LA SCUOLA ITALIANA DAL 1945 AGLI ANNI ’80

di Raffaele Pisani -

Attivismo pedagogico, sviluppo della personalità dell’alunno, istituzione della Scuola Media Unica e organi elettivi a vari livelli: attraverso una serie di passaggi cruciali la scuola italiana cerca di ampliare il diritto allo studio nel rispetto del dettato costituzionale.

Con la completa liberazione dell’Italia dal regime nazifascista arrivarono anche importanti novità per il mondo della scuola. Per ciò che riguarda l’educazione infantile il nuovo Stato non dimostrò alcuna intenzione di prendere in mano la situazione, delegando agli enti ecclesiastici questo settore. All’attivismo comprensibile dei cattolici, che ora potevano agire con maggiore libertà, si accompagnò un diffuso disinteresse dei partiti laici per un problema che probabilmente ritenevano secondario. Del resto la situazione economica e questioni più impellenti consigliavano di differire ogni iniziativa in merito. Così nelle scuole materne, comunemente chiamate asili infantili, fino agli anni Settanta del Novecento la figura caratteristica della suora sarà l’elemento dominante e caratterizzerà i ricordi di tante generazioni di bambini. Era un luogo nel quale gli alunni venivano in primo luogo accuditi, accompagnati nelle attività ludiche ed educati religiosamente.
Nella scuola elementare i programmi, già in parte applicati nel Regno del Sud, vennero estesi a tutta l’Italia. La Sottocommissione alleata per l’educazione si era assunta il compito di defascistizzare la scuola, per questo si fece aiutare da valenti pedagogisti italiani, Gino Ferretti è forse la figura in questo senso più significativa. Questa iniziativa trovò una certa opposizione da parte della gerarchia ecclesiastica e anche di molti cattolici impegnati nella vita politica, soprattutto riguardo l’insegnamento della religione. Questa, a parer loro, non avrebbe dovuto essere una generica educazione religiosa ma un insegnamento basato sui principi del cattolicesimo.
Carleton Washburne, direttore della Sottocommissione, era discepolo del grande filosofo e pedagogista americano John Dewey, di cui aveva colto, specie nell’opera Una fede comune, del 1934, queste idee riguardo l’educazione religiosa, in Italia accettate con una certa riluttanza.

Dall’America arrivava anche l’attivismo pedagogico, che faceva del libero sviluppo delle forze interiori del bambino l’elemento basilare del proprio metodo. L’alunno veniva ad assumere un ruolo centrale e la sua attività ludica ampiamente valorizzata. La classe elementare doveva diventare nell’idea del legislatore una comunità, che avrebbe trovato al suo interno quelle regole democratiche che avrebbero permesso una sorta di autogestione. Ci si proponeva di educare alla socialità operando concretamente nella continuità dell’azione.
Le vicende della guerra avevano provocato un significativo ritorno dell’analfabetismo, da quello totale a quello di chi, avendo frequentato parzialmente la scuola, non era comunque in grado di leggere e scrivere. Per venire incontro a questo grave problema venne istituita nel 1947 ( D.L. 17 – 12) dal Ministero della Pubblica Istruzione la Scuola Popolare per adulti. Essa prevedeva corsi per analfabeti totali, per semianalfabeti ed anche per l’aggiornamento della conoscenze elementari già acquisite. Questi ultimi avevano un carattere vagamente professionale e prevedevano il disegno applicato, la contabilità, le tecniche agricole ed artigianali ed anche una lingua straniera. La disposizione precisava comunque che si trattava di insegnamenti facoltativi, da attuarsi nelle località in cui la popolazione scolastica li chiedesse e ove non mancassero insegnanti e istruttori pratici.
Con Giuseppe Ermini alla Pubblica Istruzione e Mario Schelba capo del governo (DC, PSDI, PLI) vennero emanati (D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503) i Programmi didattici per la Scuola Elementare, comunemente definiti dagli storici come Programmi dell’attivismo cattolico.
Erano passati dieci anni dalla fine del conflitto e l’Italia era entrata in una fase di normalità istituzionale. La Costituzione repubblicana in parecchi articoli tratta il tema dell’istruzione e le forze politiche che governavano il Paese pensavano fosse giunta l’ora di dare una svolta ai programmi della scuola elementare. Quelli in atto, che pure godevano di un notevole apprezzamento, non si ritenevano abbastanza in linea con la nostra tradizione culturale. L’insegnamento della religione, ma ancor più la visione educativa generale, saranno la base di questi nuovi programmi che, pur con qualche piccola variazione, resteranno in vigore per trent’anni.

Si diceva degli elementi di novità, notiamo in primo luogo il cosiddetto “globalismo”, da intendesi come azione didattica intesa allo sviluppo della personalità dell’alunno, prima ancora che come trattazione sistematica delle materie. Ciò si nota con maggiore evidenza in prima e in seconda, che insieme costituiscono il primo ciclo; qui si parla di lettura, scrittura e altre attività espressive, accompagnate dall’aritmetica e dalla geometria. Nel secondo ciclo, accanto a queste ultime due discipline troviamo la lingua italiana, la storia, la geografia, le scienze ed anche il disegno la recitazione, il canto e l’educazione fisica. La religione è indicata al primo posto e costituisce fondamento e coronamento di tutto il sapere, è seguita dal comportamento ed educazione morale e civile. Per ultimo sono indicate le attività manuali e pratiche.
La progressiva attuazione dei dettati costituzionali in materia scolastica si realizzò man mano nel tempo. L’articolo 38, comma 3: «Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale», trovò applicazione nelle Scuole speciali e nelle Classi differenziali. Già con la circolare ministeriale del 1/03/1953 n. 771/12 si parla di queste scuole nelle quali vengono «accolti gli alunni tardivi, nervosi e instabili i quali rivelano inadattabilità alla disciplina comune, ai normali metodi e ritmi d’insegnamento e possono raggiungere un livello normale solo se l’insegnamento viene ad essi impartito con metodi e forme particolari». Con una successiva legge del 24/07/1962, n. 1073 si provvide ad estendere questo tipo di scuole in maniera più capillare, toccando anche i piccoli comuni.

Un passo fondamentale nel cammino della scuola italiana fu l’elevazione dell’obbligo scolastico fino ai quattordici anni, con l’istituzione della Scuola Media Unica. Essa andava a sostituire la vecchia scuola media tradizionale, che dava accesso a tutti gli ordini di studi, e le scuole di avviamento professionale, che inserivano direttamente nel mondo del lavoro.
Preceduta da una serie di proposte, disegni di legge e richieste di emendamenti da parte di vari gruppi parlamentari, fu finalmente varata la legge n. 1859 del 31-12-1962, che istituiva la scuola media unica. Ministro della pubblica istruzione era Luigi Gui, capo del governo Amintore Fanfani. Si trattava di un governo che si apriva a sinistra, era composto di democristiani, social-democratici e repubblicani, ottenne l’astensione dei socialistici, che in tale occasione ebbero modo di far sentire le loro istanze riguardo la politica scolastica.
La scuola media unica doveva attuare l’articolo 34 della Costituzione, che afferma l’obbligatorietà, per almeno otto anni dell’istruzione pubblica. Essa doveva rispondere alle istanze di elevazione culturale della società, finalizzate ad una più ampia e consapevole partecipazione alla vita democratica del paese.
D’altra parte, se la scuola media si poneva come un diritto-dovere per la società democratica, si rendeva necessaria anche per motivi di carattere più pragmatico. La Confindustria, in un convegno su Istruzione e Industria tenuto nel 1959, rilevava «la necessità di una funzione formativa, più che informativa, della scuola dell’obbligo» e considerava inadeguata e non rispondente al sistema produttivo la divisione esistente tra scuola media e scuole di avviamento.
Nella premessa ai programmi si puntualizza come il compito educativo della scuola sia un ampliamento e un approfondimento di quello della famiglia. Si afferma il carattere essenzialmente formativo e la conseguente necessaria attenzione alle caratteristiche psicologiche dell’età preadolescenziale. Altri punti rilevanti riguardano il richiamo alla individualizzazione dell’insegnamento, da attuarsi per gruppi e per squadre, e la concezione globale della scuola, definita come: «Vera comunità, per tutti egualmente stimolante». Da notare infine la funzione orientativa della scuola media che, in virtù delle materie facoltative, chiarisce e sviluppa le attitudini personali in vista delle future scelte scolastiche e professionali.

Quanto ai mezzi e ai metodi, si fa affidamento alla «responsabile libertà degli insegnanti e alla loro inventiva didattica», formula che, se da un lato pare esprimere un’alta considerazione per il corpo docente, d’altro canto rivela che non è previsto nel presente alcun impegno finanziario ed organizzativo da parte del ministero.
Il settore dell’educazione dell’infanzia fino a buona parte degli anni Sessanta del Novecento era gestito in gran parte da istituti religiosi cattolici, anche la modesta porzione in mano ad enti pubblici era di fatto appaltata a questi. Le mutate condizioni culturali e sociali dell’Italia rendevano anacronistica questa situazione e la necessità di una scuola materna laica statale era un’esigenza sentita da molti. Con la legge n. 444 del 18.03.1968 lo Stato si prese cura direttamente dell’educazione dell’infanzia.
Nella scuola elementare in virtù della legge n. 820 del 24.09.1971 si istituiva la sperimentazione del tempo pieno. Detta legge ebbe l’effetto di immettere in ruolo un numero rilevante di insegnanti elementari e c’è chi afferma che questo fosse il suo scopo principale. Un altro giudizio limitante che veniva espresso a livello popolare su questo nuovo modello di scuola era che sarebbe dovuta servire da “parcheggio” per il figli dei genitori impegnati nel lavoro. Per fortuna c’erano anche altre e più nobili motivazioni che giustificavano questo tipo di orario scolastico, che faceva tutt’uno con una diversa prassi didattica.
Genitori, insegnanti e direttori didattici seppero realizzare nelle varie realtà locali degli interessanti progetti che presero corpo e si irrobustirono nel corso del tempo, divenendo degli stabili punti di riferimento per una certa parte dell’utenza scolastica.
L’articolo 1 così recita: «Le attività integrative della scuola elementare, nonché gli insegnamenti speciali, con lo scopo di contribuire all’arricchimento della formazione dell’alunno e all’avvio della realizzazione della scuola a tempo pieno, saranno svolti in ore aggiuntive a quelle costituenti il normale orario scolastico, con specifico compito, da insegnanti elementari di ruolo».

Nella prima metà degli anni Settanta del Novecento la scuola italiana di ogni ordine e grado fu interessata da una serie di disposizioni ministeriali che rivoluzioneranno certi aspetti del suo funzionamento.
Preceduti dalla legge delega del 30 luglio 1973, n. 477, i Decreti delegati nn. 416, 417, 418, 419, 420, del 31 maggio 1974, hanno costituito una tappa fondamentale per la partecipazione democratica alla gestione della scuola. Da questo momento in avanti le varie componenti scolastiche avranno la sede istituzionale per poter far valere le loro istanze. Il D.d. 416 prevede infatti organi elettivi a vari livelli: dai consigli di classe e di interclasse a quelli di circolo, di istituto, di distretto e di provincia, per arrivare fino al Consiglio nazionale della pubblica istruzione. Il 419 riguarda invece la sperimentazione e la ricerca educativa, esso dà la possibilità anche ai singoli docenti di presentare dei progetti di innovazione didattica, che comunque avrebbero dovuto essere vagliati a vari livelli prima di essere messi in atto. Gli altri decreti riguardano lo stato giuridico del personale della scuola e questioni di ordine economico retributivo.
Non mancò chi vide nei decreti un’azione di contenimento da parte del governo che, sull’onda della contestazione studentesca del Sessantotto e delle lotte sindacali degli anni seguenti, si sarebbe visto costretto a concedere una serie di organismi democratici, peraltro poco efficaci concretamente. “Decreti Malfatti”, dicevano gli oppositori, giocando sul cognome del ministro della pubblica istruzione: Franco Maria Malfatti.

L’attuazione del diritto all’istruzione trovò compimento anche nei corsi di scuola media per adulti. I lavoratori , in primis i metalmeccanici, ottennero il diritto di fruire di 150 ore retribuite per la propria formazione culturale. La circolare ministeriale del 9 gennaio 1974 dettava le norme sui corsi sperimentali di scuola media per lavoratori. Il curricolo prevedeva quattro ore settimanali per ognuna delle seguenti discipline: matematica ed osservazioni scientifiche, geografia, educazione civica e storia, italiano, lingua straniera. Dal punto di vista metodologico si privilegiava il lavoro di gruppo, sia a livello di docenti sia per gli allievi. Trattandosi di studenti adulti con esperienze lavorative più o meno lunghe, l’approccio doveva essere necessariamente diverso da quello dei corsi ordinari.
Con l’andare del tempo cambiò l’utenza e l’offerta formativa si arricchì differenziandosi in vari campi. Con l’ordinanza ministeriale n. 455 del 29 luglio 1997 vennero istituiti i Centri territoriali permanenti nei quali, oltre alla preparazione per assolvimento dell’obbligo scolastico, si insegnano l’italiano per stranieri, le lingue e varie attività culturali.
Se l’istruzione è un diritto di tutti , anche coloro che presentano delle menomazioni fisiche o psichiche devono poter partecipare a pieno titolo nella scuola pubblica, senza essere marginalizzati. È con questo spirito che vennero attuate le norme per l’inserimento degli handicappati nelle classi normali, legge n. 517 del 1977. Furono eliminate le scuole speciali e le classi differenziali e la scuola ordinaria si fece carico del problema . Il sostegno alle classi con alunni disabili nei primi tempi era attuato da un insegnante di qualsiasi materia, che con le conoscenze e i mezzi che c’erano cercava di fare del suo meglio. Solo in seguito si provvederà con insegnanti appositamente formati per tale compito.

Sul finire degli anni Settanta la scuola media di primo grado è ancora interessata da qualche ritocco riguardante la programmazione in generale, gli specifici programmi nonché il quadro orario delle materie d’insegnamento. Riguardo i primi due punti le leggi di riferimento sono la n. 348 del 16 giungo 1977 e la n. 517 del 4 agosto dello stesso anno.
Per ciò che riguarda i programmi, si afferma l’esigenza di un rafforzamento dell’educazione linguistica, da attuarsi attraverso un più adeguato sviluppo dell’insegnamento della lingua italiana, con riferimenti alla sua origine latina; di un potenziamento dell’insegnamento delle scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali, queste ultime finalizzate anche all’educazione sanitaria; di una valorizzazione, nei programmi di educazione tecnica, del lavoro, inteso come esercizio di operatività unitamente all’acquisizione di conoscenze tecniche e tecnologiche.
La prima delle leggi sopraccitate afferma che tutte le discipline costituiscono argomento di valutazione all’esame di licenza; con la successiva legge del 4 agosto vengono eliminati gli esami di riparazione e le classi differenziali. La stessa legge interviene con altre disposizioni aventi lo scopo di sanare in itinere le carenze individuali che si dovessero manifestare e di provvedere al’integrazione degli alunni portatori di handicap.
Il tradizionale recupero estivo, la cui efficacia doveva essere verificata dall’esame di riparazione, viene ora sostituito da un recupero da attuarsi durante l’anno scolastico, esso prevede interventi fino ad un massimo di 160 ore, da effettuarsi nei tempi e nei modi che il collegio dei docenti ritiene opportuno. È pure previsto l’intervento del servizio socio-psico-pedagogico e dell’assistente personale per gli alunni con problemi fisici e psichici.
Altra importante novità è costituita dall’abolizione dei voti numerici e dall’introduzione della scheda di valutazione; il documento intende rappresentare una dettagliata e sistematica descrizione della situazione dell’alunno. In detta scheda vanno indicati i diversi elementi della valutazione e le loro variazioni nel tempo: partecipazione alla vita della classe, situazione di partenza, interesse, capacità di acquisizione di procedimenti metodologici, progressi compiuti.
Con il D.M. 9 febbraio 1979 l’orario curricolare diventa di trenta ore per tutti gli alunni della stessa classe, non essendoci più le materie facoltative, e viene ad essere uguale per tutte le tre classi. Il latino come materia è sparito, le applicazione tecniche maschili e femminili, con due insegnanti diversi, sono sostituite dalla educazione tecnica; anche nell’educazione musicale ci sono notevoli cambiamenti, prima era obbligatoria solo per un’ora nel primo anno ora è di due ore per tutte le tre classi. Matematica e scienze e lingua straniera assumono qualche ora in più.

 

 

Per saperne di più

Hervé A. Cavallera, Storia della scuola italiana – Le Lettere, 2013
Giuseppe Ricuperati, Storia della scuola in Italia: dall’Unità a oggi – Laterza, 2015
Fabrizio Dal Passo, Alessandra Laurenti, La scuola italiana. Le riforme del sistema scolastico dal 1848 ad oggi – Novalogos, 2017