UN MAGISTRATO ANTIFASCISTA

di Michele Strazza -

Bersagliere nella prima guerra mondiale, dal 1924 Pier Amato Perretta si oppose alla progressiva fascistizzazione della magistratura, ormai non più imparziale nei confronti dei cittadini. Arrestato, fu impossibilitato a svolgere anche la professione di avvocato. Durante la resistenza fu a Milano, con le Brigate Garibaldi. Morì nel 1944 tentando di fuggire alle SS.

Pier Amato Perretta nasce a Laurenzana, in Basilicata, il 24 febbraio 1885 da Fortunato e Vincenza Romano. Dopo aver frequentato i corsi di Giurisprudenza presso la Regia Università di Napoli, vi si laurea nel 1908.
Partecipa al primo conflitto mondiale e, al termine della guerra, è congedato con il grado di capitano dei bersaglieri e una medaglia d’argento al valor militare. Ritorna ai suoi interessi giuridici e si presenta al concorso per la magistratura, risultando il primo classificato. Con l’entusiasmo e la voglia di servire la giustizia, prende servizio a Napoli come uditore giudiziario. Di qui passa in Puglia, a Locorotondo (Bari) e, poi, a Conselve (Padova).
Il suo impegno in magistratura è continuo e infaticabile. Prende parte pure all’attività del Consiglio centrale dell’Associazione dei magistrati ma le pressioni degli ambienti fascisti, da lui vissuti come una ingerenza nell’autonomia dei giudici, lo portano a prendere sempre più le distanze fino a convincerlo a dare le dimissioni dall’organo rappresentativo della categoria.

Pier Amato Perretta

Pier Amato Perretta

Trasferitosi a Como, presso il locale tribunale, anche lì non vede di buon occhio le infiltrazioni fasciste. Siamo nel 1924, il regime sta iniziando il suo percorso di stabilizzazione ed egli riesce a fare approvare in un’assemblea di magistrati un documento proprio per l’indipendenza della magistratura. L’iniziativa contribuisce ad attirare l’attenzione su di sé delle autorità fasciste. Vengono redatti i primi rapporti su di lui e i vertici del tribunale comasco si mettono in allarme.
Così, nel settembre del 1925, un’inchiesta del procuratore generale nei suoi confronti si conclude con il trasferimento da Como a Lanciano. Perretta si appella inutilmente al Re: il regime ha decretato ormai la sua condanna politica come antifascista. Non gli resta che presentare le dimissioni da quella magistratura ormai non più imparziale nei confronti dei cittadini. Inizia l’attività forense ed entra nello studio legale dell’ex deputato socialista ed ex sindaco di Como Angelo Noseda, decisione che conferma i sospetti dei fascisti locali di essere entrato ormai nelle fila dell’antifascismo militante. Di conseguenza l’Arma dei carabinieri rafforza la sorveglianza sulle sue mosse.

Rilevato lo studio legale, il suo lavoro di avvocato si concentra sempre di più nella difesa degli oppositori del regime nei diversi processi politici. Nei dibattimenti si moltiplicano le sue arringhe con contenuti invisi al fascismo. Consolida i rapporti con gli ambienti antifascisti e aderisce a “Italia libera”. Nei rapporti dei carabinieri viene dipinto ormai come un elemento “pericoloso per l’ordine pubblico” e il cerchio della repressione comincia a stringersi intorno a lui.
Il 25 novembre 1926 viene arrestato in esecuzione di un ordinanza della Commissione Provinciale che lo assegna al confino per anni due. Viene inviato nel suo paese natale, Laurenzana, al fine di dargli la possibilità di procurarsi i mezzi di sussistenza, avendo una moglie e quattro figli. Viene, tuttavia, subito liberato il 20 dicembre di quello stesso anno a seguito della commutazione in ammonizione. Gli ambienti fascisti comaschi non gradiscono, però, la decisione e la prefettura è costretta ad adottare nei suoi confronti speciali misure di protezione per prevenire atti di vendetta.
Sottoposto a vigilanza speciale, è sospeso dal grado di capitano e, nel 1936, costretto a rinunciare anche alla professione di avvocato. Gli viene impedito lo svolgimento di qualsiasi altra attività, gettandolo in grosse difficoltà economiche.

Udienza in un tribunale speciale durante il fascismo

Udienza in un tribunale speciale durante il fascismo

Scoppia la seconda guerra mondiale e anche i figli di Perretta vestono la divisa militare. Nel 1941 il figlio Fortunato cade sul fronte albanese, mentre l’altro figlio, Giusto, viene fatto prigioniero. La notizia della deportazione in Germania di un terzo figlio, Lucio, ufficiale dei granatieri, lo getta nello sconforto ma rafforza le sue convinzioni politiche e la sua fiducia nella vicina caduta del fascismo.
Perretta saluta con gioia le conclusioni della seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943, intuendo, tuttavia, nuove sciagure per l’Italia. Il giorno successivo all’8 settembre lo troviamo ad arringare la folla a Como, in Piazza Duomo, speranzoso in un risveglio delle coscienze.
Con l’occupazione tedesca si sposta in Toscana, vicino Pisa, dove mantiene i contatti con i gruppi antifascisti di Firenze e Ancona. A febbraio del 1944 si iscrive al partito comunista e si trasferisce a Milano dove ottiene un importante incarico nel comando generale delle Brigate Garibaldi. E proprio in tale veste porta a termine delicate missioni in Lombardia e in Piemonte, mettendo a repentaglio la propria vita e sfuggendo più volte ai tentativi di catturarlo delle autorità di Salò che lo considerano un pericoloso avversario.

La morsa, tuttavia, si stringe intorno a lui e, la sera del 13 novembre 1944, viene sorpreso dalle SS e dai fascisti della “Muti” nel suo alloggio clandestino milanese. Tenta la fuga ma una raffica di mitra lo raggiunge alle gambe. Portato nell’ospedale di Niguarda, chiede coraggiosamente ai sanitari di non essere operato per non rivelare sotto interrogatorio informazioni importanti.
Sotto stretta sorveglianza dei repubblichini, muore due giorni dopo senza aver mai tradito i suoi compagni di lotta. Alla fine del conflitto Como gli dedicò una piazza. Tre anni dopo venne apposta la seguente epigrafe: “A Pier Amato Perretta / Magistrato-Avvocato / Garibaldino Martire della Libertà / 24 febbraio 1885-15 novembre 1944 / Andava per le case / a svegliare nell’uomo la coscienza dell’uomo / Viveva braccato dai / fascisti perché voleva / la lotta che conduce / alla pace, per questo / fu ucciso a tradimento / ed ora vive in milioni / di uomini”.

Per saperne di più

Archivio Centrale di Stato, Ministero Interno, DGPS, AA.GG.RR., Confino Politico, Fascicoli Personali, B. 779, fasc. Perretta Pier Amato, 1926-1927.
Sacco L., Provincia di confino. La Lucania nel ventennio fascistaSchena Editore, Fasano 1995.
www.anpi.it