MANLIO ROSSI-DORIA AL CONFINO IN BASILICATA

di Michele Strazza -

Durante il fascismo, il futuro economista e meridionalista fu inviato al confino in terra di Lucania. Una regione scelta dal regime anche per numerosi altri oppositori politici.

 

Le ragioni di tale scelta furono indubbiamente le più varie. A pesare maggiormente fu probabilmente quella logistica. La regione offriva un territorio abbastanza tranquillo, con piccolissime realtà comunali, abitate da una popolazione esigua, semplice e rassegnata. La situazione politica era sufficientemente calma e non esisteva una opposizione che potesse dare qualche fastidio.
Comunque, al di là delle motivazioni precise, la Basilicata – soprattutto la nuova provincia di Matera – fu tra le regioni con più alto numero di Comuni destinati a sedi di confino di polizia. A Pisticci, addirittura, fu ubicato un campo di concentramento per internati civili che vide passare, tra internati e confinati, oltre 1.300 persone. Si calcola che tra confinati e internati, in Basilicata transitarono oltre 5.000 persone, tra le quali  personalità di rilievo della cultura e della politica dell’epoca come Carlo Levi, Eugenio Colorni, Guido Miglioli e Camilla Ravera.

Manlio Rossi-Doria

Manlio Rossi-Doria

Anche l’economista e meridionalista Manlio Rossi-Doria venne confinato in Lucania. Nel novembre del 1930 era già stato condannato a 15 anni di carcere dal Tribunale Speciale per tentativo di riorganizzazione del Partito Comunista. Nel 1935 aveva lasciato il carcere, stabilendosi a Roma come sorvegliato speciale della polizia. A giugno del 1940 era nuovamente stato  arrestato e inviato al confino in Lucania, nel piccolo paese di San Fele. Lì lo aveva raggiunto la moglie Irene Nunberg con la figlia Anna.
Irene era una ebrea polacca, nata nel 1911 a Bezin, venuta in Italia ancora bambina con i genitori e il fratello. Aveva conosciuto Rossi Doria a Portici dove i due frequentavano gli studi di agraria. E, sempre nella Scuola di Portici, aveva anche frequentato Emilio Sereni e la fidanzata Xenia. Irene aveva subito condiviso con gli altre tre l’impegno antifascista e si era legata sentimentalmente a Manlio Rossi-Doria. E quando nel 1930 era stato condannato, aveva continuato ad essergli vicino, pur vedendosi negare i colloqui in carcere perché ritenuta sovversiva. Solo dopo la sua scarcerazione l’aveva potuto sposare e condividerne il destino di perseguitato dal fascismo.
A novembre la famiglia fu trasferita a Melfi dove nacque la seconda figlia Marina. Nella città normanna Manlio Rossi-Doria incontrò Eugenio Colorni, filosofo e personaggio di spicco del socialismo italiano, anche lui confinato a Melfi dopo aver trascorso un periodo a Ventotene dove, con Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, aveva partecipato alla stesura del noto Manifesto Federalista Europeo.

tessera-Partito-d-AzioneRossi-Doria rimase Melfi fino al 28 giugno del 1942 quando venne trasferito ad Avigliano, in Basilicata. Lì conobbe un altro confinato illustre, lo storico Franco Venturini. Quest’ultimo, con i suoi racconti sulle attività di Carlo Rosselli e di “Giustizia e Libertà” in Francia, preparò l’adesione del giovane studioso al Partito d’Azione clandestino. Anche ad Avigliano Rossi-Doria poté coltivare la sua passione per  gli studi agrari. Scrisse, infatti, alla  moglie rimasta a Melfi con le bambine: «Questo è un posto che mi si confà molto […]. Il paesaggio variatissimo […] stimola la mia passione da tecnico agrario […] e mi fa anticipare nella mente il tempo in cui mi potrò dedicare attivamente all’agricoltura vera  alla quale mi sento così preparato».
Restò al confino in Lucania fino al luglio del 1943 quando, con la caduta del fascismo, poté raggiungere Roma e partecipare alla direzione del Partito d’Azione. Del resto, l’adesione al nuovo partito era stato preparato anche dai contatti stabiliti dalla moglie di Eugenio Colorni, Ursula, nei suoi frequenti viaggi a Milano, con Ugo La Malfa e Lelio Basso.
A Roma, occupata dai tedeschi, insieme a lui operò anche la moglie Irene in qualità di redattrice di Italia Libera, quotidiano clandestino del Partito d’Azione. A novembre, Rossi-Doria venne arrestato proprio nella tipografia del giornale. Incarcerato, riuscì a fuggire e a riprendere la lotta sino alla liberazione di Roma.

Manlio Rossi-Doria  conservò sempre un buon ricordo del periodo in Lucania, considerato come una dura prova, tale tuttavia da rafforzare  i vincoli di solidarietà ed estendere le aspirazioni alla democrazia. Scrisse, infatti, successivamente: «Infinita fu la mia gioia nel ritrovarmi, per così dire, restituito all’Italia meridionale e alla campagna (alle quali avevo deciso di dedicarmi per ragioni politiche nel 1924, all’indomani del delitto Matteotti, quando si combattevano le ultime battaglie democratiche, per le quali l’impegno meridionalistica era essenziale) dalle quali ero rimasto lontano nei dieci anni dal 1930 al 1940. […] Gli anni del confino  sono stati uno dei periodi più belli della mia vita: la vita di paese con i contadini e i pochi confinati […], con la speranza crescente della fine del fascismo, con un intenso lavoro intellettuale […], è stata, infatti, una vita piena».

Per saperne di più
M. Rossi-Doria, La gioia tranquilla del ricordo. Memorie 1905-1934 – il Mulino, Bologna, 1991
S. Misiani, Manlio Rossi-Doria, un riformatore del Novecento – Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010
C. Poesio, Il confino fascista, l’arma silenziosa del regime – Laterza, Roma-Bari, 2011