QUATTRO MILITARI CATTOLICI NEI LAGER TEDESCHI (1943-1945)

di Pier Luigi Guiducci -

 

Sono diversi i militari cattolici che, nel 1943, rifiutando di collaborare con nazisti e repubblichini, subirono l’internamento in uno o più lager tedeschi (indicati con la sigla IMI: Italienische Militärinternierten). Tra queste figure, ne ricordo quattro. Si tratta del prof. Emanuele Sinagra, del giovane Renato Sclarandi, dello storico Vittorio Emanuele Giuntella e del prof. Giuseppe Lazzati. All’interno di realtà degradanti e sovente mortali, essi testimoniarono che la fede non è solo un incontro con il Signore, ma è anche una sequela. Entrando nella “valle oscura” accettarono umiliazioni di ogni tipo, ma non spensero la luce del proprio credo. In tal modo, anche chi si trovava in condizioni di sfinimento, di debolezza, di crisi, trovò in loro un sostegno e un accompagnamento nella speranza.

Emanuele Sinagra

Emanuele Sinagra

Emanuele Sinagra

Dal 1968 al 1975 ebbi modo di conoscere a fondo la diocesi di Palermo a motivo di un trasferimento paterno per motivi di lavoro. In tale periodo partecipai anche alle iniziative dell’Azione Cattolica di una parrocchia (“San Giuseppe Cottolengo”, parroco don Giuseppe Castiglione).
Unitamente a ciò, diventai membro del Consiglio Diocesano dell’A.C. ricoprendo più incarichi (Movimento Studenti, Settore Giovanile, FUCI/Universitari). In tale contesto, ebbi modo di conoscere il prof. Emanuele Sinagra, presidente diocesano dell’associazione. Nacque a Palermo il 22 luglio del 1920, e morì in questa città il 10 febbraio 1997. Era coniugato con la signora Maria, padre di Domenico (Mimmo). Questo significativo esponente del mondo cattolico siciliano, divenne con il tempo professore di Fisica presso l’Università degli Studi di Palermo. Eletto presidente diocesano dell’A.C. testimoniò una vita interiore significativa. Sono sue le seguenti espressioni: «(…) Il mio desiderio è quello di raccogliere e offrire. Nella preghiera non debbo solo chiedere, ma dare, offrire. Poche cose sono veramente mie, debbo donare quello che possiedo. Debbo conoscere me stesso e ciò che genera in me umiltà. Debbo conoscere Dio e ciò che genera l’Amore. Debbo crescere nella fede. È questa una ricerca che mi fa prendere coscienza della realtà in cui opero, perché venga sulla terra il Regno di Dio: regno di Libertà. Giustizia, Verità, Amore e di Pace».[1]
Il prof. Sinagra non indugiava in genere a far riferimento alle sue esperienze in tempo di guerra. E soprattutto preferiva tacere su quello che aveva visto durante gli anni di detenzione in lager tedeschi.
Nel 1943 egli venne inizialmente recluso nello Stalag III B. Quest’area era situata a Fürstenberg sull’Oder, vicino al confine polacco. Nello Stalag vi passarono circa 50.000 prigionieri; 43 baracche erano per americani, belgi, francesi, italiani, jugoslavi, olandesi, rumeni, serbi, cechi e russi, di questi ultimi, molti morirono per malattie e denutrizione. Nello Stalag erano presenti prigionieri ebrei (emarginati nello “Judenbarack”). Stazionarono circa 4.500 prigionieri, il restante numero era sparso in circa 600 ArbeitKommando che operavano nel Brandeburgo e nel Spreewald. Lo Stalag venne liberato dall’esercito sovietico il 2 aprile 1945.
Successivamente, il prof. Sinagra fu trasferito nello Stalag XIII-D Nürnberg Langwasser. Tale campo di prigionia era stato costruito nell’area dei grandi raduni del partito nazista a Norimberga (nel nord della Baviera). Tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945, la popolazione dello Stalag aumentò. Arrivarono i prigionieri evacuati dai campi a est (per l’attacco dei russi). C’erano numerosi aviatori statunitensi e britannici di Stalag Luft III. Il 12 aprile del 1945 molti reclusi vennero trasferiti nello Stalag VII-A. Il 16 aprile il campo fu liberato da soldati degli Stati Uniti.

I ricordi del prof. Sinagra

Il prof. Sinagra non fece frequenti i cenni alle vicende dell’internamento in Germania. Rimangono però due episodi chiave. Il primo riguarda un riferimento che ascoltai di persona. Parlando dei mali della guerra, il presidente dell’A.C. di Palermo ci riferì un fatto. Un prigioniero, per la fame, aveva preso un pezzo di pane in modo furtivo. Per questo motivo venne ucciso davanti ai suoi compagni. Un secondo momento significativo è legato a uno scritto dal titolo: L’associazione nei lager.[2] Nel testo si legge anche quanto segue: «(…) Non ho vissuto personalmente la resistenza delle lotte nelle trincee, approntate nei posti più impensati, ma l’ho condiviso con l’apporto di una resistenza, che può essere considerata anche passiva, ma che ritengo abbia avuto parte non lieve nella ricostruzione italiana. Parlo della resistenza nei campi di concentramento nazisti: la mia via crucis ha le stazioni di Fürstenberg[3], Prezmisl[4], Hammerstein[5], Langwasser[6], Gross Hesepe[7], Fullen[8]; in ognuna di queste stazioni quanti morti di inedia, di freddo, di maltrattamenti! Fra essi giganteggia la figura di Renato Sclarandi, vigliaccamente freddato da fucile tedesco mentre si recava a portare il conforto della fede agli ammalati del campo. Ciò che ci ha sostenuto in quei momenti era la nostra fede, di cui furono segno le cappelline costruite nei campi con mezzi di fortuna. Abbiamo financo costituito la nostra associazione giovanile di A.C. di prigionia; così nei nostri poveri corpi, quasi imponderabili, avevamo messo tanta carica di vita e di volontà di lotta. Gli incontri di nuovi compagni di prigionia, che avvenivano dopo i lunghi e faticosi trasferimenti di campo, ampliavano la nostra possibilità di testimonianza, dandole il significato più vasto di una partecipazione corale dei cattolici a questo tipo di resistenza che si collegava spiritualmente a quella dei loro fratelli della fede e veniva offerta al Signore insieme al grido che si levava da tutti gli uomini che in Patria e fuori combattevano e morivano o languivano nelle prigioni, sottoposti ad ogni sevizia. Vorrei chiudere questa riflessione-testimonianza con un’osservazione che ci pone come cattolici davanti a responsabilità attuali e urgenti: rivivendo quei momenti di dolore e di grazia dovremmo ritrovare nella fede una nostra forse smarrita capacità di lottare e soffrire perché la persona di ogni uomo conquisti la sua vera libertà non aperta a tutti i contenuti possibili, ma carica di verità, di giustizia e di amore».[9]

Renato Sclarandi

Renato Sclarandi

Renato Sclarandi

Nella storia degli italiani militari internati (IMI) in Germania rimane molto significativa la figura di Renato Sclarandi. Nacque il 30 gennaio 1919 a Sangano (Torino). Studiò nel ginnasio San Giovanni di Torino e presso il liceo salesiano di Valsalice. I testimoni del tempo lo ricordano con stima e affetto. Questo giovane fu molto attivo nell’Azione Cattolica della sua parrocchia situata in Borgo San Paolo di Torino. Fu anche attivo nella sede diocesana, nelle parrocchie di città e paesi di campagna del Piemonte e fuori regione (periodo del liceo e dell’università).
Dopo l’inizio del secondo conflitto mondiale, Renato venne chiamato alle armi (5 dicembre 1941). Assegnato al Corpo degli Alpini. Ad Aosta (corso allievi ufficiali), e in altri centri militari ove operò[10], cercò di mettersi in contatto con altri giovani dell’AC. Con loro iniziò un’interazione feconda sul piano religioso.
A Pinerolo ebbe la possibilità di rimanere in contatto con Carlo Carretto[11] e don Giovanni Barra[12].
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fatto prigioniero, Renato Sclarandi (sottotenente) subì la deportazione, con tanti altri soldati italiani, nel lager tedesco di Luckenwalde[13]. In seguito fu trasferito nel campo di Przemyśl.
Per non soccombere allo scoraggiamento cominciò a scrivere un diario. Iniziò pure la stesura di un libro. Nel frattempo, interagiva con i compagni di prigionia per sollevare il loro morale. Era conosciuto per conferenze (organizzate alla meglio) sulla Sacra Sindone, sul presepio e l’albero di Natale, sulla Santa Messa, sul “Figlio dell’Alpe” (lo spirito degli Alpini). Traduceva dal latino le letture sacre e favoriva la recita del Rosario.
Il 22 aprile del 1944 andò, come di consueto, a visitare un prigioniero malato nel vicino campo di Hammerstein[14]. Presentò alla sentinella tedesca il lasciapassare. La guardia lo stracciò senza nemmeno guardare chi glielo presentava. Ordinò al prigioniero di rientrare nella sua baracca. Renato obbedì. E si girò per tornare indietro. Il soldato gli sparò alle spalle. Fu sepolto nel cimitero del campo. Nel 1967, per iniziativa dei genitori, le sue spoglie mortali fecero ritorno in Italia. La salma fu deposta nella tomba di famiglia a Sangano. La città di Torino gli ha dedicato una scuola e una lapide.[15]

Vittorio Emanuele Giuntella 

Un’altra figura significativa di militare cattolico internato nei lager tedeschi è quella di Vittorio Emanuele Giuntella. Nacque a Soriano nel Cimino (Viterbo) l’8 luglio del 1913. Morì a Roma il 27 novembre 1996. Tenente degli alpini, dopo l’8 settembre 1943 venne internato in lager della Polonia (Dęblin) e della Germania (Sandbostel, Bergen-Belsen, Wietzendorf). Dopo la guerra, insegnò storia dell’età dell’Illuminismo nella facoltà di Lettere dell’Università di Roma, e storia moderna e contemporanea presso l’Istituto di Magistero “Maria SS. Assunta”.
Nel corso degli anni si dedicò a ricerche sul periodo rivoluzionario e napoleonico, e sulla Roma settecentesca. La sua attenzione si rivolse anche alla storia della Resistenza e della deportazione. Collaborò con diverse riviste specializzate in temi storici. Nel 1964, con Piero Caleffi e Primo Levi[16], fondò il ‘Centro Studi sulla Deportazione e l’Internamento’. Nei Quaderni del Centro, da lui curati fino al 1995, pubblicò le sue indagini e le sue riflessioni più meditate e significative sul mondo concentrazionario. Giuntella arrivò anche ad essere direttore della Biblioteca del Senato.
Tra le sue pubblicazioni, rimane molto noto un libro dal titolo: Il nazismo e i lager.[17] In appendice a questo testo si trova un notevole allegato: “Il tempo del Lager tempo di Dio: la deportazione come esperienza religiosa”. Vi si trovano dei riferimenti significativi. Se ne annotano alcuni qui di seguito. «(…) il possesso di immagini, di rosari (che a Majdanek e a Ravensbrück venivano fatti con mollica di pane e pezzi di gomma), di libri religiosi, poteva dischiudere la porta della camera a gas».[18]
«(…) Anche a Ravensbrück vi erano forme di vita religiosa fondate sulla preghiera comune (il Rosario), specie la Domenica, e sulla celebrazione delle festività maggiori».[19]
V. E. Giuntella riferisce inoltre un episodio. Nel corso di un’estenuante marcia forzata il cattolico Paolo Desana[20], per sostenere la fatica, iniziò a recitare il Rosario, mentre il metodista Umberto Beltrami[21] si univa nella preghiera del Padre Nostro.[22]

Giuseppe Lazzati

Anche la figura di Giuseppe Lazzati colpisce per la testimonianza di fede che dette in circostanze critiche.[23] Nacque a Milano, nel quartiere di Porta Ticinese, il 22 giugno 1909.[24], Iscritto negli anni dell’adolescenza all’associazione Santo Stanislao, maturò in seguito scelte significative per la sua vita, inclusa quella del celibato, vissuto inizialmente nel sodalizio dei Missionari della Regalità di Cristo. Iscritto alla facoltà di Lettere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, si laureò nel 1931 con una tesi in letteratura cristiana antica. Nel 1934 ebbe inizio la sua attività di professore universitario. Nello stesso anno divenne presidente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (mantenne l’incarico fino al 1945). Nel 1938 si dimise dai Missionari della Regalità e, su consiglio del card. Alfredo Ildefonso Schuster, diede vita ai Milites Christi Regis (divenuto poi Istituto Secolare Cristo Re). Dal 1939, Lazzati è docente incaricato di letteratura cristiana antica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Durante il secondo conflitto mondiale è tenente del 5° Reggimento alpini (divisione ‘Tridentina’). Dopo l’8 settembre del 1943, rifiutò di giurare alla Repubblica Sociale Italiana. Venne arrestato a Merano. Subì l’internamento nei campi tedeschi di: Rum[25], Dęblin[26], Oberlangen[27], Sandbostel[28] e Wietzendorf[29]. In quel tempo, si impegnò ad animare la vita dei militari internati sul piano morale e religioso. Nel dopoguerra si impegnò in politica, divenne rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sostenne l’Azione Cattolica, e fu consulente della Santa Sede per i nascenti istituti Secolari. Colpito da un tumore all’intestino, riuscì ancora a fondare l’associazione ‘Città dell’uomo’. Nel 1986 raggiunse la Casa del Padre.[30]
Con riferimento alla fase dell’internamento Lazzati lasciò delle memorie. In uno scritto diffuso dopo la sua morte si trova raccontato quanto segue: “La mattina del 9 settembre 1943, agli ufficiali radunati in Merano nella caserma del 5° Alpini, un ufficiale chiedeva, ad uno ad uno, se sceglievano di essere fedeli al giuramento di fedeltà fatto nel momento in cui erano entrati a far parte dell’esercito o di aderire alle formazioni fasciste. La seconda scelta li avrebbe fatti rientrare nelle loro case, la prima significava la deportazione.
Il “sì” alla prima scelta suonò come grido di libertà e caricati sui camion – i soldati e sottufficiali già marciavano inquadrati dai Tedeschi verso lnnsbruck – cominciò quella deportazione che di lager in lager si sarebbe conclusa con il rientro a Milano il 31 agosto 1945.
Per tutti il lager era una realtà di cui non si aveva esperienza, forse solamente qualche conoscenza indiretta o informazione giornalistica; ma si presentò subito nella sua tragica veste che veniva a dare un singolare peso al sì pronunciato nella caserma di Merano. E non è da meravigliarsi troppo se, dopo le prime settimane di un’esperienza subumana, ricca solamente di pesanti privazioni – da quella della libertà a quella di sufficienti mezzi di sussistenza, di assistenza, di qualche mezzo di informazione e cultura – i meno saldi psicologicamente tendessero a perdere adeguate misure di controllo della propria dignità, coerente volontà, chiarezza di coscienza”.[31]
Nel periodo dell’internamento in più campi, l’impegno di Lazzati si sviluppò verso più direzioni. 1] al centro di tutto rimase il rapporto con il Signore Gesù. Intensi erano i momenti personali di preghiera. Per un periodo non breve conservò l’ostia consacrata ricevuta durante la messa del mattino per l’ora serale di adorazione. La particola era riposta nel suo giaciglio (letti a castello). 2] Promosse ‘gruppi del Vangelo’ e conferenze su temi religiosi. 3] Svolse un’attività di sostegno verso i compagni più fragili.[32]

Le testimonianze raccolte da Anna Maria Casavola

Esiste, ancora, sul tema di questo saggio, un significativo contributo offerto dalla prof.ssa Anna Maria Casavola. Questa studiosa è autrice del volume: Carabinieri tra Resistenza e deportazioni. 7 ottobre 1943-4 agosto 1944.[33] Nel testo si riportano anche delle testimonianze che riguardano la vita di fede nei lager tedeschi. Si riportano qui di seguito, al riguardo, alcuni passaggi significativi con l’invito a leggere questo lavoro.
«(…) La forza per reagire più spesso viene dalla preghiera e da un ritorno di fede per chi l’aveva già o da una ricerca per chi ne era lontano. Lino Monchieri nella sua Via Crucis dei Lager confessa di aver trovato la forza e la fiducia per resistere nel salmo 90 della Bibbia[34]: “Signore, tu sei il mio rifugio! Nessun male mi potrà accadere né flagello alcuno mi colpirà. Passerò in mezzo a vipere e leoni, draghi e scorpioni ma senza provare danno alcuno. Poiché sono affidato al Signore, io la scamperò”».[35]
«(…) Egualmente Armando Ravaglioli nel mistero della Croce fonda la fiducia nella salvezza[36]: “20 settembre 1943, bivio di Konitze. Nella notte incipiente ho contemplato il cielo stellato: è immenso, staccato e freddo. Ma c’è qualche infinitesimo di luce che palpita e questo mi richiama all’idea di Dio che vede e che certamente non si estrania da questo travaglio. Tante preghiere stanno filando verso di Lui da infinite parti della terra, mi consola il pensiero che alcune di queste mi concernano (…) ed allora mi rivolgo al consolante pensiero del Cristo che soffre ma risorge, prototipo di ogni uomo tormentato ma che sa conservare amore e speranza. Da qualche parte si sta certamente dipanando la nostra sorte».[37]

Alcuni dati riferiti dalla Casavola

Presepio costruito dagli internati a Wietzendorf per il Natale 1944.

Presepio costruito dagli internati a Wietzendorf per il Natale 1944.

Nel suo libro la prof.ssa Casavola annota anche alcuni dati religiosi significativi. A Wietzendorf (la fonte è P. Testa[38]), in una camerata adibita a cappella, venne costruito un grande altare centrale in blocchetti di cemento, rivestiti poi con tavole di legno. Quasi tutti gli arredi sacri, liturgici vennero costruiti con pezzi di legno e latta di scatolame: così i candelieri, il turibolo, l’incensiere, l’ostensorio. Il filo spinato servì a costruire un grande lampadario centrale e due piccoli a muro ai lati dell’altare maggiore.[39]
Un altro episodio, di cui si conserva tuttora una tangibile testimonianza[40], è il presepio costruito dagli internati a Wietzendorf per il Natale 1944, ora esposto nella basilica di Sant’Ambrogio a Milano. Dai letti a castello furono prese alcune assicelle sulle quali dormivano i militari internati. Con un coltello si riuscì a ottenere liste di legno lunghe settanta centimetri dello spessore di due centimetri e mezzo. Furono in tal modo formate le teste, le mani, i piedi e le altri parti in legno delle statuine.
Venne rubato il filo spinato, tolte le spine con le mani ad una temperatura che superava i dieci gradi sotto zero, e si ottenne lo scheletro delle statuine. Come attrezzi si utilizzò un coltello scout, un paio di forbici a lame corte e per martello un cardine maschio tolto ad una porta. Per consentire al militare “artista” di lavorare di sera e di notte i compagni di internamento donarono un grammo dei quindici grammi giornalieri di margarina. Questa, si mesceva in una piccola latta e con uno stoppino era fatto un lumino che durava parecchio.[41]

Qualche considerazione di sintesi

I dati qui raccolti cercano di aiutare a riflettere sulla vita di fede dei prigionieri internati in campi tedeschi. In realtà tale fortezza interiore ha delle testimonianze significative pure nei lager di sterminio. È nota al riguardo, ad esempio, la figura di san Massimiliano Kolbe.[42] Quello che colpisce nei vari comportamenti è la volontà di resistere alle avversità grazie anche a una energia interiore, a un Credo che ricorda un fatto: non esistono “venerdì impazziti”. Esiste al contrario una “valle oscura” che occorre attraversare. Ma la persona, il singolo fedele, non brancola nel buio, non è cieco di orizzonti. È proprio la vita di fede che aiuta ad alzare la testa e ad affrontare le tragedie di ogni conflitto, le umiliazioni, i messaggi mirati a distruggere ogni struttura di personalità.

 

 

Note

[1] Testimoni… – Azione Cattolica Italiana – Arcidiocesi di Palermo | Facebook.
[2] E. Sinagra, L’associazione nei lager. I giovani di A.C. nella bufera, in: ‘Segno nel Mondo’, n. 4, 1975, p. 3.
[3] Si trova nel Brandeburgo.
[4] Cf anche: V. Musiołek-Romano, Gli internati militari italiani nello Stalag 327 di Przemyśl (1943-1944), Araba Fenice, Boves (CN) 2018.
[5] In Pomerania.
[6] Norimberga.
[7] Groß Hesepe: vicino a Nordhorn, a una ventina di chilometri a nord-est di Oldenzaal.
[8] In Bassa Sassonia, vicino al confine olandese.
[9] E. Sinagra, L’associazione nei lager…, op. cit.
[10] Merano, Bassano del Grappa, Civitavecchia, Pinerolo.[11] Carlo Carretto (1910-1988). Nel 1946 divenne presidente della G.I.A.C. (Gioventù Italiana di Azione Cattolica).
[12] Don Giovanni Barra (1914-1975; Servo di Dio).
[13] Nel Brandeburgo.
[14] In Pomerania, oggi in Polonia.
[15] G. Oberto, La morte di Renato Sclarandi, in: ‘Quaderni del Centro di studi sulla deportazione e l’internamento’, 4 (1967), 1, p. 69. A. Celi, Renato Sclarandi, in V. Rapetti (a cura), Laici nella Chiesa, cristiani nel mondo. Per una storia dell’Azione Cattolica nelle Chiese locali del Piemonte e Valle d’Aosta, Impressioni Grafiche, Acqui Terme 2010, pp. 128-129.
[16] Con Primo Levi nel 1960 ebbe inizio un’amicizia che durò 45 anni.
[17] V.E. Giuntella, Il Nazismo e i lager, Studium, Roma 1979.
[18] V.E. Giuntella, Il Nazismo e i lager…, op. cit., p. 280.
[19] Ivi, p. 280.
[20] Paolo Desana (Casale Monferrato, 7 gennaio 1918 – Casale Monferrato, 19 gennaio 1991).
[21] Umberto Beltrami: ufficiale di artiglieria alpina della divisione ‘Tridentina’.
[22] V.E. Giuntella, La deportazione come esperienza religiosa, in: AA.VV., ‘Cattolici, Chiesa, Resistenza’, a cura di G. De Rosa, Il Mulino, Bologna 1997, p. 304.
[23] Giuseppe Lazzati (Milano, 22 giugno 1909 – Milano, 18 maggio 1986; Venerabile). Cf anche: L. Caimi, Giuseppe Lazzati. Un laico cristiano nella “città dell’uomo”, AVE – Libreria Editrice Vaticana, Roma 2015. P. Confalonieri (cur.), Giuseppe Lazzati. Il testimone fedele, In Dialogo, Milano 2011. L. Frigerio, Lazzati. Il testimone, il maestro, l’amico, Paoline, Milano 2009.
[24] Quarto degli otto figli di Carlo e Angela Mezzanotte.
[25] Vicino Innsbruck (Austria).
[26] Vicino Lublino (Polonia).
[27] Bassa Sassonia (Germania).
[28] Bassa Sassonia (Germania).
[29] Bassa Sassonia (Germania).
[30] Morì nella clinica ‘Capitanio’ di Milano, alle prime ore del 18 maggio 1986, quell’anno domenica di Pentecoste. I suoi resti mortali riposano dal settembre 1988 nella cappella dell’Eremo San Salvatore sopra Erba.
[31] A p. 161 del libro di Marilena Dorini (Giuseppe Lazzati: gli anni del lager (1943-1945), AVE, Roma 1989, si legge che si tratta di un testo pubblicato postumo, in: ‘Cristiani per la libertà’ a cura di G. Bianchi, Vita e Pensiero, Milano 1987, pp.68-69, ora anche in G. Lazzati, Pensare politicamente, AVE, Roma 1989, vol I, pp 22-23.
[32] La descrizione di questo periodo e la testimonianza di alcuni amici che hanno condiviso con Lazzati la prigionia, sono raccontate nel volume di Marilena Dorini: Giuseppe Lazzati: gli anni del lager (1943-1945), AVE, Roma 1989.
[33] Edizioni Studium, Roma 2021 (seconda edizione). Sulla Casavola vedere ‘Ringraziamenti’.
[34] L. Monchieri, Via Crucis dei Lager, ANEI, Brescia 2000, p. 35.
[35] A.M. Casavola, op. cit, pp. 172-173.
[36] A. Ravaglioli, Continuammo a dire NO, Ediz. Roma Centro Storico, Roma 2000, p. 29.
[37] A.M. Casavola, op. cit, p. 173.
[38] P. Testa, Wietzendorf, Edizioni Leonardo, Roma 1947.
[39] A.M. Casavola, op. cit., p. 174.
[40] Natale a Wietzendorf, in: ‘Noi dei Lager’, n. 4, 2014.
[41] A.M. Casavola, op. cit., pp. 175-177.
[42] Massimiliano Maria Kolbe (nato Rajmund Kolbe; Zduńska Wola, 8 gennaio 1894 – Auschwitz, 14 agosto 1941; Santo). Francescano e sacerdote polacco. Si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia, condannato a morire nel bunker della fame ad Auschwitz.

 

Per saperne di più
AA.VV., Noi nei Lager. Testimonianze di militari italiani internati nei campi nazisti (1943-1945), a cura di L. Frigerio, Paoline, Milano 2008. M. Avagliano, M. Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz’armi (1943-1945), Il Mulino, Bologna 2020. A. De Bernardis, I cappellani militari e la tematica etico-religiosa nelle memorie dell’internamento italiano nei Lager nazisti (1943-1945), in: ‘Carte Italiane’, 2 (11), Università della California di Los Angeles, Los Angeles 2017. V.E. Giuntella, La resistenza dei militari italiani internati in Germania, in: AA.VV., ‘Lotta armata e resistenza delle forze armate italiane all’estero, a cura di B. Dradi Maraldi e R. Pieri, Franco Angeli, Milano 1990, pp. 541-547. G. Mellace, I dimenticati di Mussolini, Newton Compton, Roma 2019. A. Mignemi, Storia fotografica della prigionia dei militari italiani in Germania, Bollati Boringhieri, Torino 2005. F. Venuti, Memorie di guerra e di prigionia. L’internamento dei militari italiani attraverso le testimonianze, Regione Toscana, Consiglio Regionale, Firenze, aprile 2018 (cf p. 288 il rif. alla recita del Rosario).

 

Ringraziamenti
Prof.ssa Anna Maria Casavola, Ricercatrice presso Museo Storico della Liberazione (Roma), Membro dell’Associazione Nazionale Ex Internati nei Lager Nazisti, Membro della Redazione di “Noi dei Lager” e del periodico “Eco della scuola nuova della federazione Nazionale Insegnanti. Dott. Giulio Gamucci, Segreteria Istituto Secolare Cristo Re (Milano). Dott. Domenico Sinagra, figlio del Prof. Emanuele Sinagra.