Meinecke (1862-1954), la Realpolitik diventa sinonimo di ragion di stato (Staaträson) e consente di giustificare l’imperialismo germanico in nome di obblighi superiori, che nessuna considerazione di ordine morale può mettere in discussione.
Al contrario, non sorprende il fatto di assistere allo sviluppo di una critica radicale della Realpolitk, assimilata all’autoritarismo e al militarismo prussiano di Otto von Bismarck, che appare ben presto come il successore di Metternich nel ruolo di perfetta incarnazione di tale atteggiamento. Vista da Londra o da Washington, la Realpolitik diventa a quel punto sinonimo di amoralismo, cioè di fine che giustifica i mezzi, ivi compresa la violazione di regole ritenute universali. Si è ormai ben lontani dalla Realpolitik, certamente pragmatica ma nondimeno liberale e progressista, teorizzata da von Rochau, il cui nome cade nell’oblio.

L’americanizzazione della Realpolitik

Se il termine conserva a lungo con una connotazione peggiorativa nel Regno Unito, il concetto di Realpolitik viene progressivamente ripreso da parte degli Americani che, inizialmente con precauzione e parsimonia, quindi in maniera convinta, finiranno per rivendicarne esplicitamente la paternità.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale il giornalista Walter Lippmann (1889-1974), che sarà più tardi all’origine dell’espressione “Guerra fredda”, chiama i suoi concittadini a dare prova “di un po’ di Realpolitik” a causa del particolare momento internazionale e a farla finita con l’isolazionismo. È ancora una Realpolitik all’americana, sinonimo di interventismo che non si oppone necessariamente all’idealismo wilsoniano, come più tardi si vedrà.
Ma è soprattutto durante la Guerra fredda che il processo di “americanizzazione” raggiunge il suo apogeo attraverso tre figure di spicco quali: Hans Morgenthau (1904-1980), infaticabile critico “dei quattro demoni della politica estera americana”, incarnati da “utopismo, sentimentalismo, legalismo e neo-isolazionismo”; George F. Kennan (1904-2005), che teorizza il containment, cioè l’arginamento dell’Unione Sovietica; Henry Kissinger, discepolo autoproclamato di von Metternich, al quale la nozione finirà per essere quasi meccanicamente associata nonostante l’interessato non lo abbia mai rivendicato esplicitamente.

Le origini teutoniche

È stato osservato come alcuni di questi proseliti americani della Realpolitik siano di origine tedesca. Morgenthau e Kissinger hanno trovato rifugio negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni antisemite naziste. La cosa non ha mancato di far scorrere fiumi di inchiostro, avendo più di qualcuno accusato entrambi di aver trasposto, anche se inconsciamente, una forma mentis teutonica nei discorsi accademici americani.
Nonostante le reticenze vive ancora oggi, la Realpolitik made in USA, ha comunque dato dimostrazione della sua efficacia nel venire a capo del nemico sovietico. Rimane da capire se ha ancora a che vedere con la dottrina teorizzata un secolo e mezzo fa da un oscuro attivista sassone.

Per saperne di più
Bew John, Realpolitik. A History, Oxford University Press, 2016
Doll Natasha, Recht, Politik und Realpolitik bei August Ludwig von Rochau (1810-1873), Vittorio Klostermann, Frankfurt am Mein, 2005
Trocini Federico, L’invenzione della Realpolitik e la scoperta della legge del potere. August Ludwig von Rochau tra radicalismo e nazional liberalismo, Il Mulino, Bologna, 2009.