LA PRIMAVERA ARABA IN TUNISIA: ISLAM, DEMOCRAZIA E POLITICA

di Daniela Franceschi –

Nel dicembre 2010 la rivoluzione dei Gelsomini pone fine al regime corrotto di Ben Ali. Ma il quadro è reso complesso dai retaggi di un colonialismo mai completamente superato e dall’uso della religione per ottenere legittimazione politica. La nuova costituzione del 2014 sembra aver dato maggiore stabilità al Paese.

23 gennaio 2011: contestatori antigovernativi sventolano la bandiera della Tunisia - M. Rais

23 gennaio 2011: contestatori antigovernativi sventolano la bandiera tunisina – M. Rais

La primavera araba in Tunisia è iniziata quando le manifestazioni di massa hanno costretto il Governo, guidato dal Presidente Zine el Abidine Ben Ali, a dimettersi nel gennaio del 2011. Nell’ottobre dello stesso anno, la Tunisia ha tenuto le sue prime elezioni libere e il principale Partito islamista moderato, Ennahda, ha vinto la maggioranza dei seggi dell’Assemblea Costituente Nazionale, che aveva l’incarico di redigere una nuova Costituzione. Tuttavia, Ennahda non ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi, dovendo, quindi, formare una troika con il Congresso per la Repubblica e con il Forum Democratico per il Lavoro e le Libertà (Ettakatol). Dopo tre anni di depressione economica, numerose dimostrazioni e la formazione di svariati Esecutivi, l’Assemblea Nazionale Costituente ha ratificato la nuova Costituzione nel gennaio del 2014.
La Tunisia ha dato vita ad una forma di democrazia che non si allinea perfettamente con la definizione occidentale del termine. Per comprendere la forma statuale e politica della Tunisia dopo la primavera araba dobbiamo analizzare la storia politica del Paese dal periodo del colonialismo francese fino alla recente ratifica della Costituzione.

Nel 1861, la Tunisia ha affrontato degli eventi destabilizzanti; infatti, le campagne di modernizzazione portate avanti nei decenni precedenti avevano prosciugato le finanze dello Stato, consentendo agli investitori europei di intervenire in modo più diretto nelle politiche di bilancio del Paese. Per proteggere i propri interessi nell’area, la Gran Bretagna spinse il bey Muhammad al-Sadiq ad adottare una Costituzione.
La Costituzione tunisina del 1861 è stato il primo testo costituzionale scritto emanato in un Paese musulmano. La Costituzione, redatta da funzionari di Governo in un processo chiuso senza intermediazioni, formalmente stabiliva una monarchia costituzionale in cui i ministri erano responsabili di fronte ad un Gran Consiglio composto da sessanta membri scelti da al-Sadiq. A causa dei significativi problemi finanziari del Paese, il documento era finalizzato a semplificare l’amministrazione dello Stato; infatti, 53 articoli dei 114 della Costituzione erano dedicati alla creazione di pratiche fiscali responsabili, di gerarchie amministrative chiaramente definite e di procedure standardizzate.
La Costituzione introduceva alcuni diritti, tra cui la tutela del diritto alla sicurezza della persona, della reputazione e della proprietà. Tali diritti appaiono ancora più rimarchevoli perché erano applicati a tutti i cittadini del regno, qualunque fosse la loro religione. Anche se queste disposizioni non furono pienamente applicate, è possibile affermare che esse introdussero nel sistema politico tunisino il principio che gli abitanti di ogni credo religioso potessero godere di eguali diritti.
Lo scopo primario della Costituzione era funzionale e procedurale, mirando a rendere lo Stato più efficiente in modo da rafforzarne l’autorità.
Dopo soli tre anni, al-Sadiq sospese la Costituzione in seguito alle forti pressioni delle tribù ribelli e dei funzionari francesi, che ne chiedevano la revoca. Tuttavia, la Costituzione aveva introdotto, per la prima volta, il concetto di costituzionalismo, limitando i poteri del sovrano.

Nei successivi vent’anni, la Francia si è radicata progressivamente nella sfera politica ed economica della Tunisia, fino a stabilire un protettorato nel 1882. La maggior parte dei tunisini disprezzava il protettorato francese; il primo movimento politico organizzato antifrancese, emerso nel 1920, chiedeva primariamente la ratifica di una Costituzione ed un parlamento elettivo, per questo il gruppo divenne noto semplicemente come Destour, parola araba che significa Costituzione. Un ramo del movimento, il Neo-Destour, guidato da Habib Bourguiba, avrebbe svolto un ruolo centrale nella formulazione della futura Costituzione. Il Neo-Destour aveva soppiantato i movimenti nazionalisti precedenti che originariamente non chiedevano con insistenza l’indipendenza ed in cui era più radicata la religione islamica. Anche se non respingeva l’Islam, il Neo-Destour era un movimento politico laico con meno legami religiosi, dato che i suoi leader erano influenzati dall’illuminismo e dalla cultura francesi. Il Neo-Destour era più occidentalizzato rispetto ai movimenti nazionalisti originari e sosteneva per la Tunisia indipendente una forma statuale repubblicana invece che il ripristino del beilicato o della monarchia, che aveva mantenuto una parvenza di potere sotto l’occupazione francese.
La fine del protettorato francese presentò l’opportunità di stabilire un nuovo sistema politico in Tunisia. Le prime libere elezioni per un’Assemblea Costituente si svolsero nel 1956, nelle quali il Neo-Destour, il Partito che aveva la maggiore legittimazione popolare perché si era opposto alla dominazione francese, ottenne tutti i novantotto seggi dell’Assemblea Costituente. Il protettorato francese ebbe fine poco tempo dopo e la Tunisia divenne uno Stato indipendente. L’anno successivo, l’Assemblea spodestò il bey e promulgò la Repubblica.
La politica post-coloniale fu in gran parte laica e antidemocratica, poiché dominata da una parte politica che scoraggiava la partecipazione delle altre. I leader furono influenzati dalla cultura europea e ne facevano propri i valori mentre respingevano le pratiche musulmane, ritenendo la religione un ostacolo alla modernizzazione della Tunisia. Dopo il ritiro della Francia dal Paese, i leader politici si sono impegnati su temi quali l’industrializzazione e la laicità; “moderno” è divenuto sinonimo di “occidentale” e “laico”. Allo stesso tempo, con l’aumento del secolarismo, è diminuita la democrazia; infatti, la Repubblica post-coloniale e la sua leadership avevano visto la crescita dei Partiti nazionalisti, artefici dell’indipendenza, che si concentravano sull’unità nazionale, sopprimendo ogni forma di opposizione che avrebbe potuto minare la coesione nazionale.

La storia post-coloniale della Tunisia è stata determinata da uomini educati in Occidente, influenzati dal liberalismo e dalla modernizzazione francesi. Nel 1957, Habib Bourguiba fu eletto Presidente (1957-1987). Nel corso dei successivi trent’anni, Bourguiba ha progressivamente imposto uno Stato autoritario a Partito unico in cui molti dei diritti elencati nella Costituzione sono stati ignorati in modo sistematico, inoltre, ha sfruttato gli articoli costituzionali e utilizzato le forze di sicurezza per consolidare il potere.
Nel 1959, l’Assemblea, presieduta da Bourguiba, redasse una nuova Costituzione. La Carta costituzionale creava un forte sistema presidenziale con un Esecutivo senza vincoli che poteva nominare e rimuovere i Ministri, redigere le Leggi, ratificare i trattati, e indire referendum per l’approvazione di qualsiasi disegno di Legge. La conservazione di un Parlamento eletto non permetteva che un controllo molto limitato sull’attività governativa. La Costituzione introduceva nuovi principi democratici, in particolare, la sovranità popolare e l’uguaglianza, la libertà di espressione, di stampa, e di riunione. Infine, la Costituzione formulava la relazione tra religione e Stato nel suo articolo di apertura, affermando che “la Tunisia è uno Stato sovrano, libero e indipendente. La sua religione è l’Islam, la sua lingua è l’arabo e la sua forma di Governo è la Repubblica”. La Costituzione del 1959 era una sapiente unione di Leggi francesi con elementi più tradizionali basati sulla Sharia; un approccio misto che si adattava a Bourguiba, che cercava di modernizzare la Tunisia nel solco dell’Europa e della Francia senza provocare disordini tra i tunisini più conservatori e, in particolare, tra coloro che vivevano all’interno del Paese e avevano sostenuto il suo rivale –Salah Ben Youssef – nella corsa per la Presidenza.
Il Presidente Bourguiba credeva che la religione e la modernità fossero incompatibili e tentò di istituzionalizzare gli elementi di laicità durante la sua presidenza. Bourguiba, un avvocato che aveva studiato alla Sorbona ed estimatore di Kemal Ataturk, attuò delle riforme di tipo secolare in Tunisia, ma fu molto attento a non spingersi troppo oltre e troppo in fretta.

Habid Bourguiba è stato un leader carismatico con lo status di eroe nazionale. Come molti leader post-coloniali, aveva studiato in Francia ed era ispirato dal razionalismo francese e dalla filosofia naturale del diritto. Vinse le elezioni presidenziali in quattro diverse occasioni e divenne Presidente a vita nel marzo del 1975. Bourguiba cercò di mantenere la modernità che i francesi avevano portato in Tunisia; infatti, durante l’epoca coloniale, la Francia aveva stabilizzato e stimolato l’economia, anche se in gran parte a beneficio degli investitori europei. Ciò nonostante, il primo obiettivo della giovane Repubblica fu quello di mantenere la stabilità economica attraverso dei mezzi moderni, anche se questo significava introdurre delle pratiche secolari.
Nel creare una Tunisia moderna, il Governo abolì i tribunali religiosi e integrò molte scuole coraniche nel sistema di istruzione pubblico. Un atto politico di notevole importanza fu l’emanazione nel 1956 del Codice dello Statuto della persona; il Codice vietò la poligamia, rendendo la Tunisia il primo Paese arabo di fede musulmana a farlo, la condizione della donna fu ulteriormente migliorata con la dichiarazione che il matrimonio doveva essere consensuale tra le due parti, inoltre, le mogli potevano iniziare le pratiche per il divorzio e le cause di divorzio furono demandate alla competenza dei tribunali civili e non di quelli religiosi o della famiglia, ma allo stesso tempo stabiliva che la moglie doveva “obbedire” al marito e lasciava inalterati alcuni elementi più consolidati della Sharia, particolarmente nell’ambito dei diritti ereditari.
Complessivamente, la strategia politica di Bourguiba rifletteva una nuova visione dello Stato arabo, poiché il Presidente si riteneva un difensore dell’Islam con mezzi moderni, mezzi moderni che erano paragonabili alla laicità francese con cui aveva molta familiarità; cercò di mantenere la religione fuori dalla politica in una società in cui essa permeava e definiva la vita quotidiana dei cittadini. È interessante notare come il Governo post-coloniale abbia fatto affidamento sulla religione per ottenere legittimazione, rispettando l’attaccamento culturale e emozionale della popolazione all’Islam.

Nel 1987, l’allora Primo Ministro Zine al Abidine Ben Ali divenne il nuovo Presidente dopo aver dichiarato Bourguiba mentalmente e fisicamente non più in grado di governare. La fine del regime di Bourguiba si è caratterizzata per un indebolimento dell’economia e l’emergere di disordini civili, in particolare a causa della linea politica sempre più restrittiva messa in atto dal Governo. Seguendo Bourguiba, Ben Ali mise al bando i Partiti islamisti, mettendo a tacere il dissenso. La Presidenza di Ben Ali si caratterizzò per un controllo molto repressivo della società civile da parte del Governo e la dura oppressione degli oppositori politici.
La corruzione era dilagante, e il Presidente e la sua famiglia erano considerati altrettanto corrotti. La libertà di espressione, la partecipazione politica, e di diritti umani erano limitati. Ennahda, un Partito islamista molto influente di cui parleremo in seguito, era stato dichiarato illegale a causa delle sue radici religiose e alcuni membri furono arrestati o costretti all’esilio. Limitando la partecipazione politica, Ben Ali è riuscito a mantenere il potere e a prevenire una opposizione interna, in effetti, le sue azioni non erano motivate dal timore dell’Islam politico in sé ma dalla paura di avere degli avversari politici credibili. Durante la Presidenza di Bel Ali, nel 1993 il Governo ha cercato di accattivarsi il sostegno dei cittadini modificando il Codice dello Statuto della persona; sebbene in gran parte insignificanti, queste modifiche rompevano nuovamente con gli schemi dei codici legali religiosi.
Ben Ali ha vinto numerose elezioni per mezzo di intimidazioni, tecniche elettorali non trasparenti o legittime, usando la forza della polizia segreta per mantenere la popolazione sotto controllo e spegnere ogni opposizione, governando attraverso la paura come molti altri dittatori. Questi fattori, in combinazione con il bando di alcuni Partiti politici, cozzavano con gli interessi della popolazione tunisina più giovane, lasciata senza una rappresentanza politica. Ciò ha provocato un grande risentimento verso il Presidente e il suo establishment, che, unito alle deludenti prestazioni economiche dovute alla dilagante corruzione, ha creato una miscela esplosiva per un movimento rivoluzionario.

La rivoluzione dei gelsomini è iniziata quando un giovane di nome Mohamed Bouazizi si è dato fuoco di fronte ad un edificio governativo nella città di Sidi Bouzid per protestare contro gli abusi della polizia; molti tunisini si sono identificati con la sua storia, fatta di mancanza di opportunità e diritti umani sotto il regime di Ben Ali, del suo Partito, e della polizia segreta. Le proteste iniziate a Sidi Bouzid si sono diffuse in tutto il Paese, per poi raggiungere anche la capitale. Con il crescere delle manifestazioni, Ben Ali ha cercato di calmare i manifestanti annunciando che non avrebbe partecipato alle future elezioni, contemporaneamente ha visitato Bouazizi in ospedale; tuttavia, queste azioni non hanno placato la popolazione che le ha ritenute troppo limitate e tardive. Il 14 gennaio 2011, dopo che l’esercito aveva rifiutato di procedere contro i manifestanti, Ben Ali ha lasciato il Paese con la sua famiglia. La partenza di Ben Ali ha rappresentato un successo per la rivoluzione dei gelsomini, una rivoluzione in gran parte non violenta che si è propagata per l’intera regione.
La rivoluzione dei gelsomini o rivoluzione della dignità, pur avendo le sue radici in un piccolo centro, Sidi Bouzid, ha unito importanti settori della società tunisina che chiedevano la fine del regime di Ben Ali, la democrazia, posti di lavoro e diritti umani. Il gruppo sociale che è stato maggiormente coinvolto nella rivoluzione è stato quello dei giovani dai 18 ai 30 anni; questi individui non solo hanno svolto un ruolo importante nelle dimostrazioni, ma hanno ottenuto anche la parola attraverso blog e social media. Progressivamente, la rivoluzione ha raggiunto la capitale Tunisi, in cui altri gruppi sociali si sono uniti per sostenere il movimento, compresi insegnanti, avvocati, sindacati, e disoccupati. Alla fine lo sforzo combinato di questi gruppi è riuscito a deporre Ben Ali, ponendo fine ad un regime che durava da 23 anni, fornendo un esempio per gli altri Stati della regione.

Mentre l’auto-immolazione di Mohamed Bouazizi a metà dicembre del 2010 è servita come catalizzatore per il movimento rivoluzionario, le cause della rivoluzione sono sia economiche sia sociali. La Tunisia possedeva un’economia moderna e una estesa classe media godeva di un significativo benessere, tuttavia, un ampio strato della popolazione, soprattutto i giovani, si trovava ad affrontare una forte disoccupazione nonostante il possesso di un buon livello di istruzione. Ciò era dovuto alla massiccia corruzione esistente tra le classi superiori, in particolare tra quelle che erano più vicine alla famiglia Trabelsi, la famiglia della moglie del Presidente Ben Ali. Il risultato di questa corruzione era un grande divario fra ricchi e poveri, dato il monopolio di tutte le opportunità di commercio da parte della famiglia Trabelsi, monopolio ottenuto attraverso le connessioni clientelari con lo Stato. Tale neo-patrimonialismo aveva prodotto una massiccia insoddisfazione tra la popolazione, un malcontento così forte da svolgere un ruolo importante nella rivoluzione che avrebbe posto fine al regime di Ben Ali.
La Tunisia affrontava, dunque, dopo la fuga del Presidente, un delicato passaggio da uno Stato di polizia ad uno Stato democratico. Con il rovesciamento del regime di Ben Ali, l’islamismo (Islam politico) è stato reintrodotto nell’arena politica ed è divenuto popolare nella società tunisina, nonostante sussistesse una forte minoranza laica nel Paese. La divisione tra la laicità e l’islamismo nel contesto tunisino acquisisce un’importanza basilare, poiché l’islamismo e il secolarismo richiedono valori e politiche opposti, soprattutto se pensiamo che secondo alcuni osservatori la democrazia è un valore prettamente occidentale. Inoltre, la religione svolge un ruolo centrale e influente nella vita quotidiana dei tunisini e ne influenza le scelte politiche, proprio come i valori morali condizionano gli elettori occidentali.

Il Governo di Unità Nazionale ha assunto le funzioni di Esecutivo legittimo dopo la fuga di Ben Ali. Quando Ben Ali è fuggito in Tunisia, Foued Mebazaa, lo speaker della Camera dei Deputati, è divenuto Presidente ad interim, come previsto dall’articolo 57 della Costituzione. Mentre il Primo Ministro Mohamed Ghannouchi ha mantenuto il suo incarico, avendo ricevuto il mandato di formare un Governo che avrebbe portato la Tunisia, attraverso un periodo di transizione, fino alle elezioni di luglio. L’Esecutivo di Ghannouchi si confrontò immediatamente con molti problemi, interrompendo il percorso verso la transizione; infatti, la maggior parte dei suoi membri era costituita dai vecchi sostenitori del regime e soltanto tre componenti facevano parte dei Partiti dell’opposizione. Appena un giorno dopo la formazione, un esponente dell’opposizione si dimise a causa della presenza di vecchie figure del regime che avrebbero monopolizzato il processo di transizione e che potevano essere controllate da Ben Ali. Ciò dimostrava che elementi del regime stavano tentando di mantenere la loro posizione dopo la fuga di Ben Ali; il popolo tunisino mostrò subito di non tollerare un simile scenario e, attraverso massicce dimostrazioni, fece cadere il primo Esecutivo di transizione prima della fine del mese di gennaio. Il 27 gennaio, Ghannouchi formò un secondo Governo di Unità Nazionale in cui non vi erano esponenti del Partito di Ben Ali, il Raggruppamento Costituzionale Democratico, tuttavia ciò non placò le piazze, poiché il Primo Ministro era associato con il precedente regime e di conseguenza ne erano richieste le dimissioni. Nel tentativo di salvare la sua posizione, Ghannouchi fece diversi tentativi di accattivarsi il favore della popolazione: la sospensione del Raggruppamento Costituzionale Democratico, poi successivamente abolito; l’arresto di figure di spicco durante il regime di Ben Ali, come governatori e ufficiali di polizia; il sequestro del patrimonio di Ben Ali e dei suoi più stretti sodali. Tuttavia, queste azioni non ebbero successo, date le dimostrazioni che si svolgevano nelle strade e davanti al palazzo del Ministero dell’Interno.

Ghannouchi ripeté più volte che si sarebbe dimesso allorquando la Tunisia avesse tenuto le elezioni, che gli servivano come linea temporale per legittimare la sua permanenza in carica. Tuttavia, il 25 febbraio 2011, Ghannouchi ha infine rassegnato le dimissioni, dopo le pressioni dell’opinione pubblica, mettendo fine al secondo Governo di transizione; ciò ha rappresentato un momento importante e decisivo per la transizione tunisina, poiché con le sue dimissioni vi è stato l’insediamento di un nuovo Esecutivo di transizione che non includeva alcuna figura riconducibile a Ben Ali, costituendo una chiara rottura rispetto al recente passato.
Con le dimissioni di Ghannouchi, Beji Caid Essebsi è stato nominato Primo Ministro e ha formato un Governo di transizione che avrebbe governato il Paese e lo avrebbe portato alle elezioni. Essebsi ha immediatamente dimostrato la sua devozione alla causa della rivoluzione dei gelsomini assumendo tre decisioni: l’Esecutivo non comprendeva nessun membro del passato regime; l’abolizione della disprezzata polizia segreta, che era servita a Ben Ali per tenere sotto controllo il Paese e mettere a tacere gli oppositori; l’indicazione di una data precisa, il 24 luglio, per le elezioni nazionali. Le tre azioni intraprese da Essebsi hanno contribuito alla riduzione delle dimostrazioni di piazza. Fin dall’inizio, il Governo di Unità Nazionale ha sottolineato l’importanza del passaggio elettorale, anche attraverso l’enfasi sull’Assemblea Nazionale Costituente, ottenendone una legittimazione. È importante evidenziare come Ghannouchi abbia utilizzato le elezioni per rimanere in carica, mentre Essebsi le ha usate per legittimare l’Esecutivo, evitando gli errori del predecessore.

Le forze armate hanno avuto un ruolo importante sia durante la rivoluzione sia dopo con la conseguente transizione politica. Durante il regime di Ben Ali vi era una netta divisione tra le forze di sicurezza che facevano riferimento al Ministro degli Interni e le forze armate. Ben Ali aveva progettato le forze di sicurezza come contrappeso alle forze armate, inoltre, esse agivano come principali esecutori della sua politica di Governo. L’importanza delle forze di sicurezza era esemplificata dai massicci investimenti e dal numero dei componenti, circa 100.000, mentre le forze armate beneficiavano di minori investimenti e ammontavano a circa 35.000 unità. Tuttavia, le forze di sicurezza di Ben Ali non furono in grado di garantire la sua permanenza al potere. Quando il Capo della Guardia Presidenziale incontrò i capi delle forze armate e delle forze di sicurezza interna per elaborare un piano d’azione contro i manifestanti, il Capo di Stato Maggiore Rachid Ammar rifiutò di agire contro la popolazione, tale rifiuto accelerò la fuga di Ben Ali dal Paese. Inoltre, Ammar rifiutò di governare la Tunisia durante il processo di transizione, affermando che le forze armate non avrebbero interferito e che soltanto un Esecutivo civile avrebbe dovuto condurre la Tunisia nel periodo di transizione. Il Capo di Stato Maggiore depoliticizzò le forze armate e impegnò l’esercito nella stabilizzazione del Paese e nel rendere il processo di transizione il più agevole possibile. Il compito di stabilizzare la Tunisia impegnava l’esercito sia verso le forze di sicurezza ancora fedeli a Ben Ali sia verso i salafiti, che stavano cercando attivamente di destrutturare il Paese e la transizione politica. Il movimento salafita in Tunisia è spesso classificato in scientifico e jihadista. La maggior parte dei salafiti presenti nel Paese non sono jihadisti e non mirano a stabilire un ordine sociale e politico con mezzi violenti. Alcuni di loro rifiutano totalmente la partecipazione politica, denunciandola come una “distrazione empia” in quanto sostituisce la Legge di Dio con la Legge creata dall’uomo. Si afferma spesso che il salafismo in Tunisia sia emerso come un’importazione straniera e non un fenomeno nazionale, per esempio, studiosi come Merone e Cavatorta riconoscono che i salafiti tunisini si sono formati all’estero. Dal punto di vista temporale, le radici del movimento risalgono agli anni Ottanta. Inoltre, i protagonisti odierni del movimento appartengono a quella giovane generazione non di educazione francese degli ultimi anni della dittatura di Ben Ali. È possibile affermare, inoltre, che il salafismo tunisino ha le sue radici nel malcontento di alcuni islamisti nei confronti della politica del Mouvement de la Tendance Islamique. Nel 1986, gli islamisti fondarono il Fronte Islamico tunisino, che ebbe poca influenza a causa della repressione governativa che portò molti esponenti del movimento a lasciare il Paese per combattere in Afghanistan. Ghannouchi affermò, durante un’intervista con Marc Lynch, che il salafismo tunisino si era evoluto durante l’assenza del Partito Ennahda e della libertà politica; tutto sarebbe iniziato in Egitto, nelle buie prigioni e nei luoghi della tortura di Abdel Nasser.
Il perseguire un’agenda che incontrava le aspirazioni del popolo e il governare le destabilizzate forze di sicurezza hanno dato all’esercito una forte legittimazione da parte della popolazione. Inoltre, il sostegno alle imminenti elezioni parlamentari è stato un modo per le forze armate di aumentare tale prestigio e influenza nel futuro.

Ciò che si può evincere dal periodo del Governo di Unità Nazionale, che ha tenuto il potere per nove mesi, è che l’enfasi sulle elezioni è stata utilizzata per legittimarlo e che stava per aprirsi uno scontro tra le vecchie e le nuove forze politiche.
L’Assemblea Costituente segnava la fine del periodo di transizione iniziale e un passo importante verso la democrazia liberale. L’Assemblea aveva la duplice responsabilità di governare il Paese e di redigere una nuova Costituzione, che sarebbe stata approvata con un referendum seguito da nuove elezioni nel 2013. Le elezioni per l’Assemblea Costituente si caratterizzarono per l’ascesa degli islamisti e la presenza di una forte polarizzazione.
Le elezioni, indette dal Primo Ministro Essebsi per il 24 luglio del 2011, furono posticipate varie volte fino al 23 ottobre dello stesso anno. Il Primo Ministro posticipò la data per tre ragioni. L’instabilità interna della Tunisia non avrebbe permesso agli elettori di registrarsi e ai Partiti politici di organizzare una campagna elettorale efficace, riferendosi implicitamente ai Partiti laici e liberali. L’elezione di un’Assemblea Costituente sottolinea il ruolo delle elezioni come veicolo per la democrazia e pone meno enfasi sull’importanza della Costituzione, il cui sviluppo nel caso tunisino sarebbe stato ostacolato, come vedremo in seguito, dallo stallo politico in seno all’Assemblea.
Questo periodo ha visto il ritorno anche di due principali Partiti politici messi precedentemente al bando, l’islamista Ennahda e il laico Congresso per la Repubblica. Il Congresso per la Repubblica è una formazione politica di centro sinistra laica che si è concentrata sulle libertà civili ed è stata fondata e diretta da Moncef Marzouki. Dopo essere stato bandito da Ben Ali, il Partito e il suo fondatore si sono stabiliti a Parigi. Il Partito non era in grado, pur essendo il meglio organizzato tra i Partiti laici, di competere con gli avversari islamisti per l’organizzazione e il supporto della base elettorale.

Data la sua importanza, è opportuno soffermarsi sull’evoluzione politica e programmatica del Partito Ennahda. I Fratelli Musulmani hanno svolto un ruolo influente nella creazione di Ennahda. Negli anni Settanta, Rachid Ghannouchi e Abdel Fattah Mouros, i co-fondatori del Partito, furono influenzati dagli scritti di al-Banna e ne trassero ispirazione per dare vita a un movimento islamista simile in Tunisia. Mentre i due movimenti sono spesso confluiti insieme oggi, il loro rapporto può essere descritto come una sorta di “connessione emotiva”, sulla base di un patrimonio comune e una storia di repressione, più che un rapporto coordinato concernente la realizzazione di obiettivi condivisi. Nel corso degli anni Settanta, Ghannouchi creò un movimento che aspirava a stabilire uno Stato che si adeguasse ad un’interpretazione più letterale e esclusiva della Sharia, tuttavia, la repressione del Presidente laico Habib Bourguiba di tutta l’opposizione tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta ha portato il movimento a prendere posizione contro l’autoritarismo ed ad adottare un pensiero islamico democratico. Durante questo periodo, Ghannouchi ha iniziato a ripensare la sua concezione della Sharia, concentrandosi su principi più ampi e sulle sue finalità. Ghannouchi e il suo Mouvement de la Tendance Islamique, il nome originario del Partito Ennahda, sono andati al di là della stretta interpretazione della Sharia, iniziando a sottolineare principi quali la democrazia, la libertà, i diritti umani, il pluralismo, e l’uguaglianza di genere come elementi chiave del programma politico. Jameleddine Ben Abdeljelil ha osservato come il Partito Ennahda basi l’interpretazione della Sharia sul principio del maqasid, che considera le finalità superiori della Legge islamica e tiene conto dei cambiamenti storici del contesto socio-politico. A causa della sua identità islamista, il Mouvement de la Tendance Islamique fu messo fuori legge e i suoi membri, tra cui Ghannouchi, furono arrestati e imprigionati.

Dopo la presa del potere nel 1987, Ben Ali iniziò una fase di apertura politica per favorire la legittimazione del suo Governo. Con la rimozione del riferimento religioso dal suo nome, il Partito Ennahda, rinascita in arabo, poté partecipare alle elezioni del 1989, ottenendo più del 30% dei suffragi. Ben Ali percepì tale risultato come una minaccia per il suo potere e attuò rapidamente un giro di vite sul movimento: migliaia di membri furono arrestati; Ghannouchi si rifugiò a Londra; il movimento fu dichiarato fuorilegge fino al 2011.
Durante l’esilio, Ghannouchi ha avuto l’opportunità di precisare il suo pensiero riguardo alla natura della Sharia, che è stata rivelata da Dio allo scopo di servire e custodire gli interessi dell’umanità. Inoltre, ha sottolineato che la libertà di credo e di espressione, la parità di genere e i diritti delle minoranze non sono solo protetti, ma anche resi obbligatori dalla Sharia. Monica Marchi afferma che Ghannouchi si è lungamente espresso a favore di un’interpretazione fluida della Sharia, che non richiedesse l’imposizione di rigidi codici legali, concentrandosi sulle nozioni più espansive dell’etica islamica, tra cui la giustizia sociale, l’uguaglianza tra le persone, e simili.
Nei giorni seguenti la rivoluzione dei gelsomini, Ghannouchi si è affrettato ad affermare che la concezione dell’Islam del suo Partito era compatibile con la democrazia. Alla fine di gennaio, ha insistito affermando che la democrazia era fondamentale per affrontare e conciliare i diversi e persino opposti interessi della società. L’Islam, ha continuato, possiede un forte spirito democratico, in quanto rispetta le differenze religiose, sociali e politiche. Nel corso della loro storia i musulmani si sono opposti all’imposizione di un’unica e onnipotente interpretazione dell’Islam. Inoltre, qualsiasi imposizione di un’unica interpretazione si è sempre dimostrata intrinsecamente instabile e temporanea.
Due mesi dopo la rivoluzione, Ennahda è divenuta una formazione politica legale dopo essere stata messa fuori legge per più di vent’anni. Il movimento ha rapidamente ricostituito la sua ala politica, denominandosi formalmente Partito del Movimento Ennahda. Prima delle elezioni per l’Assemblea Costituente, Ennahda ha pubblicato la sua piattaforma elettorale che rifletteva il nuovo impianto ideologico del Partito riducendo al minimo l’attuazione della Sharia e sostenendo i principi di uguaglianza, giustizia, libertà, e pluralismo. Il termine Sharia non è mai nemmeno stato menzionato in tutto il programma. Vi era, inoltre, un’intera sezione del programma dedicata alla posizione del Partito verso i diritti delle donne; in particolare, il programma si impegnava a dare alle donne pieni diritti di cittadinanza, per combattere ogni forma di discriminazione e di violenza, per proteggerne la libertà e incoraggiarne la partecipazione alla vita politica, sociale, ed economica. Il programma affrontava anche i diritti delle minoranze e la libertà di espressione, garantendo, inoltre, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla Legge, i diritti umani, le libertà individuali, la libertà di stampa e di associazione, oltre che la libertà di fede e di coscienza e i diritti di tutte le minoranze religiose.

È interessante soffermarsi sul rapporto tra Ennahda e il movimento salafita, di cui abbiamo parlato in precedenza. Inizialmente, il Partito ha seguito una strategia di accomodamento e di integrazione politica e sociale verso i salafiti. Il Partito incoraggiava i gruppi salafiti a partecipare al processo politico, a formare dei Partiti, chiedendogli di astenersi dall’utilizzare la violenza. Poco dopo l’ascesa al potere, Ennahda legalizzò quattro Partiti salafiti, atto che il Governo provvisorio guidato da Essebsi aveva rifiutato di fare in precedenza a causa delle preoccupazioni sul loro impegno democratico. Il Governo della troika ha legalizzato Jabhat al-Islah il 29 marzo del 2012, seguito da Hizb Al-Tahrir il 17 luglio, Hizb Al-Asala e Hizb Al-Rahma il 31 luglio. Al fine di ottenere lo status legale, tutte e quattro le parti si erano impegnate, almeno in teoria, a rispettare i principi democratici, anche se Hizb Al-Tahrir rifiutava la politica dei Partiti in quanto tale. Tuttavia, promuovevano la Sharia come fonte fondamentale della Legislazione.
Le dichiarazioni pubbliche di Ennahda sono apparse per lo più poco chiare riguardo agli attacchi violenti degli attivisti salafiti; infatti, le risposte agli atti violenti non sono mai state troppo dure. Quando un gruppo di salafiti ha attaccato un cinema nella capitale nel giugno del 2011, Ghannouchi ha condannato gli attacchi, sottolineando che Ennahda rifiutava l’uso della violenza e ogni forma di estremismo intellettuale. Allo stesso tempo, tuttavia, ha fatto riferimento al diritto di difendere i “valori tunisini”, un avvertimento che, come osserva Lynch, immediatamente suscitava i sospetti dei critici sulle vere intenzioni del suo Partito.
Nel novembre del 2011, un gruppo di salafiti ha iniziato a dimostrare presso l’Università Manouba nella Capitale contro la politica che proibiva l’uso del velo nelle classi. All’inizio, Ennahda ha sostenuto le proteste riferendosi alla libertà di religione. Presto le dimostrazioni hanno acquisito un carattere violento e alcuni manifestanti hanno rimosso la bandiera nazionale tunisina dall’ingresso dell’Università sostituendola con una bandiera nera che riportava la Shahada, la dichiarazione di fede musulmana. Seguì una protesta nazionale ed Ennahda assunse un ruolo di maggior mediazione, tuttavia, come ha osservato un professore dell’Università, questa mediazione verteva più sull’impegno dell’ateneo a cedere ad alcune richieste dei manifestanti. Inoltre, il Ministero dell’Istruzione Superiore guidato da un esponente del Partito non ha fornito delle direttive in merito alla questione.

Inoltre, secondo Donker, Ennahda ha appoggiato per la prima volta le proteste informali per includere la Sharia nella Costituzione nell’aprile del 2012, in seguito formalmente bloccate. Infine, Ennahda ha annunciato che la Sharia non avrebbe dovuto essere inclusa nella Costituzione come fonte di tutte le Leggi, ma la Carta costituzionale avrebbe dovuto riferirsi all’Islam come religione di Stato, come il testo in vigore in precedenza. In riferimento alle proteste, Ghannouchi annunciò che Ennahda aveva iniziato un dialogo con i salafiti su argomenti delicati. Una delle sue conversazioni con i salafiti fu registrata e successivamente trapelò all’esterno. Nel controverso video, Ghannouchi sosteneva un approccio più graduale per costruire un progetto islamista di successo. In precedenza, aveva già sottolineato come non fosse opportuno imporre la Sharia, dato che i tunisini avevano bisogno di una migliore istruzione per capire cosa fosse. Una versione della conversazione si trova sulla piattaforma digitale Youtube ed è preceduta da un avvertimento sui potenziali pericoli dell’islamismo. Ennahda non ha contestato l’autenticità del video, tuttavia, il Partito ha riferito a Tunisia Live che alcuni passaggi erano stati presi fuori contesto. Secondo Khilfi e Le Nevez, il video sembra essere stato modificato.
Quando dei manifestanti hanno attaccato una galleria d’arte a La Marsa nel giugno del 2012, rivendicando l’azione come risposta ad una mostra di dipinti blasfemi, Ennahda ha etichettato l’incidente come un attacco terroristico. Allo stesso tempo, tuttavia, i simboli religiosi non potevano essere fonte di derisione, ironia o violazione, annunciando che intendeva proporre una disposizione provvisoria contro la blasfemia.

Il 14 settembre, dopo una clip islamofobica prodotta negli Stati Uniti e caricata su Youtube, i jihadisti salafiti attaccarono l’ambasciata americana nella capitale. Di conseguenza, Ghannouchi dichiarò pubblicamente che i jihadisti salafiti rappresentavano una minaccia per la sicurezza della Tunisia. Inoltre, annunciò che qualsiasi comportamento illecito da parte dei salafiti non sarebbe stato tollerato e che la non-partigianeria delle moschee avrebbe ricevuto una supervisione più stretta. Mentre le violenze jihadiste sono aumentate costantemente, Human Rights Watch ha accusato il governo guidato da Ennahda di non indagare sugli attacchi condotti dagli estremisti.
Nel febbraio e nel luglio del 2013, due politici laici dell’opposizione, Chokri Belaid ehamed Brahmi were killed in attacks (Casey 2013). Mohamed Brahmi, sono stati uccisi. Lo stesso anno, il rapporto tra il Governo e i salafiti ha raggiunto un punto di svolta; infatti, nel maggio del 2013, Ghannouchi ha annunciato che l’annuale incontro di Ansar al-Shari’a in Tunisia, AST, a Kairouan sarebbe stato vietato perché gli organizzatori non ne avevano chiesto l’autorizzazione, come richiesto dalla Legge. Il 27 agosto 2013, il Primo Ministro Ali Larayedh affermò pubblicamente che Ansar al-Shari’a era responsabile degli assassini di Belaid e Brahmi, annunciando, inoltre, che il Governo intendeva denunciare Ansar al-Shari’a come organizzazione terroristica, riferendosi alla sua affiliazione con Al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM). Durante il suo incarico come Ministro degli Interni, tuttavia, Larayedh era stato più indulgente nei riguardi del violento attivismo salafita, tendendo a minimizzarne le azioni. A questo riguardo, Brody-Barre sostiene che, sebbene Ennahda abbia sempre risposto alla “provocazione salafita”, spesso ciò è avvenuto dopo le proteste pubbliche e le pressioni della società tunisina; semplicemente troppo poco e troppo tardi per rendere credibile l’azione di Ennahda agli occhi della società tunisina laica.

Diversi elementi possono essere utilizzati per comprendere la risposta di Ennahda al salafismo in Tunisia. La storia del Partito può svolgere un ruolo importante nella interpretazione del suo approccio inclusivo verso i movimenti salafiti. Spesso Ghannouchi ha fatto riferimento ai decenni di repressione che i membri di Ennahda avevano vissuto in passato quando gli è stato chiesto dell’approccio del Partito al salafismo. In carcere o in esilio, molti sembravano essere giunti alla conclusione che il dialogo e l’inclusione politica potevano offrire alternative efficaci all’estremismo e che l’esclusione e la repressione potessero essere pericolose.
È interessante domandarsi, quindi, perché è avvenuto un cambiamento nell’approccio del Partito. In primo luogo, il colpo di Stato in Egitto, che ha deposto il Presidente Morsi, ha rappresentato per Ennahda un avvertimento di non inasprire il confronto con i laici. Questo evento ha probabilmente contribuito a rendere l’approccio con i jihadisti più conflittuale, in particolare con Ansar al-Shari’a, rafforzando le esistenti posizioni pragmatiche e graduali all’interno del Partito, che si sono rivelate cruciali per la sua sopravvivenza dentro la società tunisina. Secondo Torelli, tuttavia, alla base di tale decisione vi è stata la necessità di dare un segnale di moderazione ai laici, piuttosto che una vera e propria consapevolezza della pericolosità del movimento salafita. In secondo luogo, Ennahda ha ricevuto una crescente pressione da parte dei Partiti laici, così come dalla società tunisina, nel momento in cui l’attivismo salafita sembrava in costante crescita nel biennio 2012-2013. Inoltre, la pressione per l’adozione di un approccio più duro verso il salafismo è venuto anche dai Paesi occidentali; dopo l’attacco contro l’ambasciata americana, ad esempio, gli Stati Uniti hanno chiesto un giro di vite sull’attivismo salafita. Ennahda giunse alla conclusione che un certo grado di pragmatismo sarebbe stato necessario, non solo verso gli interessi dei laici, ma anche nei confronti degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.

È importante analizzare le possibili motivazioni per cui l’atteggiamento di Ennahda verso il salafismo è rimasto piuttosto ambiguo. In primo luogo, potrebbero essere state in gioco delle considerazioni di carattere elettorale, infatti, il Partito probabilmente non voleva alienarsi i voti secolari, così come non voleva inimicarsi i gruppi salafiti ed islamici in generale. Questo approccio potrebbe aver condotto Ennahda verso un difficile e temporaneo bilanciamento, sfociato in un rapporto non chiaro con il salafismo, al fine di non perdere dei voti. Tuttavia, nelle elezioni del 2014, questa linea portò Ennahda a perdere voti su entrambi i fronti. In secondo luogo, i conflitti interni al Partito possono spiegare la reazione di Ennahda verso il salafismo. Marc Lynch ha evidenziato come i leader del Partito avessero molti dubbi su come affrontare la crescita del salafismo. Secondo alcuni studiosi, ciò deriva in parte dai conflitti interni ad Ennahda, in cui non esiste una chiara dicotomia tra il Partito moderato e i movimenti salafiti violenti. Si stima che l’ala più moderata di Ennahda costituisca solo un terzo della base della formazione politica, mentre gli altri due terzi rappresentano visioni più conservatrici. Marks afferma che i disaccordi interni hanno contribuito allo stallo e all’inazione che hanno caratterizzato la risposta di Ennahda alla violenza jihadista. Alexander sostiene che alcuni dei conservatori di Ennahda abbiano legami con i salafiti, soprattutto attraverso le controverse Leghe per la protezione della rivoluzione, sensibili agli interessi salafiti, e che cerchino di mettere sotto pressione i moderati al fine di proteggere il loro fianco destro. Ad esempio, Abdelfattah Morou, Samir Dilou, Hamadi Jebali e Rachid Ghannouchi rappresentano figure più moderate, che perseguono un approccio pragmatico, disposti a scendere a compromessi a scapito dei principi islamici. In contrasto, Sadok Chorou e Habib Ellouze appartengono all’ala più conservatrice di Ennahda, l’ala dottrinale del Partito che sostiene la supremazia della Legge islamica. Le controversie tra coloro che erano in esilio (per lo più con influenze britanniche) e coloro che sono rimasti nelle carceri tunisine potrebbero aver complicato lo sviluppo di una risposta chiara contro l’ascesa del salafismo. Questa divisione interna è stata anche dimostrata dal fatto che i militanti islamisti hanno scelto Sadok Chourou per il Consiglio della Shura di Ennahda.

Per quanto concerne la vita politica del Paese, è possibile notare come quando finalmente le elezioni per l’Assemblea Costituente si svolsero nell’ottobre del 2011 ebbero una grande partecipazione, con il voto di circa il 90% di coloro che si erano registrati. L’elezione è stata trasparente e legittima, accolta come un clamoroso successo per la primavera araba da tutta la regione e dalla comunità internazionale. La chiarezza e la rapidità delle elezioni tunisine diedero al Paese prestigio internazionale e costituirono un precedente da seguire per le altre nazioni della primavera araba.
I risultati delle elezioni videro Ennahda come vincitore, con la conquista di 89 dei 217 seggi dell’Assemblea, tuttavia, non ottenendo una maggioranza netta fu necessaria la creazione di una coalizione di Governo. I tre maggiori Partiti non islamisti ottennero un totale di 65 seggi su 217: il Congresso per la Repubblica conquistò 29 dei 65 seggi, Ettakatol 20 seggi, e il Partito Democratico Progressista 16.
Questi risultati elettorali possiedono un particolare interesse e gettano una luce sul contesto politico interno tunisino. Si riteneva che, data la laicità e la liberalità della popolazione tunisina, un Partito laico avrebbe ottenuto un grande successo nelle elezioni per la Costituente, tuttavia, dopo aver affrontato le politiche laiciste di Ben Ali per trent’anni, il popolo tunisino era pronto per il cambiamento, nella direzione di un tradizionale Partito islamista. Inoltre, Ennahda era una formazione politica meglio organizzata e più unita rispetto ai suoi avversari; come altri Partiti islamisti, si era mostrato molto efficiente nell’ottenere un supporto di base attraverso canali informali, come la moschea. È opportuno rilevare come i Partiti laici e liberali abbiano commesso degli errori che hanno aiutato Ennahda a vincere le elezioni; la disunione e le gravi lotte intestine gli hanno resi inadatti ad ottenere la stessa quantità di voti delle loro controparti islamiche. Il risultato delle elezioni prefigurava un contesto politico polarizzato, in cui Ennahda avrebbe assunto un ruolo dominante e i Partiti laici e liberali si sarebbero affannati per tenerne il passo.

Terminate le elezioni e con un’Assemblea Costituente eletta era giunto il momento di decidere chi avrebbe guidato l’Assemblea, svolto un ruolo di primo piano nel Governo e redatto la nuova Costituzione. Dato che Ennahda non aveva raggiunto la maggioranza assoluta nelle elezioni era necessario formare una coalizione di Governo, in cui il Congresso per la Repubblica era il partner dominante, il cui fondatore, Moncef Marzouki, fu eletto come Presidente, mentre il Segretario Generale di Ennahda, Hamadi Jebali, fu nominato Primo Ministro. Come parte dell’accordo di coalizione entrambe le parti sono entrate nell’Esecutivo. Attraverso una coalizione islamista-secolare Jebali formò un Governo che molti ritenevano stabile, ma che in realtà era soltanto una facciata che mascherava una polarizzazione sempre più acuta.
Ciò fu comprensibile attraverso molteplici eventi, ma due in particolare esemplificarono la tensione causata dalle elezioni nella fase di transizione della Tunisia: l’assassinio di Chokri Belaid e la linea politica tecnocratica di Jebali. Il più chiaro esempio della tensione presente all’interno della Tunisia come risultato della polarizzazione è stato l’assassinio del Segretario Generale del Partito dei Patrioti Democratici Chokri Belaid. Il Partito dei Patrioti Democratici è stato un Partito di sinistra laico e, come il suo fondatore Belaid, rigorosamente anti-islamista. Il 6 febbraio del 2012, Belaid fu assassinato da un uomo armato davanti alla sua abitazione nella capitale a causa dei suoi sentimenti anti-islamici e delle critiche severe che rivolgeva ad Ennahda e agli altri Partiti islamisti. Gli uomini che facevano parte del commando che prese parte all’assassinio di Belaid erano salafiti che, come abbiamo scritto in precedenza, avrebbero continuato a cercare di destabilizzare il processo di transizione e lo Stato. Come risposta all’omicidio di Belaid, un certo numero di Partiti di opposizione si ritirò dal Governo e indisse degli scioperi in tutto il Paese. Molti incolparono Ennahda per non aver fatto abbastanza contro i salafiti, permettendogli di espandersi in tutta la Tunisia. L’assassinio di Belaid scosse il Paese e evidenziò come la polarizzazione fosse un ostacolo al processo di transizione, sorprendendo gli osservatori meno accorti che ritenevano la Tunisia un esempio per la transizione dopo la primavera araba.

Dopo mesi di stallo politico all’interno dell’Assemblea Costituente e l’assassinio di Chokri Belaid, il Primo Ministro Jebali avviò un progetto per porre fine alla situazione di stasi e continuare la transizione della Tunisia verso la democrazia. Jebali riteneva opportuna la creazione di un Governo di tecnici per aggirare la situazione di stallo e riavviare il processo di transizione. Ma i Partiti laici e di sinistra minacciarono di uscire dall’Esecutivo se Jebali e i suoi supporters di Ennahda non si fossero ritirati dalla loro posizione di potere. Le proteste di massa esplosero a causa dell’omicidio di Belaid e del progetto tecnocratico di Jebali, destabilizzando la Tunisia e rendendo necessario un rimpasto di Governo per il ritorno alla stabilità.
Questo episodio di agitazione politica e di instabilità interna alla Tunisia illustra in modo chiarificante come elezioni cariche di tensioni siano controproducenti in una fase di transizione. Le elezioni possono essere utilizzate come fattore legittimante durante un periodo di transizione, ma questo metodo funziona soltanto per un breve lasso di tempo. L’assenza di un contesto costituzionale nel quale sia specificato come debba operare un Esecutivo porta con sé delle conseguenze negative; alti gradi di polarizzazione e l’adozione di un atteggiamento a somma zero producono uno stallo politico, interrompendo la transizione e creando instabilità. Ciò è visibile soprattutto all’interno di un’Assemblea Costituente che ha il compito di redigere una nuova Costituzione.
Come deciso nell’Accordo di coalizione tra Ennahda e il Congresso per la Repubblica, Moncef Marzouki fu eletto Presidente dell’Assemblea Costituente. Una volta eletto, Marzouki nominò Hamadi Jebali, Segretario Generale di Ennahda, come Primo Ministro e gli diede l’incarico di formare un Governo. All’interno dell’Esecutivo, Marzouki aveva le funzioni di Capo dello Stato, mentre Jebali come Primo Ministro aveva le funzioni di Capo del Governo.
Le politiche interne di Marzouki e Jebali differirono enormemente, rendendo difficile definire quale abbia influenzato il processo di transizione. Era stata compiuta la scelta di un Presidente laico e di un Primo Ministro islamista per consentire un’agevole transizione e garantire un buon equilibrio costituzionale, tuttavia, come vedremo in seguito, questo atteso effetto di bilanciamento sarebbe stato capovolto dalla presenza di alti gradi di polarizzazione.

La politica interna di Moncef Marzouki può essere rappresentata come una continua ricerca di mediazione. Durante la sua permanenza in carica, ha costantemente esortato tutte le parti sociali e politiche a dare prova di moderazione per il bene del Paese. Fin dal suo primo discorso come Presidente, ha esortato tutte le componenti della società tunisina, sia islamiste sia laiche, a dare sei mesi di pace al nuovo Governo per raggiungere gli obiettivi della rivoluzione dei gelsomini. Anche durante le molteplici crisi che hanno colpito la Tunisia durante il periodo di transizione, Marzouki ha sempre tentato di mediare e di raggiungere un compromesso. Tuttavia, è interessate notare come Marzouki non sia mai stato timoroso mettere sotto accusa i salafiti, responsabili della instabilità interna della Tunisia. In larga misura Marzouki era nel giusto nel ritenere questo gruppo, che voleva imporre una forma puritana dell’Islam, responsabile della violenza e dell’instabilità presenti all’interno del Paese, attraverso aggressioni, atti vandalici e distruzione degli esercizi che vendevano alcoolici. Purtroppo, Marzouki non ha avuto l’effetto sulla politica interna che ha avuto invece il Primo Ministro Jebali.
Jebali ha intrapreso una strada diversa per percorrere e governare il delicato processo di transizione. A differenza della politica di compromesso di Marzouki, Jebali ha improntato un percorso di confronto, il cui maggior esempio può essere riscontrato nell’incidente sul Governo tecnocratico del 2013. Invece di cercare di appianare le differenze e trovare un compromesso e una cooperazione, Jebali optò per una presa di potere. Il tentativo di eludere il Governo condusse ad un dramma politico che avrebbe potuto portare alla sua caduta e ad una smisurata instabilità nel Paese.

L’Assemblea Costituente si ritrovò in una fase di stasi, senza alcun progresso, mentre l’assassinio della più importante figura dell’opposizione gettava la Tunisia nel caos. Per risolvere la crisi, Jebali aveva presentato una mozione che permetteva al Governo di essere gestito da un gruppo di tecnocrati, fino a nuove elezioni e fino a quando non fosse stata redatta la nuova Costituzione. Il suo obiettivo era consentire una transizione più agevole e veloce. Ma se questa mozione fosse passata essa avrebbe cancellato i progressi fatti e sarebbe andata contro le aspirazioni della rivoluzione dei gelsomini. I liberali e i laici rigettarono immediatamente la proposta, ritenendola una mossa deliberata per usurpare il Governo democratico e creare uno Stato dittatoriale che si sarebbero impegnati a rovesciare. Jebali minacciò che, nel caso la sua mozione non avesse ottenuto il nulla osta dall’Assemblea, avrebbe rassegnato le dimissioni in modo tale da portare il processo di transizione ad una battuta d’arresto. Non solo i membri del Parlamento, ma anche la popolazione tunisina, si schierarono contro Jebali, scendendo in piazza per chiedere le dimissioni del Primo Ministro e l’uscita del suo Partito dall’Esecutivo. Ennahda comprese pienamente come il contesto nazionale instabile fosse una minaccia per la sua posizione all’interno dell’Esecutivo allo stato attuale e in future elezioni, per questo abbandonò il suo leader. Da ciò risultarono le dimissioni di Jebali e il fallimento del Primo Governo eletto dopo la primavera araba.
Questo evento ha avuto un enorme impatto sulla Tunisia, cambiando l’immagine internazionale del Paese come esempio per la transizione politica dopo la primavera araba. Ha anche significato una battuta d’arresto nel processo di transizione dal momento che il Parlamento ha dovuto riorganizzarsi e nominare un nuovo Primo Ministro. Risultano chiari gli effetti negativi delle elezioni sui Governi del post primavera araba, infatti, le votazioni offrivano una legittimazione soltanto apparente, rendendo improbabile un cambiamento istituzionale durante il loro svolgimento. Una Costituzione avrebbe fornito un contesto istituzionale e giuridico nel quale il Governo avrebbe potuto operare riducendo la polarizzazione ideologica, evitando così le fasi di stallo, inoltre, avrebbe contenuto il potere di Jebali facendogli perdere ogni legittimità, in modo da evitare che la popolazione scendesse ancora in piazza, minando la stabilità del Paese.

Non molto tempo dopo le dimissioni di Jebali, il premier designato Ali Laarayedh presentò al Presidente un nuovo Governo di coalizione guidato dal suo Partito Ennahda. Il nuovo Esecutivo avrebbe condotto la Tunisia alle elezioni fissate per la fine del 2013. Il nuovo Esecutivo era nato molto in fretta attraverso delle brevissime consultazioni per risolvere la crisi politica causata dall’incidente del Governo tecnocratico, dalla stasi politica, e dall’assassinio di Belaid.
È interessate soffermarci anche sulla politica estera della Tunisia dopo la primavera araba, la cui caratteristica saliente fu il passaggio da una politica estera focalizzata sull’Europa ad una di non-allineamento. La politica estera di Ben Ali era finalizzata ad accattivarsi il favore delle potenze europee, specialmente della Francia, per incentivarne gli investimenti e il turismo nel Paese. Dopo la fine del regime di Ben Ali, l’attenzione si è spostata verso gli Stati vicini del Maghreb; infatti, il Presidente Marzouki aveva cercato di rivitalizzare l’Unione Araba del Maghreb per migliorare le performance economiche della Tunisia attraverso una maggiore integrazione con i vicini del Nord Africa.
L’esempio più rivelante della nuova politica estera può essere riscontrato nei rapporti con la Siria. La Tunisia sosteneva i ribelli siriani, ma era contraria all’intervento delle potenze straniere, ritenendo che una loro intromissione avrebbe creato problemi maggiori. Tuttavia, tale linea politica poneva la Tunisia nel campo opposto a quello dei suoi più stretti alleati e alle fonti degli aiuti internazionali. I donatori erano la Francia, la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait che sostenevano i ribelli ma, contemporaneamente, ritenevano necessario l’intervento internazionale per deporre il regime di Assad. Soprattutto la Francia, che è stato il Paese occidentale che più ha fatto pressioni per l’intervento militare degli Stati Uniti, era uno dei principali fornitori di armi ai ribelli.
La scelta di concentrarsi meno sull’Europa e l’assunzione di una posizione contraria a quella degli alleati occidentali sulla crisi siriana potevano concorrere ad una maggiore instabilità del Paese, soprattutto dal punto di vista economico; infatti, l’economia nazionale era ulteriormente rallentata a causa dell’instabilità, producendo conseguenze negative per molte aziende, in particolare quelle turistiche.

Il nuovo Governo guidato da Ennahda non ha condotto alla fine della polarizzazione e della fase di stallo che aveva caratterizzato l’Assemblea Costituente prima dell’assassinio di Belaid e l’incidente dell’Esecutivo tecnocratico. Il contesto interno si è esacerbato ed è arrivato ad un punto di rottura nel luglio del 2013, quando Mohamed Brahmi, figura di spicco dell’opposizione, è stato ucciso davanti alla sua abitazione in modalità simili a quelle del collega Belaid. Brahmi era un socialista e un nazionalista, leader della coalizione del Fronte Popolare. Le autorità tunisine rilasciarono una dichiarazione in cui affermavano che per l’omicidio era stata utilizzata la stessa arma del delitto Belaid, indicando esplicitamente la responsabilità dei militanti salafiti.
La reazione della popolazione all’assassinio è stata la stessa dell’omicidio Belaid. Ma questa volta un cambio di leadership non era sufficiente; infatti, circa 60 membri dell’Assemblea Costituente hanno lasciato il Governo costringendo la Costituente a sospendere i lavori a tempo indeterminato. I manifestanti chiedevano ad Ennahda di lasciare l’Esecutivo e lo incolpavano dell’assassinio. Questo periodo vide le più grandi proteste in Tunisia dalla primavera araba e divise la società civile tunisina in due campi contrapposti: anti-governativo e filo-governativo.
I manifestanti anti-governativi volevano che il Governo fosse sciolto, ritenendolo incapace di sviluppare l’economia, redigere una Costituzione, e trattenere i gruppi militanti in Tunisia, specialmente i salafiti. Questo gruppo aveva dalla sua parte anche il potente sindacato dell’Unione Generale dei lavoratori Tunisini che rilasciò una dichiarazione in cui chiedeva le dimissioni del Governo per consentire la formazione di un Esecutivo tecnico. Dall’altra parte, i manifestanti filo-governativi sostenevano la legittimità dell’Esecutivo eletto dal popolo e etichettavano gli anti-governativi come seguaci delle vecchie figure del regime che volevano far fallire la democrazia. Questi gruppi rivali si sono scontrati diverse volte e la polizia è dovuta intervenire con gas lacrimogeni e altre tecniche anti- sommossa.

Le massicce proteste e gli scioperi organizzati dal Fronte di Salvezza Nazionale, una nuova coalizione di Partiti di opposizione e di organizzazioni della società civile, si sono progressivamente espansi in tutto il Paese e nella capitale. I manifestanti sostenevano che il Governo della troika- ed Ennahda in particolare- doveva essere ritenuto responsabile delle violenze perpetrate in Tunisia. Inoltre, l’Assemblea Costituente aveva perso ogni legittimità poiché il tempo concesso per redigere la Costituzione era scaduto. Il risultato di queste proteste fu l’interruzione del processo costituzionale.
La risposta del Governo della troika è essenziale per comprendere l’esito della transizione in Tunisia, in quanto permise la ricostruzione del consenso necessario per l’approvazione della Costituzione. Il 7 agosto, il Presidente della Costituente Mustapha Ben Jaafar, fondatore di Ettakatol, sospese i lavori fino a quando tutti i Partiti non avessero partecipato al dialogo nazionale. Anche se questa decisione è stata estremamente controversa e impopolare tra i manifestanti, il Fronte di Salvezza Nazionale, gli altri Partiti, compreso Ennahda, Ben Jaafar e Ettakatol, dimostrarono il loro impegno per la democrazia e la conservazione dei progressi fatti durante la fragile transizione della Tunisia.
La sospensione della Costituente ha allentato parzialmente la pressione ed ha permesso la formazione di uno spazio per il dialogo. Tuttavia, la crisi continuava a persistere tanto che l’opposizione chiedeva ancora la decadenza del Governo e lo scioglimento della Assemblea Nazionale Costituente, trovando il parere contrario di Ennahda, che era anche riluttante a consegnare il potere ad un Esecutivo non eletto di tecnocrati che potevano reintrodurre le politiche repressive del passato regime. Il punto di svolta si verificò il 6 ottobre, quando Ennahda e altri venti Partiti, aiutati dalla mediazione dall’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini, stilarono un accordo che delineava una tabella di marcia per risolvere la situazione e riprendere il lavoro sulla Costituzione.

La disposizione fondamentale della tabella di marcia era il ritiro di Ennahda dal Governo per la ratifica della Costituzione, rompendo la situazione di stasi e permettendo di andare avanti con il processo di transizione. Accettando di dimettersi, Ennahda ha anteposto l’interesse della Nazione a quelli propri. In un’intervista concessa dopo la ratifica della Costituzione, Ghannouchi spiegò che, pur essendo Ennahda consapevole di avere il diritto di mantenere il potere a causa della vittoria elettorale, il popolo tunisino non avrebbe ottenuto una Costituzione senza le dimissioni del Partito. Inoltre, l’opposizione si era ritirata dall’Assemblea Costituente e si rifiutava di continuare i lavori; Ennahda avrebbe potuto continuare i lavori da solo, ma avrebbe creato una Costituzione per il Partito, non per il popolo tunisino. Queste erano le ragioni alla base del difficile percorso iniziato.
Nonostante le sue preoccupazioni, Ennahda si poté dire soddisfatto del fatto che l’adozione della Costituzione avresse impedito ad un Governo ad interim di annullare le elezioni e attuare un giro di vite sull’organizzazione politica.
Il dialogo nazionale tra Ennahda e l’opposizione, con la mediazione del sindacato, riprese a fine ottobre e durò fino a dicembre. Le trattative proseguirono al di là delle scadenze prefissate originariamente nella tabella di marcia, le parti hanno continuato a negoziare e a metà dicembre si accordarono su Mehdi Jomaa, un uomo d’affari, per l’incarico di Primo Ministro fino alle prossime elezioni, fornendo all’Assemblea Costituente la stabilità necessaria per riprendere la stesura della Costituzione e avviarsi verso il voto. Di conseguenza, la Tunisia risolse con successo la crisi di consenso. Il 3 gennaio del 2014, l’Assemblea Nazionale Costituente ha iniziato il voto sul testo costituzionale. Dopo tre settimane, molti dibattiti e la revisione di alcuni articoli, l’Assemblea Costituente adottò la Costituzione con il 92% di voti a favore. La nuova Costituzione è entrata in vigore il 26 gennaio del 2014.

Nell’analizzare la Costituzione tunisina si concentrerà l’attenzione su tre temi: lo status della Sharia; i diritti delle donne; la libertà di credo. Sono state scelte queste tre aree perché solitamente in queste gli islamisti ricevono le critiche più aspre da parte dei gruppi laici nazionali e internazionali. Inoltre, le tre aree sono ritenute essenziali per la formazione di uno Stato civile democratico.
Nella Costituzione tunisina del 2014, lo status della Sharia brilla per la sua assenza. L’articolo 1 è l’unico che si occupa in modo esplicito del ruolo dell’Islam nei confronti dello Stato. Esso afferma che la Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano, l’Islam è la sua religione, l’arabo la sua lingua, e la sua forma di Governo è la Repubblica. Ciò nonostante, l’omissione della Sharia dalla Costituzione è un messaggio molto chiaro per tutti i movimenti islamici. Il consenso per la conservazione della formulazione precedente della Costituzione è stato raggiunto piuttosto in fretta in una modalità che serviva gli interessi di tutti i Partiti. Subito dopo le elezioni del 2011, i leader dei Partiti politici hanno deciso di mantenere il primo articolo della Costituzione precedente e l’esclusione del termine Sharia. Ghannouchi ha affermato che la Sharia era da considerare come un insieme di valori morali per gli individui e la società, non un rigoroso codice da applicare al sistema legislativo di un Paese.
Nella primavera del 2012, Ennahda ha cominciato a dibattere la questione se la Sharia dovesse essere inclusa nella Costituzione. Anche se in precedenza Ghannouchi e gli altri dirigenti avevano espresso il loro sostegno all’idea che la Sharia non fosse inclusa, non si trattava di una dichiarazione ufficiale, rappresentativa a livello nazionale. Il Partito ha poi dibattuto il problema nel proprio Consiglio della Shura. Come osserva Marks, la questione se omettere il riferimento alla Sharia si è rivelata essere un non-problema; le élite del Partito, di cui faceva parte Ghannouchi, che avevano a lungo sostenuto una concezione più ampia della Sharia sottolineandone i principi astratti invece che le norme specifiche, sono state in grado di creare un vasto consenso all’interno del Partito per non includere il termine.

Il desiderio di mantenere l’unità nazionale è stato sovente citato come la ragione principale per conservare invariato l’articolo 1. Ennahda ha deciso di evitare qualsiasi menzione della Sharia nella Costituzione al fine di non alienarsi i gruppi liberali e laici. Con questa articolazione dell’articolo 1, la Costituzione tunisina stabilisce un valido precedente per coloro che cercano di conciliare l’Islam e la democrazia nel mondo arabo.
La Costituzione tunisina esplicita e garantisce ripetutamente l’uguaglianza di genere. La questione dei diritti è un tema particolarmente rilevante per le donne tunisine, poiché con l’emanazione del Codice dello Statuto della Persona nel 1956 hanno avuto il diritto di divorziare, di avere la custodia dei figli, il diritto di percepire pensioni come mogli e divorziate, ed hanno usufruito di diritti di successione impensabili in altri Paesi arabi. Il Codice introduceva anche il divieto della poligamia e stabiliva un’età minima per il matrimonio. Il possesso di diritti così progressisti per un Paese arabo ha fatto in modo che le donne tunisine sostenessero con forza, durante la transizione, la protezione dei loro diritti all’interno della Costituzione.
In seguito alla pubblicazione di una prima bozza della Costituzione, esplose una polemica sulla formulazione dell’articolo 46 che recitava: “(…) le garanzie statali per la protezione delle donne, la promozione dei loro diritti e dei loro interessi, come veri e propri partner degli uomini nella missione di costruzione della Patria, il cui ruolo dovrebbe essere complementare all’interno della famiglia”. Furono organizzate delle marce di protesta in tutto il Paese per la formulazione di questo articolo che definiva il ruolo della donna come complementare a quello dell’uomo. Tuttavia, è possibile che vi sia stato un fraintendimento dovuto all’errata traduzione inglese della bozza. Marks rileva che la parola araba tradotta in inglese e francese come “complementari” potrebbe anche significare “adempiere” o “si completano a vicenda”, non avendo nessuna connotazione umiliante. Durante il periodo dei disordini, Ennahda rilasciò anche una dichiarazione affermando che la bozza descriveva semplicemente i ruoli complementari dell’uomo e della donna nel contesto familiare e che l’uguaglianza dei coniugi era sottolineata nella stessa bozza. Ennahda ha poi deciso di eliminare questa parte dell’articolo, rimuovendo alla radice il problema.

Nella versione finale, la Costituzione contiene quattro articoli che garantiscono esplicitamente l’uguaglianza di genere e stabiliscono la responsabilità dello Stato per l’empowerment delle donne. L’articolo 21 afferma: “tutti i cittadini, maschi e femmine allo stesso modo, hanno uguali diritti e doveri, e sono eguali davanti alla Legge senza alcuna discriminazione”. L’articolo 40 afferma inequivocabilmente l’uguaglianza di genere sul posto di lavoro, il diritto ad adeguate condizioni di lavoro, e ad un salario equo sia per gli uomini sia per le donne.
Gli articoli 34 e 46 incaricano lo Stato di garantire la parità di genere nella sfera politica. Quest’ultimo articolo prescrive come prioritaria per lo Stato la pari rappresentanza di donne e uomini. L’articolo 46 conserva lo status progressista ottenuto dalle donne tunisine nel mondo arabo, affermando che “lo Stato deve impegnarsi a tutelare i diritti raggiunti dalle donne cercando di sostenerli e svilupparli”.
Nel loro insieme, questi articoli dimostrano l’impegno della Tunisia per garantire un ruolo sostanziale delle donne nella società e nella politica, fattore importante per stabilire la dimensione partecipativa di una democrazia sana.
Per quanto concerne la libertà di culto, la Costituzione riequilibra la libertà di credo con le sensibilità culturali di una società in maggioranza musulmana. L’articolo 6 garantisce la libertà di credo e le pratiche religiose. In particolare, però, si chiede anche allo Stato di diffondere i valori della moderazione e della tolleranza. Si suppone che anche lo Stato debba adempiere a tale dovere proteggendo la religiosità e prevenendo gli attacchi verso di essa, evitando di definire qualcuno come apostata e impegnandosi contro l’incitamento all’odio e alla violenza.

La struttura dell’articolo è il frutto di un compromesso tra Ennahda e i Partiti laici. Da un lato, la blasfemia costituisce un tema molto sensibile per l’identità del Partito, che aveva introdotto un articolo nella prima bozza che criminalizzava la bestemmia. Alcuni membri del Partito hanno sostenuto l’articolo in quanto avrebbe protetto l’odine pubblico e la sicurezza, dissuadendo i tunisini dal peccare contro Dio insultando la religione, e preservato da future restrizioni alla pratica dell’Islam, come durante il precedente regime.
In ultima analisi, questi esponenti del Partito cedettero alla maggioranza dopo lunghi colloqui con esperti locali e internazionali,204 che li convinsero che la Costituzione non era il luogo migliore in cui criminalizzare la Legislazione, come ricorda Marks. Dovendo scendere a compromessi, hanno tuttavia fatto pressioni affinché vi fosse un riferimento al dovere dello Stato di proteggere la religione.
Nell’autunno del 2014, si sono tenute le elezioni parlamentari e presidenziali per sostituire l’Assemblea Nazionale Costituente. La natura libera e trasparente di queste elezioni e il trasferimento pacifico del potere che seguirono sono indicativi dell’influenza stabilizzante della Costituzione. Inoltre, il desiderio di inclusione che ha caratterizzato il periodo di redazione della Carta costituzionale sembra che sia stato trasposto nella formazione del successivo Governo. Tuttavia, il consolidamento della democrazia in Tunisia non è ancora assicurato e richiede un ulteriore importante lavoro.
L’arresto per le critiche verso i militari della blogger Yassine Ayari dimostra quanto siano ancora necessari dei progressi in tema di libertà di espressione. La costante minaccia dei gruppi militanti e i recenti attacchi terroristici al museo del Bardo hanno testato anche le capacità del Governo di bilanciare l’esigenza della sicurezza con la protezione delle libertà civili.
Il successo nella formulazione della nuova Costituzione ha notevolmente aumentato la possibilità che la democrazia metta salde radici nel Paese. Il ruolo fondamentale di Ennahda in questo sviluppo suggerisce che i movimenti islamici possano contribuire positivamente al sistema istituzionale e politico, offrendo, inoltre, un esempio agli altri gruppi islamici moderati della regione.
Il modello tunisino non può essere replicato puntualmente altrove, tuttavia, rappresenta una fonte di ispirazione per coloro che credono possibile la compatibilità tra Islam e democrazia.

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