MARCO ATILIO REGOLO, L’ONORE E LA SCONFITTA

di Massimo Iacopi -

La spedizione del console romano in Africa per abbattere Cartagine rimane un riferimento simbolico estremamente importante nella storia romana. Compresa la sconfitta nella battaglia di Tunisi.

Il conflitto che oppone i Cartaginesi ai Romani, a partire dall’anno 264 a.C. presenta una prima svolta molto importante nel 256 a.C. con la battaglia navale di Capo Ecnomo (1), a sud di Agrigento. Mentre i Romani lamentano solo la perdita di 24 quinquiremi, i Cartaginesi ne perdono un centinaio: di queste 30 vengono affondate e 64 catturate. Per la prima volta Roma ottiene il controllo incontestato del mare e può ipotizzare la condotta di un’offensiva decisiva e diretta con obiettivo la capitale punica. A dire il vero, il piano d’operazione dei Romani era già quello di attaccare direttamente Cartagine ben prima della battaglia di Ecnomo: “Il piano dei Romani era di navigare verso l’Africa e di spostarvi il teatro di guerra per imporre ai Cartaginesi una lotta, non più per il possesso della Sicilia, ma per la loro esistenza e quella del loro paese” (2).
Dopo la vittoria, i due consoli in servizio, Lucius Manlius Vulso Longo e Marcus Atilius Regulus, ipotizzano di sfruttare il loro vantaggio per attraversare il Mediterraneo. A tal fine riequipaggiano e impiegano, per completare la flotta, i vascelli catturati ai Cartaginesi. L’operazione navale si sviluppa senza la minima opposizione nemica e le forze romane raggiungono la costa tunisina nei pressi del capo d’Hermée (3). Da quel punto, la flotta romana segue la costa verso sud fino alla città di Aspis, posta a tre giorni di marcia da Cartagine. L’esercito romano sbarca e mette l’assedio alla piazza, che viene rapidamente conquistata. I consoli decidono di tirare a secco le quinqueremi sulla spiaggia, proteggendole con una palizzata di un campo di fortuna. Da Aspis, dove insediano una guarnigione, Regolo e Vulsone richiedono istruzioni a Roma.

Gli inizi promettenti di Regolo in Africa

Atilio Regolo di ritorno da Cartagine, di Cornelis Lens

Atilio Regolo di ritorno da Cartagine, di Cornelis Lens

Disponendo ormai di una base, i consoli autorizzano i soldati romani a darsi al saccheggio come ricompensa degli sforzi già effettuati. L’esercito lascia il campo di Aspis e si disperde, senza incontrare resistenza, per saccheggiare le terre vicine. Le numerose e ricche fattorie puniche vengono messe al sacco e i legionari prendono tutti gli schiavi e il bestiame che vi trovano. Mentre gli animali sono trattenuti sul posto per il rifornimento in viveri dell’esercito, ben 20 mila schiavi sono imbarcati per l’Italia, dove saranno venduti.
E’ a quel punto che dal Senato arriva un nuovo ordine d’operazioni: “Viene comunicato da Roma che un solo console sarebbe rimasto sul posto con un numero di effettivi sufficiente, mentre l’altro riceve il compito di riportare la flotta a Roma”. (4) Polibio, le cui Storie costituiscono la principale fonte su questa campagna d’Africa, pur basandosi su lavori, oggi andati perduti, di Philinos di Agrigento, non riporta le ragioni della ripartizione dei ruoli fra i due consoli. Regolo, principale artefice della vittoria di Capo Ecnomo, appare comunque come migliore capo militare rispetto al collega e questo fatto basterebbe a spiegare la decisione adottata. Regolo, tuttavia, non rivendica la missione che gli è stata affidata. Al contrario, egli propone la sua sostituzione con uno dei consoli dell’anno seguente, proposta rifiutata dal Senato. La decisione è senza appello: Regolo diventa il capo dell’esercito romano in Africa e lo rimarrà anche per l’anno successivo. Egli proviene da un’onorata famiglia campana della gens Atilia, che ha già fornito diversi consoli alla Repubblica romana: suo padre, in particolare, è stato console nell’anno 294 a.C. e lui stesso è stato già console una prima volta nel 267 a.C., in sostituzione di Quintus Caedecius, morto agli inizi del mandato.
Polibio ci dice che Regolo mantiene ad Aspis alle sue dipendenze 40 vascelli, 15 mila fanti e 500 cavalieri. Si tratta dunque di un esercito consolare classico, composto di due legioni romane e due legioni alleate, ma con una leggera carenza di effettivi (5). La carenza era significativa nella cavalleria, soprattutto la difficoltà di trasportare i cavalli per mare. L’esercito di Regolo non risulta dunque particolarmente potente, soprattutto per condurre una campagna lontana dalle basi e in pieno territorio nemico.
Tuttavia, i Cartaginesi non sono molto ottimisti. Essi nutrono dubbi sulla solidità della loro fanteria, fatto che li ha spinti a preferire i combattimenti navali. Dopo l’arrivo in Africa dei Romani scelgono di evitare lo scontro e di ripiegare su Cartagine. In questo luogo, in sicurezza, riorganizzano le forze e nominano due generali alla loro guida: Asdrubale, figlio di Annone, e Bostare. Essi richiamano anche Amilcare, detto Barak (Barca), a quel tempo in guarnigione a Eraclea, in Sicilia: quest’ultimo si porta rapidamente a Cartagine con un contingente di 5 mila fanti e 500 cavalieri.
I tre generali punici, sentendosi da quel momento abbastanza forti per contrastare i piani dei Romani, iniziano le operazioni per impedire ulteriori saccheggi. Mentre Regolo e il suo esercito investono la città di Adys, a 25 chilometri a sud di Tunisi, i Cartaginesi si insediano su una collina vicina allo scopo di soccorrerla, senza rendersi conto della difficile natura del terreno. In effetti, essendo troppo ondulato, si rivela sfavorevole al loro miglior strumento disponibile: la cavalleria e gli elefanti da guerra. Sono proprio i Romani a prendere l’iniziativa di passare all’attacco, con l’obiettivo di impedire alle forze puniche di schierarsi in terreno pianeggiante. Un contrattacco dei mercenari cartaginesi respinge l’assalto della prima Legione, che deve ritirarsi, ma essi si allontanano troppo dalla collina e finiscono per essere circondati – e massacrati – dal resto dell’esercito romano. Questo rovescio decisivo costringe le forze cartaginesi ancora intatte ad abbandonare le posizioni e a ritirarsi verso Cartagine, senza peraltro essere inseguite dai Romani. La cavalleria e gli elefanti cartaginesi escono in tal modo indenni da questa battaglia, che alla fine si conclude a vantaggio di Regolo. I romani possono così continuare nei loro saccheggi e conquistano ben presto Tunisi, che diventa la loro nuova base d’operazioni.
Questa nuova sconfitta, dopo quella di Capo Ecnomo, fa cadere Cartagine in uno stato di grande inquietudine, motivata soprattutto dalla debolezza dei suoi generali. Per contro, Regolo si impone come il padrone del gioco, minacciando Cartagine da sempre più vicino.

Negoziati infruttuosi

Forte dei suoi primi successi e del bottino ammassato, Regolo cerca di capitalizzare la sua posizione. Egli vorrebbe concludere la più presto la campagna, temendo di non essere ancora lui a capo dell’esercito per raccogliere i frutti della vittoria finale su Cartagine (nell’’eventualità che il Senato possa inviare un successore alla guida dell’esercito). Il console pecca a questo punto per eccesso di fiducia e sottovaluta la volontà di resistenza dei Cartaginesi proponendo loro un trattato di pace a condizioni particolarmente severe.
Non avendo alcun interesse ad accettare una capitolazione così dura, non molto dissimile da quella che i Romani avrebbero imposto se avessero conquistato Cartagine con la forza, i Punici rifiutano di negoziare con Regolo, che essi giudicano eccessivamente arrogante: “Il Senato di Cartagine, apprendendo le condizioni del console romano e sebbene essi avessero rinunziato a qualsiasi speranza di salvezza, assumono un atteggiamento coraggioso e degno e decidono di tentare ogni possibilità con tutti i mezzi possibili, subendo qualsiasi danno e tutti i rischi, per non essere costretti a subire una sorte disonorevole ed indegna del loro passato” (6). Regolo e Cartagine sono ormai condannati a combattersi fino alla sconfitta totale dell’uno o dell’altro.

L’arrivo di Santippe

Sebbene in una posizione di forza dal punto di vista militare, Regolo non rimane isolato in territorio nemico. Per quanto concerne i Cartaginesi, la disperazione li spinge ad adottare misure radicali, richiamando in città tutti i mercenari al loro servizio. E’ in questo situazione che Santippe, un “Lacedemone che aveva ricevuto un’educazione da Spartiate” (così Polibio), arriva dalla Grecia con un importante numero di mercenari. Santippe non è uno sconosciuto, ha già combattuto al servizio di Cartagine e ha guadagnato in diverse occasioni la fiducia dei soldati e il riconoscimento delle sue capacità da parte dei generali punici. A tutto questo va aggiunto il prestigio dell’educazione spartiate, ancora molto importante a quell’epoca nel mondo mediterraneo. Per questo fatto egli ottiene immediatamente l’ascolto dei dirigenti punici, quando afferma che i Cartaginesi non sono stati vinti da Regolo ma da loro stessi, a seguito di manovre avventurose e non idonee. Le sue considerazioni e i suoi progetti appaiono sufficientemente convincenti perché i magistrati di Cartagine gli affidino la direzione dell’esercito. Per lo storico Yann Le Bohec questa scelta testimonia di un’epoca della storia di Cartagine, marcata “da una forte regressione della parte affidata all’elemento punico ed un netto sviluppo del ricorso a combattenti stranieri e mercenari” (7). Questo fatto è anche rivelatore di una crisi del comando nell’esercito cartaginese, poiché il Senato locale preferisce affidare la condotta delle operazioni a uno straniero piuttosto che a generali provenienti dal suo interno.
Anche se le circostanze sono diverse, l’episodio ricorda l’alone di un altro grande militare spartiate, Gylippe o Gylippos, venuto ad assumere il comando delle truppe di Siracusa per salvare la città siciliana assediata dagli Ateniesi nel corso della Guerra del Peloponneso. Gylippe era stato inviato dalla sua città d’origine su consiglio di Alcibiade per aiutare una città alleata; Santippe è, per contro, un semplice mercenario, senza istruzioni da parte della sua madre patria. Tuttavia, oltre alla consonanza dei nomi, i due uomini condividono la fama di una formazione militare prestigiosa e il carisma di capi capaci di galvanizzare il morale delle truppe che comandano.
Santippe convince i Cartaginesi a entrare in campagna e a combattere solamente in terreno totalmente piatto. Egli, dal momento dell’assunzione del comando, si sforza anche di conferire alle truppe una disciplina sempre più stretta e una migliore capacità di manovra. I mercenari greci, arrivati con lui, lo aiutano probabilmente nell’inquadramento delle unità e nell’addestramento delle truppe puniche, che fino a quel momento avevano evidenziato un’insufficiente capacità tattica e di disciplina di fronte ai Romani. In tale contesto, il tempo perduto negli infruttuosi negoziati si ritorce contro Regolo, consentendo ai Cartaginesi di rinforzarsi e di trovare un capo militare di valore per guidarli nella battaglia decisiva.

I due eserciti si fronteggiano

Dopo diversi giorni di esercitazioni, l’esercito cartaginese, rinforzato da un gran numero di mercenari pagati grazie a una coniazione straordinaria di monete d’oro, è pronto per lo scontro. Polibio parla di un esercito di 12 mila fanti, 4 mila cavalieri e di un centinaio di elefanti da guerra. Gli elefanti cartaginesi sono elefanti africani, caratterizzati da grandi padiglioni auricolari, provenienti dalle foreste che esistevano a quei tempi a sud dell’attuale Tunisia. Gli effettivi riportati da Polibio sono oggi accettati dalla maggioranza degli storici militari (Frank William Walbank, John Francis Lazenby, Adrian Keith Goldsworthy, Yann Le Bohec), dopo che altri, come Gaetano De Sanctis, avevano espresso l’idea che fossero stati sottostimati per mettere in risalto i meriti di Santippe. Il lacedemone, rassicurato dal morale solido delle truppe poste sotto il suo comando, lascia Cartagine per marciare in direzione di Tunisi, città da poco conquistata da Regolo. I Romani, inizialmente sorpresi dall’avvicinarsi dei Cartaginesi, scelgono di accettare la prova di forza e installano il loro campo a meno di due chilometri da quello di Santippe.
La grande pianura nella quale si schierano i due eserciti non è stata identificata con certezza, ma l’ipotesi più probabile è stata descritta dal Le Bohec: “Regolo aveva installato un campo davanti a Tunisi, Orosio parla di Bagradas, l’attuale Ued Madjerda. Poiché é noto che gli avversari avevano fatto la scelta di un terreno piatto, si può pensare alla pianura che si estende fra questo fiume e la capitale attuale della Tunisia, a nord ovest della città” (8).
La vicinanza dei due eserciti rende ancor più inevitabile lo scontro ricercato dai capi. Sono i Cartaginesi a schierarsi per primi in ordine di battaglia. Santippe schiera gli elefanti da guerra in prima linea. Il loro numero, rispetto agli effettivi della fanteria, risulta 12 volte superiore a quello degli elefanti utilizzati da Pirro nella battaglia di Ascoli Satriano, a dimostrazione della loro importanza nel dispositivo cartaginese. Nonostante ciò, gli elefanti non coprono tutta l’ampiezza del fronte della fanteria, posta dietro di loro. La fanteria era composta per metà da mercenari (sulla destra) e da cittadini cartaginesi (sulla sinistra). Polibio riferisce di una “falange punica”, ma nessuna indicazione conferma che le truppe cartaginesi utilizzassero la lunga “sarissa” macedone, piuttosto che la lancia tradizionale. Per quanto concerne gli effettivi, la fanteria pesante era probabilmente schierata su 8-10 righe di profondità. Unità di fanteria leggera vengono disposte sulle due ali, i mercenari a destra e i Punici a sinistra. I 4 mila cavalieri sono ripartiti in due ali sul davanti della fanteria, anche risultato della somma di mercenari e Cartaginesi, ai quali vanno aggiunti alcuni contingenti numidi favorevoli a Cartagine.
Se lo schieramento deciso da Santippe è abbastanza classico, quello adottato dall’esercito romano, sembra più atipico. La formazione abituale degli eserciti romani dell’epoca è uno schieramento sfalsato su tre linee discontinue (Hastati, Princeps, Triarii): ogni legione dispone di 10 manipoli su ogni linea e i manipoli della linea successiva si dispongono davanti agli intervalli vuoti lasciati dallo schieramento della prima linea e così di seguito per i manipoli della terza linea. Ogni manipolo di hastati o di princeps risulta teoricamente schierato su una profondità di 6 righe, con 20 uomini sulla fronte. Gli spazi vuoti fra i manipoli di una stessa linea sono di norma della larghezza di un manipolo e, all’occorrenza, possono essere riempiti da un manipolo della seconda linea. Fra ciascuna delle tre linee, i Romani lasciano circa 100-200 metri di spazio libero: questi spazi possono essere ridotti o totalmente annullati in funzione dello sviluppo della battaglia.
Per affrontare Santippe, Regolo avrebbe scelto un’altra formazione. Secondo lo schema classico i velites (fanteria leggera) vengono schierati sulla fronte, con l’obiettivo di contrastare gli elefanti cartaginesi e la debole cavalleria romana viene ripartita sulle due ali. L’originalità dello schieramento si individua nel numero delle linee: cinque , forse sei, invece di tre, con spazi largamente ridotti fra di loro. Polibio dice che i Romani si sono schierati su una fronte meno ampia, ma con una maggiore profondità. L’obiettivo di Regolo era di affrontare al meglio la minaccia dei pachidermi punici, ma per contro la ridotta ampiezza dello schieramento offre a punici la possibilità di accerchiare il dispositivo romano con la cavalleria. Lo storico inglese Lazenby ritiene che almeno gli hastati e i princeps fossero allineati su due linee molto serrate, fatto che determina uno schieramento di ogni legione su 5 manipoli di fronte e quattro linee di due manipoli di profondità. I manipoli dei triarii, con effettivi inferiori alla metà, sono stati probabilmente disposti su una sola linea o, al massimo, su due linee.

La battaglia di Tunisi

Una battaglia porta in genere il nome della grande città o del fiume più vicino. In tale contesto molti storici, specialmente i francesi, hanno denominato “battaglia di Tunisi” lo scontro fra Regolo e Santippe, mentre gli storici inglesi parlano più spesso di battaglia di Bagradas, per distinguerla meglio dalla battaglia di Tunisi condotta, nell’anno 310 a.C. da Agatocle di Siracusa.
Nella primavera dell’anno 255 a.C. e su un territorio perfettamente piatto ha dunque inizio il combattimento, la cui prima fase consiste nella carica degli elefanti di Santippe, accompagnata, sulle ali, dall’azione della cavalleria punica. Lo storico tedesco Hans Dellbruck ricorda che, con le guerre contro Pirro, i Romani avevano appreso a conoscere e a combattere efficacemente gli elefanti di guerra. I veliti schierati davanti ai legionari, hanno il compito di crivellare gli elefanti di giavellotti nella speranza di costringerli a fare marcia indietro e quindi precipitarsi contro le truppe del loro campo. I movimenti a seguito di panico degli elefanti sono effettivamente incontrollabili, effetto già evidenziato in diverse battaglie. Ma questa volta gli elefanti arrivano a seminare il disordine nelle prima linea dell’esercito romano e non arretrano.
Ma l’avvenimento più importante dell’inizio della battaglia avviene altrove. I cavalieri romani, combattendo in condizioni di inferiorità di 1 contro 4, sono rapidamente messi in rotta dalla cavalleria cartaginese e costretti alla fuga, lasciando i fianchi delle legioni senza protezione. Il combattimento diviene particolarmente intenso e l’esercito romano incontra notevole difficoltà a mantenere la sua organizzazione manipolare: “quelli che facevano fronte agli elefanti, i primi, rovesciati dalla violenza di questi animali, spinti e schiacciati alla rinfusa e muoiono con le armi in mano, ma almeno l’insieme del dispositivo rimane intatto per un certo periodo di tempo in ragione della profondità dei ranghi successivi” (9).
Per Regolo l’unica salvezza consiste nel crearsi un passaggio fra gli elefanti per sfondare il centro della linea della fanteria cartaginese prima di venirsi a trovare circondato dalla cavalleria punica, già vittoriosa sulle ali. Mentre i veliti e i manipoli della prima linea si scontrano con gli elefanti, Regolo lancia un movimento in avanti con il resto delle sue legioni. L’impressionante schieramento in profondità è capace da solo di spaventare gli elefanti da guerra e le truppe che li guidano. L’avanzata dei manipoli romani è tuttavia disturbata dal disordine causato dalla carica iniziale degli elefanti. I legionari si trovano rapidamente in difficoltà sulla loro destra, mentre ottengono un parziale successo sulla sinistra, dove riescono a evitare una nuova carica dei pachidermi cartaginesi. A questo punto Santippe fa avanzare la sua fanteria contro i Romani per mantenere la pressione e limitare le possibilità di manovra dei soldati di Regolo, mentre questi ultimi stanno riorganizzando i ranghi alle spalle degli elefanti. I manipoli di sinistra che affrontano i mercenari punici riescono comunque a metterli in fuga lanciandosi al loro inseguimento. Questo successo locale viene conseguito da circa 2 mila legionari dell’ala sinistra del dispositivo romano. Questi soldati, grazie allo sfondamento, escono dal campo di battaglia per inseguire i mercenari in fuga fino al loro campo.
Sulla destra romana, le cose per Regolo si svolgono molto meno felicemente. I legionari devono in questo caso affrontare la falange cartaginese, i cui uomini sono ancora freschi, mentre i romani avevano dovuto affrontare numerosi sforzi per evitare gli elefanti. Ha così inizio il combattimento fra le due linee di fanterie, mentre i cavalieri punici iniziano a effettuare un vasto movimento di avvolgimento per cadere sul rovescio delle truppe di Regolo. In questo modo la cavalleria punica decide le sorti della battaglia. L’azione risulta, in effetti, devastatrice nei confronti dei legionari che sono ormai costretti a far fronte su tutti i lati. Polibio non fornisce molti dettagli sugli ultimi episodi della battaglia, salvo precisare che i legionari, una volta circondati, moriranno crivellati di frecce e giavellotti e schiacciati dagli elefanti, dai cavalieri e dalla falange cartaginese. Alcuni riescono a fuggire, fra i quali Regolo con i 500 uomini che l’accompagnano, ma essi vengono inseguiti e fatti prigionieri dalla cavalleria nemica.
La ritirata in terreno completamente piatto espone i legionari a un inseguimento senza scampo. Alla fine dei conti, solo 2 mila legionari dell’ala sinistra romana riusciranno a salvarsi e a raggiungere la località di Aspis. Il resto dell’esercito romano viene totalmente annientato, a parte i 500 uomini catturati insieme al comandante. I Cartaginesi hanno perduto circa 800 uomini, principalmente mercenari.
Il ritorno dei vincitori a Cartagine provoca una gioia indescrivibile, mente i sopravvissuti romani sono prostrati – e disonorati – per la sconfitta e la cattura. La battaglia di Tunisi è da catalogare fra i più importanti disastri della storia dell’esercito romano. Lo scontro presenta degli aspetti originali, come l’importanza della carica iniziale degli elefanti e altri, che spesso si ripetono nella storia, come l’accerchiamento dell’esercito romano, preso fra l’incudine della falange cartaginese e il martello della cavalleria punica vittoriosa. Polibio, pur sottolineando il ruolo decisivo della cavalleria, si preoccupa di precisare che per i due anni successivi alla battaglia di Tunisi, i Romani eviteranno di ingaggiare battaglia, a prescindere dalle circostanze favorevoli, contro un esercito cartaginese che schierava elefanti da guerra.

Regolo, eroe sconfitto e uomo d’onore?

Militarmente, la vittoria di Santippe salva Cartagine. Il Lacedemone, eroe discreto lascia l’Africa e i suoi “datori di lavoro” per rientrare a Sparta poco tempo dopo la vittoria. Le ragioni di questa improvvisa partenza non sono chiare. Sembrerebbe che lo Spartiate abbia voluto godersi il prestigio della sua vittoria, senza esporsi alle gelosie dei generali cartaginesi, che aveva fatto mettere da parte. I passaggi di Polibio sul percorso successivo di Santippe sono andati perduti. Secondo Diodoro Siculo le navi colate a picco o affondate dai Cartaginesi provocarono la morte del generale che li aveva salvati. Un’altra ipotesi, basata sugli scritti di San Girolamo, vuole che il vincitore di Regolo sia il Santippe al quale Tolomeo III affidò il governo di una provincia al di là dell’Eufrate. Nessuna delle due ipotesi è stata confermata o provata in maniera sicura.
Da parte sua, il Senato di Roma non può tollerare un tale fallimento. Viene inviata rapidamente una flotta contro Cartagine che riporta un’importante vittoria presso Capo d’Hermée, con la distruzione di più di 100 vascelli punici. Questo successo è temperato da un nuovo disastro romano: una tempesta colpisce la flotta vittoriosa sul cammino del ritorno affondandola per circa tre quarti. In seguito, il teatro d’operazioni principali si sposta nuovamente in Sicilia, dove Roma finirà per ottenere una rivincita decisiva sia in mare sia in terra.
E Regolo, cosa fa nel frattempo? Il console ha portato il suo esercito alla sconfitta, comandandolo davanti a Santippe, senza mettere in mostra grandi capacità militari e, soprattutto, senza la minima iniziativa per cercare di rovesciare la situazione. Egli, ad esempio, non ha adottato alcuna iniziativa seria per contrastare la cavalleria nemica, che risultava superiore alla sua, adottando per di più uno schieramento meno ampio sulla fronte, che se da un lato poteva essere più idoneo ad affrontare gli elefanti dall’altro facilitava le manovre di avvolgimento del nemico. In sostanza, sembra che la sua unica preoccupazione sia stata quella di parare la minaccia degli elefanti. In effetti, avrebbe potuto tentare di rinforzare significativamente la cavalleria con contingenti di Numidi, una popolazione che all’epoca non era in buoni rapporti con Cartagine. Al contrario, il capo spartano al servizio di Cartagine si è rivelato brillante e ispirato, sia nella preparazione, sia nell’esecuzione del piano di battaglia.
Per i Romani, la spiegazione della sconfitta di Regolo non va ricercata nelle carenze del comandante, ma più semplicemente negli effetti di una volontà divina, materializzata dall’intervento della dea Fortuna. La posterità, d’altronde, ha assegnato una posizione di rilievo a Regolo, specialmente grazie a Tito Livio e al suo racconto circa la sorte riservata all’eroe: Regolo sarebbe stato incaricato dai Cartaginesi di andare a portare delle offerte di pace a Roma e a negoziare uno scambio di prigionieri, promettendo di ritornare egli stesso a Cartagine, in caso di fallimento della sua missione.
Tito Livio afferma che Regolo ha spinto e convinto Roma affinché rifiuti di trattare con Cartagine, conservi i suoi prigionieri e prosegua fino alla fine la guerra contro Cartagine, prima di ripartire per la capitale punica e affrontarvi le conseguenze del giuramento. Ritornato nella città punica, i Cartaginesi condannano a morte Regolo e lo giustiziano con sordida raffinatezza, facendolo rotolare da una scarpata all’interno di una botte irta di chiodi. Occorre sottolineare che questa versione del racconto non viene confermata né da Diodoro Siculo, che racconta invece come Regolo sia morto di morte naturale, né da Polibio. Ci troviamo, in effetti, di fronte alla costruzione di un mito o quanto meno a un tentativo di abbellire aspetti di circostanze storiche poco felici per i Romani.
Marco Tullio Cicerone non cesserà, in seguito, di tessere le lodi di Regolo, contribuendo in tal modo, alla vittoria al tribunale della Storia della sua leggenda. Nei Doveri, Cicerone presenta Regolo come il paladino dell’onore: “E anche alcuni, spinti dalle circostanze, arrivassero a fare promesse ad un nemico, essi devono, su questo punto specifico, onorare la loro parola così come lo ha fatto Regolo”. Egli parla anche di “imboscata” tesagli da Santippe, minimizzando in tal modo il suo errore in quanto generale, pur continuando a vantare “la sua grandezza e il suo coraggio”. Cicerone, confuta, una ad una, nel libro terzo della sua opera, le obiezioni sollevate fino ad allora alla condotta di Regolo, lodando ancora una volta il fatto che egli abbia rispettato il giuramento, pur contratto con un nemico che l’aveva vinto. Cicerone non attacca Regolo per la sua sconfitta e lo rispetta per la promessa fatta al nemico, mentre condanna fermamente i consoli, vinti dai Sanniti nel combattimento delle Forche Caudine, accusandoli di avere in seguito negoziato la pace senza avere ricevuto l’ordine del popolo e del Senato. La sua conclusione sulla dirittura di Regolo è senza appello: “E’ chiaro che gli atti compiuti in una condizione di timore, di depressione, di abbattimento e di scoraggiamento – e questa sarebbe stata la condotta di Regolo se, per quanto riguarda i prigionieri, egli avesse dato un consiglio apparentemente orientato nel suo interesse e non nell’interesse dello Stato e se egli avesse voluto rimanere fra i suoi – non sono utili perché essi sono infamanti, brutti e vergognosi”.
Mettendo in primo piano il valore del giuramento presso i Romani, al di sopra del suo valore come comandante militare, Cicerone e Tito Livio hanno trasformato Regolo in un esempio eroico, che ha consentito, per certi aspetti, di dimenticare l’umiliante sconfitta di Tunisi.

Note

(1) Odierno Poggio Sant’Angelo, nei pressi di Licata, ricordata da Polibio come una delle più grandi battaglie navali dell’Antichità: nella giornata si sono scontrate circa 360 navi romane con 140 mila uomini contro 350 e 150 mila uomini dei Cartaginesi.
(2) Polibio, Storie.
(3) Nella punta nord ovest di Capo Bon.
(4) Polibio, Storie.
(5) Una legione, a quell’epoca, conta teoricamente 3 mila legionari (ripartiti in 20 manipoli di 120 uomini e 20 da 60 uomini), 1.200 veliti (fanteria leggera) e 300 cavalieri. Un esercito consolare completo avrebbe raggruppato intorno ai 18 mila uomini, di cui 1.200 cavalieri.
(6) Polibio, Storie.
(7) Le Bohec Yann, Storia militare delle guerre puniche.
(8) Le Bohec Yann, Storia militare delle guerre puniche.
(9) Polibio, Storie.

Per saperne di più

Delbruck Hans, Warfare in Antiquity, Bison Books, 1990
Diodoro Siculo, Bibliotheca historica
Koon Sam, Infantry combat in Livy’s battle Natrratives, BAR International Series, 2010
Le Bohec Yann, Histoire des guerres romaines, Tallandier, 2017
Le Bohec Yann, Histoire militaire des guerres puniques, Edition du Rocher, 1996
Marco Tullio Cicerone, I Doveri
Montagu John Drogo, Battles of the Greek and Romans Worlds, Frontline Books, 2015
Nicolet Claude, Rome et la conquete du monde mediterraneen, Tomo 2, PUF, 1989
Orosio, Storia contro i Pagani, tomo 2
Polibio, Storie, Libro 1
Sabin Philippe, Lost Battles, Continuum, 2009
Tito Livio, Storia di Roma.