LE GRANDI SPEDIZIONI DEL XVIII SECOLO

di Max Trimurti -

 

Bougainville, Cook, La Perouse e Malaspina compiono una serie di spedizioni a scopo scientifico, geografico e politico nell’oceano Pacifico. Spagnoli e Portoghesi si spingono in Amazzonia e Mato Grosso per delimitare le rispettive aree di influenza. Ma è con Humbolt che il viaggio diventa strumento per la nascita della geografia moderna.

 

Bougainville e Cook

Il progetto del navigatore Louis Antoine de Bougainville (1729-1811) nel 1767 riassume perfettamente la situazione dei Francesi del tempo che, espulsi dall’America del Nord a seguito della Guerra dei Sette Anni (terminata quattro anni prima), tentavano di mettere piede nell’emisfero Sud per compensare la perdita del Canada nell’emisfero Nord.
La personalità del Bougainville è affascinante. Nobile e colto, rinuncia al destino di avvocato ed entra nell’esercito nel 1753. In occasione di un soggiorno a Londra, pubblica due volumi di calcolo integrale e viene ammesso a far parte della Royal Society. Prende parte successivamente alla difesa di Quebec e rientra a Parigi nel 1760. Successivamente si interessa a un progetto di colonizzazione nelle isole Mauritius. Con il sostegno del re, Bougainville naviga verso l’Ovest: con due navi, la Boudeuse e l’Etoile, e con un equipaggio di 330 marinai e uomini di scienza, inizia il primo giro del mondo realizzato da un francese.
Le terribili correnti dello Stretto di Magellano lo bloccano per 52 giorni nel passaggio verso il Pacifico. I venti del sud Ovest gli impediscono di raggiungere l’arcipelago di Juan Fernandez, ma nel 1768 riuscirà, infine, a gettare l’ancora a Tahiti. La benevolenza degli autoctoni e la bellezza dei luoghi ammaliano Bougainville, che battezzerà l’isola Nuova Cithera in omaggio al luogo dove la mitologia vuole che Venere sia emersa dalle acque. Una volta sul posto, si scopre che il valletto del botanico francese Philibert Commerson (1727-1773) era, in realtà, una donna, Jeanne Barret (1740-1803), che si era travestita da uomo per poter partecipare alla spedizione! Samoa, Vanuatu e la Nuova Guinea verranno visitate prima di partire per Giava, per un periodo di riposo e di recupero psicofisico. Il controllo olandese della produzione e del traffico delle spezie impressiona il navigatore francese quanto la brutalità usata nei confronti degli autoctoni.
Per i Francesi, il Pacifico costituisce un nuovo orizzonte e in poco tempo l’area diventa il teatro di una feroce competizione fra la Russia, la Spagna, la Gran Bretagna e la Francia. Nel 1759 padre José Torrubia (1698-1761) aveva pubblicato a Roma I Moscoviti nella California, un’opera nella quale raccontava l’avanzata dei Russi dall’Alaska verso Sud. Qualche anno più tardi, nel 1765, l’ispettore generale José de Galvez y Gallardo, marchese di Sonora (1720-1787) fornisce un appoggio decisivo all’espansione territoriale del vicereame messicano verso il Nord, il “settentrione novo ispanico”. Britannici e Francesi si lanciano in una vera e propria corsa navale allo scopo di conoscere, cartografare e occupare fino all’ultima isola del Pacifico: una rivalità che durerà fino alle guerre napoleoniche.
Nel 1765, il commodoro John Byron (1723-1786) attraversa l’oceano Pacifico a tutta velocità, effettuando il primo viaggio di circumnavigazione in meno di due anni. Nel 1767, un altro britannico, Philip Carteret di Jersey (1733-1796), dimostra che la Terra Australis ricercata dalla fine del XVI secolo non poteva che situarsi a est dell’isola di Pasqua. Lo spagnolo Felipe Gonzales de Ahedo (1714-1802) occupa l’isola di Pasqua nel corso del 1770. Egli rimane stupefatto dalla scoperta delle celebri statue giganti (moai) e sarà il primo Occidentale a redigere la cartografia della regione. Il capitano Samuel Wallis (1728-1795) era anch’egli sbarcato a Tahiti e aveva contribuito ad alimentare la leggenda della promiscuità sessuale dei suoi abitanti, un mito vivamente mantenuto da quell’epoca con incisioni ed immagini del Pacifico del Sud. Queste immagini, diffuse attraverso tutta l’Europa, saranno all’origine di riflessioni più o meno fantasiose da parte di filosofi e di pensatori, che ricreano a queste latitudini tutte le specie di paradisi perduti.
Questa è stata anche l’epoca dei viaggi dell’ufficiale britannico James Cook (1728-1779), figura emblematica delle esplorazioni oceaniche del XVIII secolo. Di origine modesta, egli riesce a entrare nella Royal Navy come semplice marinaio dopo aver lavorato come mozzo su alcune navi mercantili. La Guerra dei Sette Anni gli offre la possibilità di mettere in evidenza le sue eccezionali capacità di cartografo e, a partire dal 1763, egli redige le carte del litorale di Terranova, la cui estrema precisione gli conferisce un considerevole prestigio. Tre anni più tardi, la Royal Society l’ingaggia per l’osservazione del passaggio di Venere, previsto per il 1769.
Navigatore eccezionale, Cook doppia il Capo Horn e si dirige verso Tahiti a bordo dell’Endeavour al fine di osservare il fenomeno astronomico. I risultati delle ricerche di Cook, dell’astronomo Charles Green (1734-1771) e del naturalista Daniel Carlsson Solander (1733-1782) non saranno peraltro esaustive; essi prolungheranno il loro viaggio verso la Nuova Zelanda, dove arriveranno il 7 ottobre del 1769. Durante i sei mesi seguenti, Cook cartografa 4.500 km di litorale australiano. Sbarca a Botany Bay (Sidney) nel 1770: i membri della spedizione la battezzeranno con questo nome a causa della scoperta di una serie di nuove piante trovate dai naturalisti, come Joseph Banks (1743-1820) e Solander. Tupaia, una guida polinesiana “astuta, ingegnosa, fiera ed ostinata”, nomina e disegna per loro non meno di 70 isole. James Cook ed i suoi uomini, prendendo la direzione Nord-Nord ovest, superano il 25° parallelo ed entrano nella Grande Barriera corallina. La nave naufraga contro le scogliere, ma dopo 20 giorni passati a riparare le avarie, il vascello viene rimesso in sesto e Cook esplora la costa fino a Capo York; nel 1770, su una terra “non ancora visitata e osservata da nessun Europeo”, egli prende possesso dell’Australia a nome della Corona Britannica, denominandola Nuovo Galles del Sud.
Cook prende successivamente la rotta per Batavia, dove la malaria provoca una grande mortalità fra l’equipaggio, che era peraltro riuscito a non soccombere allo scorbuto grazie all’ingestione di cavolo e di agrumi. Cook rientra in Inghilterra nel 1771 e la pubblicazione di testimonianze e dei giornali di bordo spinge la Royal Society ad affidargli la direzione di un secondo viaggio, che viene effettuato fra il 1772 ed il 1775. Fra i suoi compiti c’era ancora la scoperta della Terra Australis, avendo già constatato l’insularità della nuova Zelanda e la dimensione continentale della costa orientale australiana. In occasione di questo viaggio a bordo della Resolution e accompagnato dall’Adventure, Cook – promosso da poco comandante – raggiunge il 71° parallelo sud e supera a tre riprese il circolo polare, cercando invano il continente antartico. Durante questi tre anni, il comandante inglese effettua numerosi scali, consolidando le sue conoscenze delle terre incontrate (isola di Pasqua, Tahiti, Nuova Zelanda, ecc.) e scoprendo la Nuova Caledonia. Munito di un cronometro di Harrison, affina i suoi precedenti rilievi di longitudine e determina con precisione la posizione delle isole Marchesi.
Di ritorno in Inghilterra, rinunciando alla ricerca della famosa Terra Australis che si rivelava una perdita di tempo, Cook inizia quasi immediatamente il suo terzo viaggio, nel 1776, imbarcandosi di nuovo a bordo della Resolution, ma accompagnato, questa volta, dalla Discovery. L’obiettivo era quello di trovare il passaggio a Nord Ovest, che si supponeva collegasse l’Oceano Pacifico all’Atlantico. Arrivando dall’oceano Indiano egli raggiunge la Nuova Zelanda nel 1777, quindi taglia verso nord. Nel 1778 le due navi getteranno l’ancora su una terra che non figurava in nessuna carta: si trattava dell’isola di Kauai, nell’arcipelago delle Hawaii. In omaggio a John Montagu, IV Lord Sandwich (1718-1792), ministro della Marina e protettore di Cook, le isole vennero battezzate con il suo nome. Il valore strategico di queste terre non sfugge al capitano, che lo trascrive nel suo giornale di bordo. Gli Hawaiani accolgono i marinai con grandi manifestazioni di simpatia. Cook rimane su queste isole per due mesi, quindi riparte verso l’America del Nord, dove realizzerà la cartografia del canale di Nootka e della costa nord-est del Canada. All’altezza del 70° parallelo nord, in mezzo ai ghiacci, egli sarà costretto a fare marcia indietro, non riuscendo a doppiare lo stretto di Bering. Ritornato alle isole Sandwich, viene ucciso il 14 febbraio 1779 dai nativi.

La Perouse e Malaspina

Nel 1785 Jean François de Galaup, conte de La Perouse (1741-1788), veterano del Canada e dell’India, parte per il Pacifico al fine di realizzare alcuni lavori cartografici. Egli doveva effettuare, come Cook, un giro del mondo che contemplasse anche la ricerca del passaggio a Nord Ovest. La Perouse visita la California, l’Alaska, la Corea, la Cina, le Filippine e l’Australia. I rilievi scientifici dovevano completare i lavori cartografici di Cook, aprire nuove rotte marittime, valutare le possibilità del commercio delle pelli e, infine, stabilire delle basi navali permanenti. Circa il 10% delle persone imbarcate sulle fregate Astrolabe e la Boussole erano scienziati: botanici, illustratori, geologi, astronomi. L’epilogo della spedizione di La Perouse sarà la visita a Botany Bay (Sidney) dove i Britannici lo accoglieranno con una gelosa cortesia. A dare ascolto alle previsioni contenute in una lettera inviata dal navigatore da questo luogo, egli prevedeva di essere di ritorno in Francia intorno al giugno 1789. Ma La Perouse scomparirà poco dopo, presumibilmente in mare, senza lasciare alcuna traccia di sé. Antoine Bruni d’Entrecasteaux (1737-1793), inviato alla sua ricerca alla testa di due fregate, morirà nel 1793 senza averlo trovato, poco lontano dall’arcipelago di Tonga. Il suo equipaggio, minato da disaccordi fra monarchici e rivoluzionari, verrà decimato dallo scorbuto e dalla dissenteria.
I viaggi di Cook e di La Perouse spingeranno la Spagna a reagire. La più importante spedizione scientifica sostenuta da Madrid, comandata da un capitano di fregata di origine italiana Alessandro Malaspina di Mulazzo (1755-1809), verrà condotta sul solco delle precedenti spedizioni fra il 1789 ed il 1794. La spedizione aveva lo scopo di riunire conoscenze enciclopediche sui possedimenti spagnoli, portando allo stesso tempo, una attenzione particolare alle questioni politiche, di estrema importanza per la monarchia. La divisione dei compiti che ne risulta è molto netta. Mentre un gruppo di partecipanti si dedica agli studi naturalistici e geografici, le ricerche sullo stato politico dell’America e delle Filippine rivestiranno un carattere confidenziale. I preparativi che precedono la partenza, avvenuta il 30 luglio 1789, rappresentano un modello di efficacia. Essi includono la ricezione di materiale scientifico proveniente da Londra, da Parigi e dall’osservatorio scientifico di Cadice, così come l’equipaggiamento di navi specifiche dotate di strumenti astronomici, nautici, fisici, chimici, meteorologici e geodetici, senza dimenticare una eccellente biblioteca e un laboratorio. Vengono inoltre consultate grandi personalità scientifiche, come Antonio de Ulloa y la Torre Girault (1716-1795), José de Mazarredo (1745-1812), il britannico Joseph Banks ed il francese Jerome Lefrançois de Lalande (1732-1807). Parallelamente vengono reclutati alcuni dei migliori marinai e scienziati del momento, di diversa origine: Juan Gutierrez de la Concha y Mazon de Guernes (1760-1810), Juan Vernacci y Retamal (?-1810), Cayetano Valdes y Flores (1767-1835), l’astronomo Dionisio Alcalà Galiano (1760-1805), i cartografi José Espinosa y Tello (1763-1815) e Felipe Bauzà y Cañas (1764-1834), i naturalisti guatemalteco Antonio Pineda (1753-1792), il francese Luis Née (1735-1807) ed il cecoslovacco Tadeus Haenke (1761-1813), il disegnatore José Guio ed anche i pittori José del Pozo (1757-1821) e l’italiano Fernando Brambila o Brambilla (1763-1834). Gli equipaggi delle due corvette, specificamente costruite par questo esigenza, la Descubierta e la Atrevida, che comprendeva 208 effettivi, verranno completati con alcuni volontari.
L’arrivo sul continente americano avviene il 20 settembre 1789 nel porto di Montevideo. Dopo aver percorso il rio de la Plata ed essere passati per Sacramento, Maldonado e Buenos Aires, i membri della spedizione effettuano gli studi astronomici e geodetici. Essi si dirigono successivamente verso Puerto Deseado, in Patagonia, prima di proseguire verso le isole Malvine, Capo Horn, Concepcion e Santiago del Cile. A quel punto essi danno inizio allo studio sistematico delle coste occidentali del continente americano, realizzando la cartografia del litorale del Cile, del Peru, dell’Ecuador, di Panama, del Nicaragua e del Messico, per terminare in Alaska a 60° di latitudine Nord. Durante questa campagna raccoglieranno preziose informazioni etnografiche e iconografiche e quindi ricercheranno, come gli altri, il famoso passaggio a Nord-Ovest. Le due corvette ritornano in seguito ad Acapulco, punto di partenza per un viaggio di un anno e mezzo attraverso il Pacifico, contrassegnato da tappe a Guam, nelle Filippine, in nuova Zelanda, sulla costa orientale dell’Australia (Sidney) e nelle isole Vavau. Nel 1793, la spedizione rientra a Callao in Peru, quindi si separa poco dopo in due gruppi. Una parte dei cartografi e dei naturalisti attraversano le Ande per via terrestre, mentre gli altri ritorneranno nell’Atlantico attraverso Capo Horn. Tutti i membri della spedizione si ritroveranno, infine, a Montevideo per rientrare in Spagna. Essi arriveranno il 21 settembre 1794 a Cadice, muniti di una grande quantità di materiale scientifico e di una colossale esperienza accumulata. Ma il mondo, nel frattempo, era molto cambiato nel corso degli ultimi cinque anni e Malaspina sarà in seguito molto più conosciuto per la sua sfortuna che per le sue scoperte: si ritroverà implicato in una assurda cospirazione di palazzo che lo costringerà a passare in prigione molti anni.

Stabilire i limiti

Nel corso del XVIII secolo, risultava frequente che la delimitazione delle frontiere fosse realizzata sul terreno, con aiuto di cippi o di segni “imperescibili”. I commissari incaricati di questi compiti ne approfittavano per redigere mappe di regioni isolate o frontaliere, come anche per fondare città o villaggi. Alcuni di questi commissari diventeranno molto celebri, come ad esempio padre Junipero Serra (Miguel José Serra Ferrer 1713-1784), fondatore di numerose missioni in California. Egli inizia il suo percorso come accompagnatore del capitano e governatore di Puebla Gaspar de Portolà i Rovira (1716-1784), che aveva ricevuto l’ordine dall’ispettore generale della Nuova Spagna, José de Galvez y Gallardo, marchese di Sonora di fissare la frontiera californiana. Nel 1769 Serra fonda la missione di San Diego de Alcalà e l’anno seguente quella di San Carlos Borromeo. Secondo lui, i missionari avevano il dovere di insegnare agli Indiani l’agricoltura e l’allevamento e di inculcare loro la fede. Città come San Francisco, Los Angeles, Monterey o San Diego verranno fondate lungo il suo tragitto.
Non lontano da lì, l’acquisto della Louisiana dalla Francia napoleonica da parte degli Stati Uniti nel 1804 dà origine alla spedizione di Lewis e di Clark, in nome della stessa esigenza di stabilire una frontiera sul terreno. Con l’aiuto di alleati indigeni essi percorrono il fiume Missouri verso ovest, superano le montagne Rocciose e alla fine del 1805 riescono a raggiungere le coste del Pacifico. Occorrerà attendere ancora molto tempo prima che queste praterie e queste montagne siano occupate in maniera permanente dall’uomo bianco.
Nell’aprile 1772 José Solano y Bote y Carrasco (1726-1806), Capitano Generale di Santo Domingo riceve l’ordine di intraprendere negoziati in vista di un accordo definitivo con i Francesi sulla delimitazione della parte occidentale dell’isola. Cinque anni più tardi, il Trattato di Aranjuez fisserà un tracciato che segue il fiume Dajabon a nord e il fiume Padernales a sud. Questo processo di delimitazione delle frontiere ha riguardato l’insieme dei possedimenti coloniali. In tale contesto verranno condotti, ad esempio, due grandi cicli di spedizioni ispano-portoghesi, connessi con l’applicazione del Trattato di Madrid (1750) e preliminare al Trattato di San Ildefonso (1777). Nel primo caso, la linea di separazione in contestazione andava dal Suriname all’Uruguay direttamente attraverso l’interno dei territori brasiliani. La frontiera era talmente vasta che saranno necessarie due spedizioni, una che riguarderà il settore dalle montagne della Guyana fino alla foce del fiume Jauru e l’altra che interesserà il settore dal fiume Jauru fino a Castillo Grande, in Uruguay. Ogni spedizione si dividerà, a sua volta, in gruppi formati pariteticamente da Spagnoli e Portoghesi. La prima spedizione “detta dell’Orinoco” viene posta sotto il comando dal capitano José Iturriaga y Aguirre (1699-1767), arriva a Cumanà (a est del Venezuela) nell’aprile del 1754. Si trattava del punto di partenza scelto per dirigersi verso l’interno del continente, dove i commissari portoghesi, condotti da Francisco Xavier de Mendonça Furtado (1701-1769), fratello del marchese de Pombal, attenderanno il loro arrivo per cinque lunghi anni. Nel 1755 gli Spagnoli raggiungono la località di Santo Tomé de Guyana, ma sono costretti a pazientare fino al febbraio dell’anno seguente per percorrere i torrenti di Atures e di Maipures.
Fino al 1761, anno in cui si ritirano, le esplorazioni procedono a ritmi elevatissimi, nell’alto Orinoco e nell’alto Rio Negro, come anche il consolidamento delle colonie nell’Amazzonia, sia da parte portoghese che spagnola.
La spedizione dei limiti del sud, da parte spagnola, viene affidata al peruviano Gaspar de Munive Leon Garabito Tello y Espinosa, marchese de Valdelirios (1711-1793). Per quanto concerne i Portoghesi, il primo commissario sarà Gomez Freire de Andrade (1757-1817). La partenza della spedizione avrà luogo da Cadice nel novembre 1751. Alla fine dell’anno seguente, i commissari spagnoli e portoghesi riuniti danno inizio ai lavori. Due mesi più tardi, le attività verranno interrotte a causa della resistenza armata degli indigeni Guaranì. Questi si erano sollevati a seguito dell’ordine della annessione al Portogallo – imposta dal Trattato di Madrid – delle celebri missioni gesuite e abitate da più di 30 mila persone. Dopo qualche vittoria parziale degli indigeni e dei gesuiti che li sostenevano, i Guaranì verranno disfatti nella Battaglia di Caibaté, nel febbraio del 1756. Tre mesi più tardi le truppe associate finiscono di occupare le missioni e le commissioni potranno così riprendere i lavori di delimitazione, con i rilievi topografici dell’Ibicuy e le ricognizioni fluviali sui fiumi Pepiri, Iguazù, Paraguay e Paranà.
L’ultima tappa è contrassegnata da disordini interni provocati dal sanguinoso conflitto scoppiato con i gesuiti e i Guaranì. Il ritiro della Spagna dalla spedizione della delimitazione dei confini avrà luogo nel corso del 1761. Nello stesso anno avrà luogo la firma del Trattato di annullamento del Pardo che metterà fine all’accordo diplomatico ispano-portoghese firmato nel 1750. Questa firma comporta il ritorno alla vecchia situazione. Gli anni seguenti saranno caratterizzati da incessanti conflitti di frontiera che la Spagna e il Portogallo cercheranno di risolvere, riavvicinandosi, per mezzo del Trattato preliminare di San Ildefonso del 1777.

In Amazzonia e nel Mato Grosso

Il Trattato di San Ildefonso del 1777, nonostante il suo carattere temporaneo, è stato l’ultimo accordo ispano-portoghese riguardante le frontiere dei rispettivi possedimenti. I principali commissari saranno, questa volta, per gli Spagnoli, il capitano di vascello José Varela Ulloa (1739-1794) e per i Portoghesi Sebastiao Xavier de Vega. Alla fine del 1781, quelli che non si trovavano già in America, si riuniscono a Lisbona e nel febbraio dell’anno seguente salpano alla volta di Rio de Janeiro, La delegazione, circa un anno dopo, raggiungerà la nuova capitale del vicereame, Buenos Aires, dove riceveranno strumenti scientifici, specifici, costruiti appositamente a Londra.
Nel dicembre 1783 i primi due gruppi (sottocommissioni) si recano a Montevideo, mentre gli altri due partono per Asuncion, nel Paraguay. I commissari Varela ed Alvear, che dovevano lavorare insieme dal litorale alla sorgente del rio Negro, si uniscono ai Portoghesi nel febbraio 1784. Le dispute fra le due delegazioni affiorano quasi subito, ma esse riusciranno comunque a condurre in porto importanti lavori astronomici e cartografici. Le attività scientifiche venivano interrotte ogni inverno dalle inondazioni e dalle malattie. Nel giugno 1801, preso atto dell’inutilità della prosecuzione dei lavori di delimitazione, viene ordinato ai Spagnoli il rientro in Patria.
Altre commissioni negli anni seguenti non avranno migliore esito. A nord del continente, la sottocommissione del Marañon (Amazzonia) aveva operato simultaneamente. Composta dall’ingegnere militare Francisco Policarpo de Requena y Herrera (1743-1824), dal capitano Felipe de Arechua, da un prete, da un chirurgo e da un segretario, essa era partita da Quito nel gennaio 1780 per raggiungere Tabatinga due mesi più tardi, nel cuore dell’Amazzonia. In questa località, Requena e i suoi compagni andranno incontro a una serie di disavventure. I Portoghesi discutono la procedura di applicazione del trattato e richiedono la consegna dei forti spagnoli di San Carlos, San Felipe e San Augustin, sul Rio Negro, che la Spagna ovviamente rifiuta. Tutti, a quel punto, si insediano nella località di Tefé e iniziano, nel febbraio 1782, a esplorare il fiume Japura. Requena, malato, privo di un astronomo e a corto di viveri e di imbarcazioni, partecipa comunque alla ricognizione dello sbocco del Rio Araporis e del fiume dos Enganos. Egli finisce, tuttavia, per scoraggiarsi di fronte alle ostilità e le vessazioni dei Portoghesi. Quattro anni più tardi, nel dicembre 1791, Requena decide di rientrare al capoluogo di Maynas in Perù e, nel 1804, la sottocommissione viene definitivamente disciolta.
Di tutt’altro tenore sarà il viaggio nel bacino amazzonico e nel Mato Grosso del naturalista Alessandro Rodriguez Ferreira (1756-1815), che qui raccoglie piante, animali e minerali tra il 1783 e il 1792. Tutto il materiale raccolto verrà poi inviato a Lisbona. Ma con l’invasione napoleonica della penisola iberica e l’esistenza de facto di un protettorato inglese sul Portogallo, le carte e i piani verranno ceduti ad astronomi e cartografi di Londra, che si affretteranno a pubblicarli. I ricchissimi fondi sul Brasile del gabinetto del Palazzo da Ajuda, verranno saccheggiati da naturalista francese Etienne Geoffroy de Saint Hilaire (1772-1844). L’opera di Rodriguez Ferreira verrà a quel punto incorporata a quelle di altri collezionisti e sarà anonimamente integrata ai fondi del Museo Nazionale di Storia naturale di Parigi, che riuniva già una delle più ricche collezioni del mondo.

Humboldt

Humboldt e Bonpland ai piedi del vulcano Chimborazo

Humboldt e Bonpland ai piedi del vulcano Chimborazo

Alcuni affermano che il XIX secolo ha avuto effettivamente inizio nel 1793, quando Luigi XVI (1754-1793), diventato il cittadino Luigi Capeto, viene ghigliottinato. Se ci si riferisce ai viaggi ed alle esplorazioni, è la figura del “principe dei viaggiatori”, il tedesco Alexander von Humboldt (1769-1859) che separa veramente il secolo dei Lumi dal Romanticismo e la semplice descrizione dei territori dalla scienza geografica. Nato a Berlino nel 1769, Humboldt riceve una educazione molto curata. Dopo diversi viaggi attraverso l’Europa, egli arriva in Spagna nel 1799, dove ottiene il permesso di partire per l’America e le Filippine allo scopo di studiare “la formazione del globo, la misura degli strati che lo compongono e la scoperta delle relazioni generali che legano gli esseri organizzati”. Humboldt e il suo compagno di avventure, il botanico francese Aimé Bonpland (1773-1858) lasciano la Spagna nel giugno 1799 dal porto de La Coruña per ritornarvi solo nell’agosto del 1804. Il loro viaggio è costellato da una serie di peripezie e di incidenti, ma l’importanza dei suoi apporti scientifici costituiranno il punto di partenza di una nuova era.
Dopo una scalo alle isole Canarie, la nave di Humboldt prende la direzione di Cuba. Durante il viaggio si manifesta una epidemia di tifo e l’equipaggio viene forzato a sbarcare in Venezuela. Da Cumanà, Humboldt e Bonpland iniziano un periplo di 1.500 miglia fino alla confluenza dell’Orinoco e del Rio Negro, nell’Amazzonia. In sedici mesi raccoglieranno più di 5 mila specie di flora, di cui 3 mila ancora sconosciute in Europa. Fra i fenomeni attentamente studiati da Humboldt si possono ricordare l’utilizzo del caucciù naturale, la fisiologia della anguilla elettrica, l’effetto del veleno curaro, una eclissi solare e una pioggia di meteoriti.
La tappa seguente del viaggio sarà Cuba, dove sottolinea la terribile realtà della schiavitù e allaccia solide amicizie fra i nobili locali proprietari di stabilimenti per la sfruttamento della canna da zucchero. Dopo aver elaborato un progetto di proseguire il viaggio verso i Grandi Laghi degli Stati Uniti, per poi discendere lungo il Mississippi, attraversare il Messico per poi raggiungere le Filippine. Humboldt legge in un giornale la notizia sull’organizzazione di una nuova spedizione. Di fatto il capitano francese Nicolas Baudin (1754-1803) era sul punto di partire a capo di una spedizione diretta ai mari del sud. Humboldt decide a quel punto di partire da Cuba per raggiungerla a Lima. Partito in direzione del vicereame di Nuova Granada, egli sbarca a Cartagena e studia la geografia e i fenomeni vulcanici delle Ande. Dopo aver effettuato l’ascensione del Chimborazo, Humboldt si rende conto di non poter raggiungere Baudin in tempo, fatto che non gli impedisce di arrivare in Perù. Egli consegna delle note sul transito del pianeta Mercurio e decide di recarsi nel Messico. Durante uno scalo a Guayaquil studia la grande corrente fredda delle coste occidentale dell’America del Sud, che porta oggi il suo nome.
Paragonata con la tappa precedente, questa volta Humboldt viaggia poco attraverso il Messico, dove si interessa in particolare ai villaggi minerari, ai vulcani e ai porti. Effettua, tuttavia, uno studio sociale ed economico completo, grazie a un accesso privilegiato agli archivi e alle biblioteche locali. Nel 1804, rinunciando al progetto di dirigersi a ovest per realizzare la circumnavigazione del globo, decide di rientrare in Europa, sottolineando così la ragione di tale decisione: “lo stato lamentabile dei nostri strumenti, la futilità dei nostri sforzi per rimpiazzarli, l’impossibilità di raggiungere il capitano Baudin, l’assenza di una nave che possa portarci alle isole incantate de Pacifico del sud, ma più ancora l’urgente necessità di prendere conoscenza dei rapidi progressi della scienza, avvenuti durante la nostra assenza”.
Humboldt non poteva esprimere più chiaramente la necessità di passare dallo stato di esploratore a quello di specialista, dallo stato di curioso a quello di scienziato. Dopo una breve pausa a Cuba e una visita al presidente Thomas Jefferson (1743-1826), negli Stati Uniti, sbarca in Spagna nell’agosto del 1804 e decide di stabilirsi a Parigi, dove soggiornerà fino al 1827, prima di trasferirsi a Berlino. Altri viaggi lo condurranno in Russia nel 1829, ma sarà la redazione della sua opera maggiore, Cosmos: saggio di una descrizione fisica del mondo, pubblicata fra il 1845 ed il 1862 (un lavoro di circa 25 anni) che gli darà l’immortalità.
Il fascino che si può provare per la vita e l’opera di Humboldt nasce anche da una certa percezione letteraria che se ne può trarre, nella misura in cui egli è stato l’inventore della sua stessa vita, cioè un uomo capace di costruire la sua leggenda personale. Ai periodi di viaggio e di esplorazione corrispondono altrettanti momenti di studio e di lavoro a tavolino. Definire Humboldt, contemporaneo delle rivoluzioni atlantiche, come un uomo di rottura e un grande fautore dell’indipendenza nell’America iberica è un errore che spesso viene commesso. Al contrario, una parte importante della sua opera propone una lettura pacata del passato, supportata dall’idea di una marcia inesorabile dell’umanità verso il progresso universale. Il fatto che nella sua opera abbia dato spazio alle civiltà precolombiane – pur posando un sguardo nuovo e attendo sugli Indiani, i Neri e i Creoli, generalmente disprezzati dai colonizzatori spagnoli – non fa certo di lui un rivoluzionario. Che il liberatore delle Americhe, il venezuelano Simon Bolivar (1783-1830) abbia ammirato sinceramente l’erudito che aveva saputo offrire una storia al continente e alle giovani repubbliche emancipate, non significa che Humboldt abbia rivestito un ruolo importante nella storia delle lotte per l’indipendenza del primo quarto del XIX secolo. Per convincersene basta riferirsi alla corrispondenza intercorsa fra i due uomini. Solo due lettere di Simon Bolivar indirizzate ad Humboldt sono pervenute sino a noi, datate 1821 e 1826. E tre scritte dallo scienziato al Libertador, datate 1822 e 1825. Secondo una tesi erronea entrambi avrebbero fatto la reciproca conoscenza nei raffinati saloni di Parigi nel 1804. Bolivar, con l’entusiasmo dei suoi 21 anni, avrebbe confidato a Humboldt il suo progetto di liberazione continentale, a cui lo scienziato avrebbe risposto: “Io penso che il vostro Paese è già maturo, ma non vedo quale uomo potrebbe condurre in porto un tale progetto”.
La versione più fantasiosa delle relazioni fra i due uomini racconta che Bolivar sarebbe stato l’accompagnatore di Humboldt in occasione della sua ascensione del Vesuvio del 1805, fatto che è cronologicamente impossibile. In ogni caso, alla fine dei conti la cosa non riveste grande importanza: l’opera di Humboldt è importante perché ha fondato la geografia moderna e ha affrancato intellettualmente il Nuovo Mondo dall’Europa.

Per saperne di più

Béatrice Elisabeth Waggaman, Le Voyage autour du monde de Bougainville: droit et imaginaire, Nancy, Presses universitaires de Nancy, 1992.
Vanessa Collingridge, Captain Cook: The Life, Death and Legacy of History’s Greatest Explorer, Ebury Press, 2003.
Andrea Wulf, L’invenzione della natura. Le avventure di Alexander Von Humboldt, l’eroe perduto della scienza, LUISS University Press, 2017