LE RIVOLUZIONI DEL 1917 IN RUSSIA

di Max Trimurti -

Nessuno si era accorto che la situazione stesse precipitando. Forse nemmeno lo stesso Lenin e i suoi seguaci. E all’improvviso arrivò l’incendio!

 

Nel 1914, Vladimir Ilic Ulianov, meglio conosciuto come Lenin, aveva 44 anni. Con quello erano ormai quindici anni che cospirava per accendere le scintille della rivoluzione. Ma queste tardavano ad arrivare.
Il 22 gennaio 1917, mentre si trovava in esilio in Svizzera, ancora sconosciuto al grande pubblico, Lenin prende la parola a Zurigo davanti al Circolo degli studenti socialisti: “Noi vecchi – dice parlando della sua generazione – non vedremo forse mai le battaglie decisive della rivoluzione …”. E’ significativo ricordare questa data: 22 gennaio 1917. Meno di otto settimane più tardi, il governo viene rovesciato senza che Lenin né i bolscevichi abbiano fatto nulla in proposito (1). Le “battaglie decisive” alle quale non credeva stavano invece per cominciare.

Un giovane borghese rivoluzionario

Il giovane Vladimir Ilic Ulianov non sarebbe forse mai diventato Lenin senza la morte tragica del fratello maggiore Aleksandr. Direttamente compromesso nel progetto di attentato contro lo zar Alessandro II Nikolaevic Romanov, era stato impiccato nel 1887.
Questo dramma familiare è stato determinante nell’impegno e nella carriera del giovane Vladimir, che all’epoca aveva solo 17 anni. Egli nutrirà per sempre un odio feroce verso il regime e “Io sputo sulla Russia” sarà il suo motto personale.
Lenin era nato il 23 aprile 1870 a Simbirsk, piccola capitale dell’omonima provincia, fondata nel 1648 sulle morbide colline che dominano il Volga (2). Suo padre, Ilya Nicolaievic Ulianov era un perfetto sconosciuto. Egli terminò la sua carriera come ispettore generale dell’insegnamento pubblico della provincia. La madre, Maria Alexandrovna Blanck, era la quarta figlia di Alexandre Dimitrievic (Israel Moseievic) Blank, medico ebreo convertito, originario di Jitomir. Il padre di Alexandre, Moisé Itskovic Blank, era un mercante ebreo della provincia della Volinia che aveva sposato una svedese, Anna Karlova Ostedt. Come per molti ebrei sotto il regno dello zar Nicola I, la conversione all’ortodossia aveva consentito la loro integrazione nella società russa (3).
Poco dopo l’esecuzione del fratello, Lenin comincia gli studi di diritto presso l’Università di Kazan e quindi a San Pietroburgo (Pietrogrado), venendovi iniziato alla letteratura marxista. Nel 1895 organizza uno dei primi circoli social-democratici, vale a dire marxisti, della capitale. Questa attività gli fa guadagnare l’arresto, la prigione e quindi il confino in Siberia. Laggiù, nel luglio 1898, si sposa con una militante rivoluzionaria, Nadejda Kostantinovka Krupskaia, e dopo il periodo di confino sceglie di andare in esilio nel 1900.

Fondazione del bolscevismo

La coppia soggiorna a Monaco di Baviera, Parigi, Londra, ma soprattutto in Svizzera, che all’epoca era un porto sicuro per i rivoluzionari europei. A Monaco, Lenin fa pubblicare il primo numero di un giornaletto, “Iskra” (“La Scintilla”), destinato a una certa notorietà. Due anni più tardi, nel 1902, redige, a 32 anni, il famoso trattato d’azione rivoluzionaria, “Che fare?” La lunga esperienza degli ambienti cospiratori russi alimenta le pagine di questo manuale. Egli vi definisce una nuova concezione dell’azione. Essa non può nascere nel seno delle masse se esse non sono edotte della loro condizione di sfruttamento e se non sono stati denunciati i loro sfruttatori. Questo compito spetta a un partito di tipo nuovo, formato da rivoluzionari professionisti che consacrano tutto il loro tempo all’azione, sottoposto a una disciplina di tipo militare. Intorno al giornale (“Iskra”) verrà costituito il partito e verranno reclutati i nuovi adepti.
Il secondo Congresso del partito socialdemocratico russo ha luogo a Londra dal 30 luglio al 23 agosto 1903. Esso segna una sterzata decisiva nella vita di Lenin (nome adottato nel 1901) e nell’evoluzione del movimento marxista russo. Approfittando della momentanea assenza della maggior parte dei suoi avversari, egli riesce a fare adottare, per pochi voti di scarto, il suo programma d’azione. I suoi fautori assumono da quel momento le denominazione di Bolscevichi (“maggioritari”), mentre di fatto essi non lo sono in alcun modo. Mentre i suoi avversari, sebbene più numerosi, vengono denominati Menscevichi (“minoritari”). Ma verrà presto dimenticato il vero significato dei termini, assimilandoli ormai rispettivamente a “duri” e “molli”.

La Rivoluzione del 1905

Nel Congresso seguente, tenutosi sempre a Londra nel 1905, Lenin fa adottare il programma della “Dittatura del proletariato e dei contadini”. Nel gennaio dello stesso anno comincia in Russia un’annata di disordini rivoluzionari che lasciano intravvedere un prossimo rovesciamento dello zarismo. La si definirà successivamente “Rivoluzione del 1905” e sarà schiacciata nel 1906 per mezzo dell’azione energica e innovatrice di un eccezionale ministro, Piotr Stolypin. Sebbene sia rientrato in Russia durante questa rivoluzione mancata, Lenin non vi ha giocato nessun ruolo. Dopo il riflusso avranno inizio per i rivoluzionari russi i neri anni dello scoraggiamento e dello sconforto.
Nel 1905 il movimento rivoluzionario russo era già ricco di una lunga storia. Le rivoluzioni russe della “Belle Epoque” avevano coniugato allo stesso tempo due caratteristiche del futuro partito leninista: l’organizzazione di gruppi di rivoluzionari fanatici e la legittimazione delle loro azioni da parte di una intellighentsia attiva e pronta giustificare anche gli atti più atroci in nome di categorie superiori della morale e della giustizia. Tuttavia, posto di fronte a questi rivoluzionari che volevano abbatterlo, lo stato zarista tiene bene il colpo.
Un primo attentato rivendicato contro lo zar Alessandro II era stato commesso nell’aprile 1879. Per ben sette volte, i “narodnisti”, cercheranno di uccidere questo zar liberale. All’ottavo tentativo, il 1° (14) marzo 1881, l’attentato ha successo. La repressione che ne segue e la granitica determinazione dimostrata dal suo successore, Alessandro III Aleksandrevic Romanov, riescono a spezzare una prima volta il movimento rivoluzionario. Tuttavia, nonostante la sua debordante vitalità, lo zar, dopo 13 anni di potere, muore all’improvviso il 1° novembre 1894 in Crimea, lasciando il figlio maggiore Nicola II Aleksandrovic Romanov, completamente impreparato.

Uno zar debole per un potere troppo pesante

Lo zarevic, giovane gradevole di 26 anni, non era assolutamente preparato alla difficile carica, che avrebbe richiesto il genio e il pugno di ferro di un Pietro il Grande. Il cognato, granduca Sergej Aleksandrovic Hostein Gottorp Romanov, scriverà più tardi: «Io vedevo le lacrime nei suoi occhi blu. Egli mi prese il braccio: “Sandro, Sandro, mi grida con voce patetica, che cosa farò? Io non sono preparato ad essere uno zar e non desiderato di diventarlo”».
Confessione patetica di un uomo sincero che si sentiva troppo debole per un destino troppo grave. Timido, sensibile, dotato di una media intelligenza, marito e padre modello, Nicola II non disponeva di nessuna qualità necessaria a un uomo di stato e, a maggior ragione, a un sovrano di un grande paese in preda a profondi e oscuri sconvolgimenti.
Dopo la “domenica rossa” del 9 (22) gennaio 1905, per tutto l’anno seguente, la rivoluzione appare sul punto di trionfare. Dopo un periodo di remissione dovuto per alla personalità e alle riforme del primo ministro Stolypin (assassinato il 14 settembre 1911), la rivoluzione riuscirà ad avere il sopravvento nel 1917, nel terzo anno della più terribile delle guerre.
Alla fine del 1914, le perdite dell’esercito imperiale russo hanno già superato il milione e 200 mila tra morti e feriti. La fanteria risulta spossata. La maggior parte degli ufficiali e dei sottufficiali di carriera sono morti in combattimento. I reggimenti hanno perso quasi i tre quarti dei loro effettivi e i vuoti non sono stati ripianati Ci sono 800 mila riservisti che non si possono istruire, né inviare al fronte per mancanza di fucili.
La situazione peggiora ancora negli anni 1915 e 1916. I soldati russi non aspirano altro che alla pace a qualsiasi prezzo. Nelle retrovie, la disorganizzazione della vita economica e la paralisi dei trasporti hanno contribuito ad affamare le città e code interminabili si allungano davanti ai negozi di alimentari. Nessuna famiglia è stata risparmiata dal dolore di un padre o di un figlio morto in guerra. Nessun villaggio è stato risparmiato dalla presenza di giovani mutilati. In un paese stordito dalla sofferenza, la disperazione si trasforma in collera.

Dramma e discredito della famiglia imperiale

Per rimettere in sesto la situazione occorrerebbe un potere eccezionalmente fermo e competente. Ma lo sfortunato Nicola II, eccellente uomo nel privato, non ha nessuna delle qualità necessarie. Il potere abortisce in irresolutezza e sprofonda nelle cabale burocratiche.
Da diversi anni lo zar e sua moglie sono minati da un dramma intimo causato dall’emofilia dello zarevic, che peserà fortemente nei destini della Russia. Essi si sono infatuati di un guaritore, Grigorj Efimovic Rasputin, che si è fatto passare per l’inviato di Dio, dopo che il suo talento di ipnotizzatore è riuscito a dare sollievo alle disgrazie del piccolo Aleksej. Astuto, scaltro, avido e dissoluto, il personaggio riesce a mascherare la sua vera natura quando si trova in presenza della coppia imperiale, dalla quale trae indirettamente un reale potere.
Quando lo zar decide di assumere il comando dell’esercito (1915), egli delega le cariche di governo all’imperatrice, vale a dire a Rasputin. “Ho l’impero in queste mie mani” proclama il personaggio davanti alle sue ammiratrici e al suo seguito, battendo il pugno sul tavolo. L’imperatrice ripone una totale fiducia in Rasputin. Non è forse l’amico e l’inviato di Dio? Egli, in tale contesto, impone le sue scelte per la promozione dei generali e la designazione dei ministri, usando come solo criterio la sua soddisfazione, il che l’orienta il più delle volte verso furfanti e incapaci.
Le lettere della zarina Alessandra al marito dimostrano che Rasputin interviene nella nomina di un ministro così come nelle decisioni strategiche. Si può ben immaginare le inquietudini e l’indignazione che serpeggia nell’Alto Comando dell’Esercito, a conoscenza di tali interventi, e si può quindi comprendere meglio perché, nel febbraio-marzo 1917, i generali siano stati i primi a esigere l’abdicazione di Nicola II.

Sommossa a Pietrogrado e abdicazione di Nicola II

Agli inizi del 1917 tutti complottano. I monarchici liberali pensano di salvare il trono richiedendo una Costituzione, i repubblicani e i socialisti desiderano una rivoluzione e questa si verificherà, per caso, a Pietrogrado nel febbraio (marzo) del 1917. A seguito di una minaccia di carestia, alcune ribellioni degenerano. La truppa si rifiuta di sparare, si ammutina, passa dalla parte dei ribelli, massacrando gli ufficiali che vogliono interporsi.
Il 28 febbraio (13 marzo), le truppe sfilano al centro di Pietrogrado dietro le bandiere rosse. In testa marciano i Cosacchi della scorta, l’élite della Guardia Imperiale. Ufficiali e soldati protestano la loro fedeltà al nuovo potere incarnato dalla Duma, come se lo zar fosse stato cancellato dalla loro memoria e dai giuramenti prestati.
La stessa mattina, al Quartier Generale di Mohilev, al fronte, il generale Michail Vasilievic Alekseiev, capo di stato maggiore generale, ha ricevuto un telegramma da Michail Vladimirovic Rodzyansko, Presidente della Duma: “Il solo mezzo per evitare l’anarchia è di ottenere l’abdicazione dell’imperatore”.
Alexeiev non è sorpreso dai fatti e pensa che l’autocrazia è ormai condannata. Mercoledì 1° marzo (14 marzo), egli fa deviare il treno speciale di Nicola II verso Pskov, Quartier Generale del fronte nord ed è proprio in questa località che i capi militari pensano di costringere lo zar alla “resa”. Il generale Nikolaj Vladimirovic Russki, comandante del fronte nord, consegna allo zar un messaggio dei cinque comandanti in capo (fra cui il suo), esigendo l’abdicazione. Dopo un lungo silenzio, l’imperatore dichiara con voce ferma: “Mi sono deciso. Rinuncio al trono in favore di mio figlio”. Sono le 3 del pomeriggio (4) e l’abdicazione è solo un artificio, in quanto il potere effettivo, per quanto incerto, verrà assunto da un governo provvisorio.

Il grande caos del 1917

La Rivoluzione di febbraio è stata accolta con favore dagli Alleati come anche dai loro nemici. I primi si attendevano dei miracoli da un governo provvisorio ispirato ai grandi principi del 1789. Il corso del rublo e dei valori russi cresce alla Borsa di Parigi. Il banchiere di New York, Jacob Henry Schiff telegrafa a Pavel Nikolaevic Miliukov, nuovo ministro degli Esteri: “Permettetemi, in qualità di nemico irriducibile dell’autocrazia tirannica che ha perseguitato senza pietà i miei correligionari, di felicitare, tramite voi, il popolo russo”.
“Negli Stati Uniti – ricorda Eric Laurent (5) – la spinta rivoluzionaria viene accolta con entusiasmo da Wall Street, i cui due pilastri sono i fratelli di Max Moritz Warburg, Paul e Felix. Immigrati nel 1902 negli Stati Uniti essi controllano la Kuhn e Loeb and Co, prima banca mondiale dell’epoca. Dal 1916 la Kuhn & Loeb trasferisce del denaro al movimento bolscevico attraverso una rete di istituzioni quali la Banca petro-industriale di Germania, la Disconto-Gesellschaft o ancora la DEN Norske Handelbank di Oslo”.
L’alto comando tedesco presagisce una rapida anarchia, un vicino tracollo dell’esercito russo e la possibilità di rovesciare la situazione in suo favore. Per accelerare questa evenienza, consente l’invio in Russia di un gruppo di rivoluzionari rifugiato in Svizzera. Questo sarà appunto il celebre episodio del “treno piombato” (in realtà non era piombato, ma ai viaggiatori fu vietato di scendere a terra durante il tragitto in territorio tedesco), grazie al quale Lenin potrà intervenire a Pietrogrado a partire dall’aprile 1917.

Dalla rivoluzione di febbraio al colpo di mano di ottobre

Senza intervenire, il governo provvisorio ha lasciato costituirsi un dualismo di potere, accordando delle prerogative politiche al Soviet di San Pietroburgo, il primo all’opera, che riunisce delegati dei soviet degli operai e dei soldati, eletti nelle fabbriche e nei reggimenti. Il suo esempio e le sue parole d’ordine vengono riprese da tutto l’esercito e in tutto il paese, ma a breve sarà dominato dalla frazione bolscevica.
Per due volte, nel maggio e nel luglio 1917, il socialista Aleksandr Feodorovic Kerensky, Presidente del governo provvisorio, avrà la possibilità di schiacciare il Soviet che non nasconde la sua intenzione di rovesciarlo. Vi rinuncerà, a causa della sua diffidenza viscerale verso gli ufficiali dell’ex esercito zarista. Egli teme più la reazione conservatrice che il Soviet. Il corpo degli ufficiali, sebbene completamente allontanato dalla monarchia, rimane ai suoi occhi una minaccia costante di restaurazione dello zarismo.
La conquista del potere da parte dei bolscevichi – quella che viene chiamata “Rivoluzione d’Ottobre” (novembre per il calendario gregoriano) – è stata un seguito di eventi importanti per gli effetti delle loro conseguenze, ma piuttosto modesti nel loro svolgimento.
Nella notte fra il 7 e l’8 novembre (dal 24 al 25 ottobre) (6), mentre le Guardie Rosse, comandate dall’ex aspirante e rivoluzionario Vladimir Alksandrovic Antonov-Ovseenko si mettono in marcia verso il Palazzo d’Inverno, la folla si accalca per assistere allo spettacolo. I cittadini, che si sono addormentati nell’incertezza dell’indomani, si svegliano in una città tranquilla che ha cambiato “padrone”.
Il 9 novembre (26 ottobre), prima di sciogliersi, il Congresso dei Soviet prende in carico la presa di potere, effettuata a suo nome, e designa un consiglio di Commissari del Popolo (Sovnarkom), la cui composizione era stata preparata dai Bolscevichi. Lev Trotski ottiene il Ministero degli Esteri. Il Ministero della Guerra e della Marina viene affidato a una troika bolscevica, Nessuno poteva immaginare che i Bolscevichi sarebbero rimasti al potere per oltre 70 anni.

Note
(1) Si veda Dominique Venner, Les Blancs et les Rouges: Histoire de la guerre civile russe, 1917-1921, Le Rocher, 2007.
(2) Simbirsk, diventata un santuario bolscevico, viene ribattezzata Ulianovsk dopo che le nuove autorità hanno fatto radere al suolo le chiese, i monasteri, il cimitero e anche la cattedrale, eretta in ricordo dei soldati caduti durante la campagna contro Napoleone del 1812.
(3) Dimitri Volkogonov, Le vrai Lenine d’après les archives secrètes soviétiques, Robert Laffont, Parigi 1995. L’autore ha beneficiato dell’apertura degli archivi sovietici dopo il 1991. Ha potuto stabilire con precisione la genealogia di Lenin, fino a quel momento segreto di stato.
(4) Un anno più tardi, il generale Michail Vasilievic Alekseiev, ormai comandante di sé stesso e rifugiato nel territorio del Don, lancerà un appello per la costituzione di un esercito di volontari contro il potere bolscevico, atto di nascita dei futuri eserciti bianchi.
(5) Laurent Eric, La Corde pour les pendre, Fayard, Parigi, 1985.
(6) Le date sono quelle dell’attuale calendario gregoriano. In parentesi figura la corrispondenza con il calendario giuliano in vigore in Russia all’epoca. Esso risulta in ritardo di 13 giorni sul calendario gregoriano, che sarà adottato dalla Russia dei Soviet a partire dal 31 gennaio 1918.