1918: FINITA LA GUERRA, A EST SI GIOCANO I TEMPI SUPPLEMENTARI

di Massimo Iacopi -

Conclusa ufficialmente la Grande guerra, in Europa centrorientale la dissoluzione dei vecchi imperi scatena nuovi conflitti che faranno da incubatori alla Seconda Guerra Mondiale.

Nella memoria collettiva occidentale la Grande Guerra è terminata nel novembre 1918 a seguito degli Armistizi di Villa Giusti (fra Italia ed Impero austro-ungarico) e nel vagone di Rethondes (fra gli Alleati ed il Reich tedesco). In particolare, l’armistizio sulla fronte francese rappresentava il riconoscimento della sconfitta del Reich e costituiva la logica conclusione del ritiro delle forze armate tedesche, iniziato tre mesi prima. Il processo era stato accelerato dall’ondata rivoluzionaria che aveva guadagnato tutta la Germania nei primi giorni del mese di novembre. Di fatto, il 9 novembre 1918 il kaiser Guglielmo II era stato costretto ad abdicare e nel corso della stessa giornata era stata proclamata la repubblica.
Il bilancio umano della guerra era stato esorbitante: 18,6 milioni di morti, di cui 9,7 militari e 8,9 civili; 21,2 milioni di feriti, dei quali molti mutilati e sfigurati a vita. A ciò si aggiungevano le distruzioni di beni materiali e le devastazioni subiti dai territori luogo degli scontri. Anche se altri fronti si erano spenti qualche tempo prima, come quello est con l’armistizio di Brest-Litovsk in marzo (fra gli Imperi centrali e il nuovo governo bolscevico), o come quello dei Balcani con l’armistizio di Salonicco a settembre (capitolazione della Bulgaria) e con l’armistizio di Mudros di ottobre (capitolazione dell’Impero ottomano), la data indelebile resta il novembre 1918.

Il valzer dei Trattati

Caso della Russia a parte, questi armistizi saranno il preludio ai trattati di pace che dovevano mettere un termine definitivo alla guerra. I negoziati della conferenza di Pace di Parigi avranno il compito di dare una forma concreta ai trattati con gli Stati vinti e di fondare un nuovo ordine europeo, ufficialmente organizzato intorno al principio delle nazionalità. Nel giro di un anno e mezzo vengono firmati cinque Trattati: quello di Versailles con la Germania (28 giugno 1919), di Saint Germain en Laye con l’Austria (10 settembre 1919), di Neuilly sur Seine con la Bulgaria (27 novembre 1919), del Trianon con l’Ungheria (4 giugno 1920) e di Sevres con l’Impero ottomano (19 agosto 1920). Imposti ai vinti, questi accordi vengono negoziati all’interno del circolo ristretto delle grandi potenze, che ne fissano i termini.
In Occidente si ha l’abitudine di parlare dell’Europa di Versailles per definire la configurazione data al continente dalla Conferenza di Pace. Una formulazione, ad onor del vero, parziale e inesatta, in quanto l’espressione sottovaluta l’importanza degli altri trattati che hanno riconfigurato il volto dell’Europa centrale e sudorientale. In ogni caso, per i popoli di questi spazi, che ne siano stati beneficiari o vittime, i trattati si riveleranno carichi di conseguenze.
Bisogna comunque osservare che per tutto il periodo di negoziato dei trattati e anche oltre, le armi non hanno taciuto, specialmente a est, lungo una linea che andava dal Baltico al Levante. Questi conflitti non hanno avuto tutti la stessa importanza né la stessa durata. Tuttavia, derivano dalla stessa causa: la scomparsa delle grandi monarchie intorno alle quali la geografia politica dell’Europa era organizzata. Il fenomeno non ha avuto però lo stesso significato per tutti. L’Impero Austro ungarico e l’Impero ottomano, colpiti a morte, non sopravvivranno al conflitto mondiale. Per contro, né la Germania, né la Russia scompariranno dalla carta politica dell’Europa, anche se le dinastie regnanti erano state rovesciate. Sia l’una che l’altra subiranno le conseguenze della sconfitta, ma senza la rimessa in discussione della loro esistenza come Stato. La Germania perde molti territori venendo sottoposta a severe condizioni, tuttavia, non viene colpita né nella sua sostanza né nelle opere vive, conservando i mezzi per recuperare le forze e la sua potenza. Le stesse osservazioni vanno applicate al caso della Russia. Anch’essa era stata amputata di notevoli territori, ma la sua storia poteva continuare anche sotto un’altra bandiera.
Al di là di queste differenze, gravi sconvolgimenti politici faranno piombare alcuni di questi Stati, o quelli che sorgeranno dal loro smembramento totale o parziale, in un lungo periodo di incertezza e di tensioni. La scomparsa degli imperi determinerà numerosi problemi, specialmente quello del tracciato delle nuove frontiere, anch’esso strettamente collegato con la ripartizione geografica delle nazionalità. Se tali problemi risultavano preesistenti al disfacimento degli imperi, essi assumeranno comunque una nuova dimensione. Le violenze interetniche, una volta liberate dai vincoli imposti dalle strutture amministrative degli imperi, esploderanno sfociando in scontri armati che opporranno Tedeschi e Cechi in Boemia, Austriaci e Ungheresi nel Burgenland, Austriaci e Sloveni in Carinzia.

Rivolte rosse

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Soldati dei Freikorps a Berlino nel 1919

L’esempio della rivoluzione bolscevica si inserisce nel contesto dei traumi provocati dall’accelerazione degli eventi negli ultimi giorni di guerra. In tale contesto la Germania e l’Ungheria diventeranno, nel corso del 1919, teatri di sanguinose lacerazioni.
In Germania, il regime monarchico, travolto dalla rivoluzione di novembre, aveva ceduto il posto a un Consiglio di Commissari del Popolo diretto dal socialdemocratico Friedrich Ebert, che si propone di fondare una repubblica democratica. Ma, quasi subito, viene sfidato dal movimento degli Spartakisti, un’alleanza fra l’estrema sinistra socialista e i comunisti, guidata da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, che disconosce l’autorità di Ebert e si prepara a rovesciarlo con le armi per installare un potere basato sul modello sovietico. Il governo tedesco disponeva di pochi mezzi per opporsi all’insurrezione spartakista lanciata il 6 gennaio 1919. Ma, già dal 10 novembre 1918, Ebert, che alla guida del partito socialista aveva sostenuto lo sforzo bellico fino alla fine, aveva concluso un accordo con il maresciallo Paul von Hindenburg, capo del Grande Stato Maggiore tedesco, sulla base del quale, l’esercito tedesco in caso di sommossa sarebbe intervenuto per reprimerla. E’ proprio ciò che avverrà nel caso degli Spartakisti. Certo, dal mese del novembre 1918 la situazione era mutata. Una parte delle truppe era stata smobilitata dopo il rientro in Germania e molti reggimenti erano stati contaminati dalla propaganda rivoluzionaria. In ogni caso, unità rimaste fedeli verranno messe a disposizione del Consiglio dei commissari del popolo, la cui figura centrale nel corso di queste giornate cruciali diventerà Gustav Noske. Quest’ultimo può contare anche sul concorso dei Corpi Franchi, formazioni di volontari costituiti al di fuori dell’esercito. Un’ostilità radicale nei confronti dei “rossi”, così come la difficoltà di reinserimento nella vita civile dopo gli anni passati in trincea, senza trascurare la prospettiva di un salario in un periodo di incertezze economiche, costituiscono le motivazioni di questi volontari, dei quali Ernst von Salomon ha tracciato un ritratto nel romanzo autobiografico I proscritti. Dopo otto giorni di accaniti combattimenti, le forze riunite del governo legale riescono a sconfiggere gli insorti, una vittoria accompagnata da una terribile repressione, fra cui spicca l’esecuzione di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht.
La settimana rossa di Berlino non costituisce un evento isolato. Lo stesso scenario si ripete a Monaco di Baviera. Qui la monarchia bavarese era stata travolta dalla rivoluzione agli inizi del mese di novembre. Sulle rovine dello stato si era formato un governo, frutto dell’unione di diverse fazioni socialiste, con a capo Kurt Eisner. L’assassinio di Eisner, il 21 febbraio 1919, lascia il campo libero agli elementi più radicali che insediano una Repubblica dei Consigli, mentre il governo legale si stabilisce a Bamberga e in paese bande comuniste organizzano “battute contro gli aristocratici”. Per riconquistare Monaco il governo riunisce una forza di 50 mila uomini, composta da truppe regolari e da Corpi Franchi, fra i quali quello del colonnello Franz Von Epp. Il contrattacco, lanciato il 1° marzo 1919 riconquista la in breve la città. Ha inizio, a quel punto, la caccia ai rivoluzionari e, come a Berlino, la repressione sarà terribile, con un bilancio di almeno un migliaio di morti.
In Ungheria, dopo la scomparsa della monarchia, la confusione regnava sovrana. Poco dopo le dimissioni del conte Mihaly Karolyi, eletto alla guida della Repubblica democratica ungherese nel novembre 1918, un’alleanza fra comunisti e social democratici insedia il 21 marzo 1919 una repubblica dei Consigli, dominata dalla figura di Bela Kun. Kun porta avanti una doppia politica di recupero dell’Ungheria nelle sue frontiere storiche e di collettivizzazione. Se il primo obiettivo gli apporta le simpatie nell’opinione pubblica al di fuori dell’ambiente operaio, il secondo viene accolto con grandi riserve dal mondo contadino, deluso dalla mancata scelta sulla redistribuzione delle terre. La Repubblica dei Consigli, contestata all’interno e all’esterno, instaura un regime che provocherà dalle 500 alle 600 vittime. L’impresa della riconquista delle province perdute ottiene qualche successo, specialmente in Slovacchia, ma servirà a scatenare contro il Paese una larga coalizione che riunisce, sotto il patronato della Francia, la Cecoslovacchia, la Serbia e la Romania. Punta di lancia di questa reazione sarà l’esercito rumeno, che spingerà la sua offensiva fino a Budapest, che conquista il 4 agosto 1919 e che occuperà fino alla metà di novembre dello stesso anno. Bucarest potrà vantarsi di aver tenuto il ruolo di bastione contro il bolscevismo, una tesi ancora oggi fortemente sostenuta dagli storici rumeni. Tre giorni prima della caduta di Budapest, crolla la Repubblica dei Consigli, dopo una vita di 133 giorni, un periodo sufficientemente lungo per imporre un regime di terrore ai suoi oppositori, utilizzando bande di giovani fanatici conosciuti sotto il nome di “ragazzi di Lenin”. La partenza delle truppe rumene lascia però lo spazio libero all’azione della contro rivoluzione. L’esercito nazionale, riunito a Seghedino dall’ammiraglio Miklos Horthy, l’ultimo comandante della flotta austro-ungarica, marcia su Budapest, conquistandola. Al terrore rosso si sostituisce il “terrore bianco”, che provocherà più di cinquemila vittime.

Guerra civile russa

L’offensiva rumena in Ungheria sarebbe stata seriamente contrastata se i Sovietici avessero potuto soccorrere la rivoluzione ungherese. Ma l’Armata Rossa subisce nello stesso momento un rovescio in Ucraina e il progetto non trova pratica esecuzione. Questo episodio si inscrive nel contesto generale della guerra civile russa scoppiata appena un mese dopo la presa di potere da parte dei Bolscevichi e che durerà fino al 1922. Suddivisa in diversi fronti, la guerra si estende ben presto sull’insieme del territorio del defunto impero zarista, dalla Finlandia fino all’Estremo Oriente. In reazione alla pace di Brest-Litovsk, con la quale si mobilita il senso patriottico russo, si organizza la resistenza al nuovo potere bolscevico. Le diverse opposizioni (socialisti rivoluzionari, menscevichi, monarchici) entrano nella lotta armata contro il regime dei soviet. Questi, a sua volta, organizza numerose minoranze nazionali del Paese, mentre alcune potenze straniere (Tedeschi, Americani, Inglesi, Francesi, Giapponesi) intervengono nel conflitto.
Fra tutte le forze impegnate sul terreno, le più temibili sono le Armate Bianche dei monarchici. Agli inizi dell’autunno del 1918, il territorio controllato dai Bolscevichi, assaliti da diversi lati, si è ristretto e assomiglia a una fortezza assediata. Dal punto di vista del rapporto di forze la bilancia era a favore dei nemici della rivoluzione. Tuttavia, al termine del conflitto sarà proprio la rivoluzione a uscirne vincitrice. I bolscevichi avevano dovuto affrontare tre Armate Bianche: a sud l’esercito dei volontari comandato dal generale Anton Ivanovic Denikin, a nordovest l’esercito del generale Nikolai Judenich, nella Siberia occidentale l’esercito dell’ammiraglio Alexander Vasilievic Koltchak, rinforzata da circa 40 mila uomini di una legione di volontari cechi e slovacchi. Ciascuna di queste armate riporta alcuni successi iniziali, ma nessuna riesce a trasformarli a proprio vantaggio e tutte alla fine verranno sconfitte.
Questo sviluppo degli eventi si spiega in parte con la mancanza di coordinamento fra le forze bianche, riflesso delle divisioni e delle gelosie fra i diversi capi, in parte con la limitatezza e l’eterogeneità delle forze delle potenze straniere. Per minacciare la rivoluzione bolscevica sarebbe stato necessario un intervento di massicce dimensioni. Inglesi e Francesi rifornirono di armi il generale Denikin, l’aviazione inglese intervenne nell’estremo nord. George Clemenceau ipotizzò una operazione in grande stile in Ucraina con l’impiego delle truppe dell’Esercito d’Oriente, ma poi ritornò sui suoi passi: dopo oltre quattro anni di guerra in trincea l’opinione pubblica francese non era più disposta a seguirlo. Infine, e forse soprattutto, i Bolscevichi dimostrarono una disciplina e a una organizzazione superiori, in parte basate su strutture repressive come la Ceca. Al di là di queste considerazioni, la guerra civile russa è l’incubatrice dei crimini di massa del XX secolo. La presenza di numerosi ebrei nel Komintern, aumenta l’antisemitismo già tradizionale dei “Bianchi”. I pogrom perpetrati dalle armate bianche causeranno centinaia di migliaia di vittime, in una drammatica anticipazione dei ben più elevati bilanci della Shoah. Ma il terrore rosso non rimane con le mani in mano. Oltre ai numerosi crimini della Ceca, vale la pena ricordare l’assassinio della famiglia imperiale nella notte fra il 16 e il 17 luglio 1918; la messa fuori legge della Chiesa ortodossa con l’esecuzione di più di mille pope e 25 vescovi; l’attivazione di un sistema di campi di concentramento (più di 100 già nel 1920) che sopravvivrà alla guerra civile; i primi processi politici truccati, come quello dei capi socialisti rivoluzionari nel 1922; la repressione nel sangue delle rivolte contadine, come quella di Tambow nel 1921.

Linee di spartizione

Se i Bolscevichi riescono a ristabilire il loro controllo nel cuore del vecchio impero, la Russia deve registrare almeno tre rovesci lungo i suoi margini. La serie ha inizio con la perdita della Finlandia nei primi mesi del 1918. Appoggiati dalla divisione del generale tedesco di origine estone Rudiger von der Goltz, i “Bianchi” ottengono il sopravvento e lo conservano al prezzo di una repressione spietata, con non meno di 35 mila vittime (uno dei primi massacri di massa). Il potere bolscevico subisce un’altra sconfitta nei Paesi baltici. La Russia era stata spossessata della sua sovranità su questi territori dal trattato di Brest-Litovsk. Secondo i termini dell’armistizio di Compiègne le truppe tedesche che vi erano ancora schierate avrebbero dovuto evacuare la regione. Purtroppo, di fronte alla minaccia di una invasione da parte dell’Armata Rossa, gli Alleati rivedono la loro posizione e in tale contesto, mentre vengono costituiti governi indipendenti, i corpi franchi tedeschi riuniti in una divisione hanno il compito di costituire il bastione di difesa contro l’Armata Rossa, specialmente in Estonia e in Lettonia. In tal modo, il Baltikum (altro nome attribuito ai Corpi Franchi) con il concorso di unità delle giovani repubbliche, riesce a respingere i tentativi russi. Ma dopo la conquista di Riga a danno dei Russi (22 maggio 1919) la guerra cambia fisionomia. I Corpi Franchi si rivolgono contro gli alleati di ieri, con l’obiettivo di far rientrare questi paesi nel campo della Germania, ma l’impresa non sarà coronata da successo. Alle prese con gli eserciti della Lettonia e dell’Estonia, sotto la pressione degli Alleati, i Corpi Franchi del Baltikum vengono richiamati in Germania, mentre una parte di questi aderirà alle forze dei “Bianchi”.
La Polonia è il terzo fronte dove i Bolscevichi subiscono uno scacco e dove si si oppongono due ambizioni contrarie. Per i Russi la Polonia costituisce il punto di passaggio indispensabile per l’estensione della rivoluzione a ovest e, più in particolare, in Germania. Per i polacchi, avendo il trattato di Versailles lasciato nel vago la questione delle frontiere a est, si trattava di ricostituire la Grande Polonia precedente la spartizione del 1772. Il 6 maggio 1920 una fulminate offensiva porta i Polacchi fino a Kiev. Ma questa vittoria è di breve durata. L’altrettanto fulminante controffensiva dell’Armata Rossa, comandata dal generale Tukaschewski, si spinge fino alle porte di Varsavia. Per evitare alla Polonia un disastro gravido di conseguenze per la stessa Europa, la Francia rifornisce di armi l’esercito polacco, affiancando anche una missione militare guidata dal generale Maxime Weygand. Recuperate le forze, l’esercito polacco, guidato da Josef Pilsudski, vince verso la metà dell’agosto 1920 la battaglia di Varsavia e quindi lancia un contrattacco che respinge il nemico a più di 400 chilometri. Il trattato di Riga, del 18 marzo 1921, mette fine alla guerra. Esso sanziona il fallimento dei Bolscevichi di aprirsi la strada verso la Germania. Da parte polacca, le frontiere orientali vengono spostate 150 chilometri più a est della ipotizzata linea Curzon tracciata dagli Alleati durante i negoziati di pace di Parigi.
Sul suo fianco sudovest la Polonia viene impegnata in un altro conflitto. Si tratta dell’alta Slesia, disputata fra Germania e Polonia. Il trattato di Versailles aveva previsto un plebiscito per risolvere la questione. Il voto del 20 marzo 1921 attribuisce la maggioranza ai Tedeschi, ma in condizioni di forte dubbio. L’Alta Slesia diventa a quel punto teatro di uno scontro armato fra i Polacchi di Wojciek Korfanty e i Corpi Franchi tedeschi. Il conflitto viene alla fine risolto con un arbitrato internazionale che decide la spartizione della provincia.
Ci si batte anche in Estremo Oriente. Prima ancora della firma del trattato di Sevres, Francesi, Italiani e Greci avevano iniziato a ritagliarsi alcuni lembi dell’Anatolia. A questo palese attentato all’integrità della Turchia si oppone una violenta reazione patriottica. L’esercito di Mustafà Kemal attacca i Greci. La fortuna delle armi conosce anche dei rovesci. Dopo aver subito una cocente sconfitta a Inonu, i Greci avanzano sino alle vicinanze di Ankara, ma nell’agosto 1922, dopo tre anni di scontri, Mustafà Kemal riporta la vittoria decisiva, che ributta un milione e mezzo di Greci verso il mare. Il trattato di Losanna, che cancella in gran parte quello di Sevres, viene firmato il 24 luglio 1923: sanziona la fine di 25 secoli di presenza greca in Asia minore, mentre i Turchi riprendono il controllo di Costantinopoli, della Tracia orientale e dell’Anatolia.
I tempi supplementari si avviano ormai alla conclusione. Uno dopo l’altro i fronti si sono stabilizzati, ma il fuoco cova ancora sotto la brace. Le soluzioni escogitate, spesso imposte, hanno lasciato uno strascico di frustrazioni e risentimenti che si riattizzeranno allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

Per saperne di più
Jean-Marie Le Breton, Una storia infausta: l’Europa centrale e orientale dal 1917 al 1990, il Mulino, 1999.
Ernst von Salomon, I proscritti, Baldini & Castoldi, Milano, 2001.
Isaak Babel, L’armata a cavallo, Feltrinelli, 1955.
Marina Grey, Jean Bordier, Le armate bianche: Russia 1919-1921, Mondadori, 1971