LA DONNA NELLA GERMANIA NAZISTA

di Daniela Franceschi -

 

Pur se in un ruolo subordinato, le donne parteciparono attivamente all’edificazione del Terzo Reich. Madri e custodi del regime “millenario”, escluse dalle professioni, vennero utilizzate anche nel programma criminale della Soluzione Finale.

 

La storiografia di genere testimonia i vari ruoli assunti dalle donne nel Terzo Reich. Anche se politicamente invisibili, le donne erano profondamente coinvolte nel regime nazista, che abbiano sostenuto il Partito o meno. Durante il periodo nazista, gli uomini hanno ideato e messo in atto i programmi razziali, ma le donne vi hanno partecipato come studentesse, infermiere e violente esecutrici materiali.
I primi studi sulle donne tedesche durante la Seconda Guerra mondiale si sono focalizzati sulla mancanza di mobilitazione delle donne nel mondo del lavoro in tempo di guerra, ma molte ne facevano già parte prima del conflitto.
La storiografia sulle donne nella Germania nazista è complessa e controversa, ma dimostra l’importanza del ruolo femminile in un regime dominato dagli uomini. Gli uomini guidavano il Partito nazista. Gli uomini controllavano la legislazione e i programmi del regime, detenevano il potere su tutta la Germania, comprese le donne. Adolf Hitler e i leader nazisti descrivevano la donna ideale come madre e custode della prossima generazione di giovani tedeschi; per questa ragione, i nazisti crearono innumerevoli programmi e una legislazione ad hoc per le donne e le future generazioni tedesche. Questi programmi relegavano la donna al ruolo di moglie e madre, custode della prossima generazione del Terzo Reich, governandone al contempo la vita personale. I nazisti avevano bisogno che le donne rimanessero nella loro “sfera privata”, casa e cucina. I programmi escludevano le donne dalla politica e dall’istruzione superiore, infatti, l’accesso all’Università fu reso molto restrittivo, inoltre, le donne non poterono svolgere la professione di medico e procuratore. Tuttavia, molte donne medico furono richiamate in servizio data la penuria di personale sanitario.

Gli uomini nazisti definirono il ruolo delle donne nel Terzo Reich, eppure, nonostante il credo nazista della donna ideale come moglie e madre relegata alla “sfera privata”, Hitler e i nazisti avevano bisogno che le donne svolgessero ruoli diversificati nel regime.
Mentre i nazisti esaltavano il valore della maternità per le donne, non le escludevano dal razzismo del regime. I nazisti sostenevano di proteggere le donne dagli aspetti “spiacevoli” della politica razziale, ma erano comunque molto coinvolte nel razzismo del Terzo Reich.
Dal momento in cui Adolf Hitler e i nazisti presero il potere, evidenziarono le caratteristiche della razza tedesca e la necessità dello sterminio per i nemici della Germania. Questi principi, inculcati attraverso l’educazione nelle giovani donne, insegnarono loro l’importanza della purezza del sangue tedesco. La formazione scolastica preparò le giovani inviate nell’Europa Orientale, per assistere nel reinsediamento dei tedeschi etnici, a riconoscere i nemici della Germania.
Erano donne quelle assistenti sociali che presero decisioni in materia di sterilizzazione. Erano donne quelle infermiere che parteciparono agli esperimenti e all’eutanasia dei malati mentali, e erano donne anche le guardie dei campi di concentramento e di sterminio nazisti. Gli uomini erano i leader delle campagne razziali naziste, ma le donne vi svolsero comunque un ruolo attivo.
Un’altra contraddizione per le donne tedesche era la loro partecipazione alla forza lavoro. I nazisti non volevano che le donne facessero parte della forza lavoro, ma molte continuarono ad entrare e a rimanere nel mercato del lavoro e, fatta eccezione per l’Unione Sovietica, in numero maggiore di qualsiasi altro Paese europeo, prima e durante la Seconda Guerra mondiale. L’affermazione che la Germania abbia fallito nel mobilitare le donne ignora che le donne hanno lavorato per tutto il periodo nazista. La presenza femminile nel mercato del lavoro era molto importante per la Germania, più che il ruolo di madre e moglie; infatti, le donne tedesche sono state molto preziose per lo sforzo bellico, nonostante abbiano ricevuto poco aiuto dai nazisti, anche se il regime cercò di ideare dei progetti per facilitare il lavoro femminile inviando giovani nelle fabbriche e nelle aziende agricole, sebbene con scarso successo.

Appena sei settimane dopo che Hitler salì al potere, il Ministro della Propaganda del Reich Joseph Goebbels pronunciò un discorso per l’inaugurazione della mostra “La Donna”, che si aprì a Berlino il 18 marzo 1933. Qualunque fosse il precedente ruolo della donna durante la Repubblica di Weimar, l’intenzione del suo discorso era quello di delinearne chiaramente la “nuova” posizione sotto il nazionalsocialismo. A differenza dei Partiti di Weimar, che avevano cercato di integrare le donne nelle loro formazioni politiche, il nazionalsocialismo cercava di tenerle lontane dalle questioni parlamentari-democratiche. Secondo Goebbels, questa politica non doveva essere attribuita ad una mancanza di rispetto per le donne, al contrario, era un segno di riguardo nei loro confronti.
Uno dei cambiamenti immediati di indirizzo della Germania nazista fu quello di rimuovere le donne dagli impieghi raggiunti durante la Grande Guerra e la Repubblica di Weimar, quando erano state avviate politiche che avevano sottratto le donne ai ruoli “naturali e propri” di madri e le avevano portate nel mondo del lavoro in un momento di declino morale e disperazione. Il nazionalsocialismo chiedeva un cambiamento fondamentale per ripristinare l’onore maschile rimuovendo le donne che avevano agito come uomini. Il luogo più adatto per una donna era la famiglia, e il suo più “glorioso dovere [era] far nascere bambini per il suo popolo e per la nazione, bambini che possano perpetuare la discendenza e garantiscano l’immortalità della nazione “. Mentre gli uomini avrebbero dovuto essere i capifamiglia, politici e militari, le donne erano ora tenute a lasciare i ruoli assunti durante la Prima Guerra mondiale alle loro spalle, e tornare a casa per prendere il loro posto al centro della famiglia, come madri del Reich tedesco.
Adolf Hitler, un uomo che oscillava su quasi ogni questione politica cruciale, fu sempre fermo nella sua convinzione di due assiomi biologici: che i sessi dovessero avere ruoli nettamente separati e che gli ebrei dovessero essere eliminati. “Kinder, Küche, Kirche” era un paradigma che doveva regolare la vita delle donne tedesche durante il regime nazista. Qualunque sfera alternativa a cui le donne avessero partecipato durante la Prima Guerra mondiale, e la successiva fallimentare democrazia di Weimar, sarebbe stata ignorata. Le donne della società nazista dovevano uscire dal mercato del lavoro per fare spazio ai disoccupati, uomini de-mascolinizzati.

Non solo il cosiddetto “surplus di donne” aveva abbassato i salari, ma anche le perdite subite dalla popolazione dal punto di vista numerico divennero un importante obiettivo nazionale, a cui sarebbe stato posto rimedio attraverso un programma di rieducazione massiccio, progettato per ripristinare i valori familiari che la vita moderna aveva eroso. Per facilitare queste misure, i nazionalsocialisti, che avevano risentito del contraccolpo rappresentato da quelle donne che avevano sperimentato la libertà economica durante la Prima Guerra, incoraggiarono le donne a lasciare i loro posti di lavoro e aumentare il tasso di natalità.
Il progetto del prestito per il matrimonio, introdotto come parte della legge per ridurre la disoccupazione del 1°giugno 1933, aveva lo scopo di combattere la denatalità e alzare i tassi di occupazione. Alle coppie che intendevano sposarsi sarebbe stato offerto un prestito esente da imposte per un importo di 1000 marchi. Ad ogni bambino nato alla coppia, un quarto del prestito sarebbe condonato. Per le madri che partorivano quattro o più figli, l’intero prestito sarebbe stato condonato, inoltre, erano assegnate delle medaglie, similari a quelle ricevuti da soldati e veterani in onore del loro coraggio e sacrificio in difesa della nazione. Le donne con un numero eccezionale di bambini avrebbero avuto anche la possibilità di avere un alto funzionario come padrino onorario dei figli.
La politica nazista nei confronti delle donne le incoraggiava, per il bene della purezza della razza “ariana”, ad avere il maggior numero possibile di bambini. Anche se le donne e gli uomini dovevano occupare sfere separate, i nazisti avevano instillato un senso di orgoglio nell’ambito della maternità. Molte donne naziste credevano in questa separazione delle sfere di influenza tra uomini e donne, e alcune addirittura condividevano le stesse convinzioni con le femministe di Weimar; mentre entrambi gli schieramenti accettavano gli stereotipi convenzionali sulla natura della donna e lavoravano per migliorarne lo status pubblico, le donne naziste, a differenza delle donne in altri movimenti politici, lavoravano al di fuori del quadro politico. Piuttosto che competere all’interno del patriarcato, queste donne accettavano la loro condizione di secondo sesso nel movimento di Hitler nella speranza di proteggere il loro regno femminile contro le interferenze maschili.

Elsbeth Zander, leader della NS Frauenschaft, il primo movimento femminile ufficiale allineato al NSDAP, andò oltre l’incoraggiare le donne a dedicarsi a compiti che si ritenevano più importanti delle questioni politiche. “Permettendo” agli uomini fare il duro lavoro di “ripulire le strade”, le donne avrebbero avuto la capacità di unirsi alla crociata dietro la “fiamma sacra della maternità.” Le donne si sarebbero assunte il compito più impegnativo di purificare la cultura nazionale e garantire il futuro della razza tedesca, senza interferenze da parte degli uomini. Dissociandosi dalla vita pubblica a predominanza maschile, secondo Zander, per la prima volta le donne avevano la libertà di creare un proprio spazio di attività.
È interessante soffermarsi anche sull’istruzione delle ragazze in Germania. Nella Repubblica di Weimar le ragazze accedevano all’istruzione superiore, ma l’ascesa di Hitler e dei nazisti cambiò il sistema educativo. I quattro anni della Volkschule avevano lo stesso curriculum di studi per entrambi i sessi, ma le scuole superiori differivano per gli studenti maschi e femmine. Lo storico Michael Karter ha descritto la propaganda per la scuola delle ragazze come tesa a sottolineare il divertimento comune, l’amicizia, l’atletica e la competizione. Gli studi teorici avevano un ruolo minore nella formazione delle giovani donne. Invece di matematica e scienze, la NS- Frauenschaft introdusse nelle classi per le ragazze cucito e economia domestica. Le priorità dei nazisti erosero la formazione tradizionale delle ragazze attraverso la propaganda sessista e razzista in classe, i tentativi di sopprimere le scuole confessionali, e l’interruzione della vita scolastica per le esigenze dell’attività della Bund Deutscher Mädel.
Il regime nazista riuscì ad entrare ancora di più nella sfera privata delle donne con l’approvazione di norme che negavano la contraccezione e l’aborto, ma li consentivano alle donne non ariane. Tuttavia, le donne tedesche hanno continuato ad usare metodi contraccettivi e a praticare l’aborto clandestinamente.
La sterilizzazione forzata rappresenta un tema storiografico molto dibattuto. Le Corti inviavano ai centri di sterilizzazione le donne “deboli di mente”, schizofreniche, “promiscue”, detenute o ex detenute per proteggere la “razza ariana” da pericolose contaminazioni. Anche alcuni uomini hanno affrontato la sterilizzazione forzata, ma le donne rappresentano circa l’80% dei decessi. Queste vittime, non solo della sterilizzazione ma anche di aborti falliti, sono il frutto anche di ciò che la sterilizzazione significava per loro: la distruzione dei loro corpi e delle loro identità femminili.

Nel settembre del 1935 i leader nazisti annunciarono una serie di Leggi, note come Leggi di Norimberga. Queste norme revocarono la cittadinanza del Reich agli ebrei, e divenne reato penale per gli israeliti avere una relazione o essere sposati con un tedesco ariano. Nel giro di pochi mesi, questa serie di Leggi è stata applicata ad altri tedeschi ritenuti inferiori, e a quelli che avrebbero potuto produrre una prole “razzialmente” non idonea. La propaganda ha ulteriormente sostenuto la sterilizzazione di quelli che non erano “idonei”, in quanto minacce per la popolazione ariana. Le donne, in quanto protettrici della razza tedesca, sono state fondamentali per identificare gli “anormali”. All’interno delle loro stesse famiglie, era un dovere patriottico del genitore di rinunciare alla genitorialità nel caso di bambini potenzialmente “indegni”, al fine di migliorare la qualità della vita per le future generazioni “ariane”. La cooperazione delle donne all’interno delle loro stesse case, in accordo con l’esperimento eugenetico di Hitler, si sarebbe rivelata presto cruciale con l’introduzione dei programmi di eutanasia gestiti dallo Stato.
Nel 1937, quando ci fu una grave carenza di manodopera in Germania, la politica nei confronti del lavoro femminile cambiò. Improvvisamente, le donne erano incoraggiate a unirsi alla forza lavoro. Dall’inizio della Seconda Guerra mondiale, circa la metà di tutte le donne in età lavorativa furono impiegate in qualche settore dell’economia. I preparativi per la Guerra e il conflitto aumentarono massicciamente la necessità di colmare la mancanza di forza lavoro.
In combinazione con l’ideologia nazista che dava grande importanza alle donne in quanto madri responsabili per sviluppare e proteggere la razza ariana, questa nuova esigenza di occupazione femminile ha instillato in molte donne un senso di indipendenza mai sperimentato in precedenza. Nonostante il fatto che legalmente le donne fossero ancora subordinate agli uomini, e ricevessero una retribuzione inferiore, le opportunità di occupazione femminile furono maggiori sotto i nazisti che durante la Repubblica di Weimar e in seguito nella post-bellica Germania Ovest. Le organizzazioni femminili del regime prepararono le donne naziste espandendo l’ambito del loro ruolo per includere il lavoro subordinato nelle fabbriche, negli uffici, e nelle forze militari come ausiliarie. Questo prezioso senso di indipendenza e di potere si sarebbe rivelato pregno di implicazioni per il ruolo della donna tedesca, soprattutto con il progredire degli eventi bellici.

Il Partito nazista aveva un particolare appeal per i giovani, così come per i membri dei ceti medio-bassi, trascurati dalla Repubblica di Weimar. All’interno del Partito nazista, i giovani membri avevano maggiori opportunità di emancipazione rispetto al passato. Tra il 1929 e il 1933, le crescenti difficoltà economiche, in combinazione con un regime politico fallimentare e la mancanza di genitori comprensivi, avevano lasciato poche opzioni a molti giovani uomini e donne. Questa mancanza di guida da parte dei genitori fornì l’opportunità che i leader del Partito nazista stavano aspettando. Il NSDAP rappresentò per molti un barlume di speranza, quello che era mancato dalla fine della Prima Guerra mondiale. Al Partito nazista, il movimento giovanile era indispensabile, nonostante l’incapacità di votare al momento o raggiungere gli alti gradi del Partito, quanto incorporare le donne al fine allevare la successiva generazione; i giovani sarebbero serviti per mantenere in vita l’ideologia nazista molto tempo dopo la morte dello stesso Hitler. Sebbene inizialmente il führer fosse scettico di fronte all’idea di fondare una lega nazista degli studenti, dal 1930 riconobbe “che i giovani sono necessari in quanto reclute e garanti della longevità del movimento.”
La Hitlerjugend (HJ), o Gioventù hitleriana, era necessaria per la continuità millenaria del Reich e sarebbe servita come mezzo per indottrinare milioni di giovani, ragazzi e ragazze, vulnerabili. La HJ, aperta ai bambini dai dieci anni -prima volontariamente, poi alla fine obbligatoria- promuoveva i valori nazisti chiave. Per molti, la HJ evocava un importante senso di appartenenza ad una comunità più ampia, rendendo questi bambini completamente privi di individualità, beni preziosi a disposizione dei nazisti. Al fine di avere un grande numero di bambini coinvolti, la Gioventù Hitleriana offriva varie attività, come il campeggio, il trekking, lo sport e altri giochi. Le attività dovevano improntarsi alla formazione militare. Il campeggio è stato fondamentale nell’insegnare ai suoi membri la capacità di leggere le mappe e acquisire familiarità con una vasta gamma di terreni sui fronti di battaglia. Questo dava ai futuri protettori della nazione una vista della Germania in tutta la sua gloria; quando la patria sarebbe stata minacciata da coloro che vivevano nelle terre di confine orientali, questi ragazzi non si sarebbero fermati davanti a nulla per proteggerla. Questi bambini accoglievano favorevolmente l’opportunità di impegnarsi in vari sport, tra cui ginnastica, nuoto, scherma, di importanza fondamentale nel promuovere un “sentimento reciproco di comunità” e di fedeltà.

Mentre instillava sentimenti di cameratismo tra i suoi membri giovani e impressionabili, la HJ onorava, allo stesso tempo, il principale principio sociale darwinista della sopravvivenza del più forte. I leader incoraggiavano, più di qualsiasi altra lega giovanile repubblicana, a livello individuale e di gruppo, il sadismo, le torture fisiche e mentali, e promuovevano il nonnismo. Ad esempio, i giovani erano costretti a dimostrare il loro coraggio saltando in pozze d’acqua da cinque metri di altezza. I bambini erano anche istruiti a salire degli anfratti senza adeguati meccanismi di sicurezza. Per completare ulteriormente la loro formazione militare, ai ragazzi era insegnato a usare fucili di piccolo calibro, destinati ad “affinare nei ragazzi l’appetito per il combattimento reale.” Inoltre, dal momento dell’adesione, il concetto nazista della razza ariana superiore era ampiamente diffuso; quando si univano alla Gioventù Hitleriana, i giovani erano indottrinati con l’ideologia nazista razzista. L’indottrinamento, abitualmente negato dagli apologeti della gioventù nazista, in realtà, si è verificato su grande, ed efficace, scala. La prova può essere rintracciata nei film di propaganda della HJ e nelle modalità di rappresentazione delle persone considerate inferiori o “indegne della vita”, in cui si mostravano individui definiti “asociali”, “storpi” e “idioti”, e serie di foto di ebrei qualificati come “bastardi”.
Senza dubbio l’indottrinamento razziale antisemita si svolgeva anche nelle case e nelle scuole, ma la HJ faceva del suo meglio per integrare e infondere questi ideali razzisti nelle menti dei bambini. Considerando come la HJ reclutasse avidamente i ragazzi, non sorprende che anche le ragazze siano state integrate nel movimento giovanile nazista. Come i ragazzi del regime nazista, anche le ragazze erano portate a credere che Hitler avesse un interesse personale per ognuna di loro.
Come risultato, un ramo separato della HJ fu creato appositamente per le ragazze. La Bund Deutscher Mädel (BDM), o Lega delle ragazze tedesche, aveva avuto origine nel tardo periodo della Repubblica di Weimar come una sottosezione dell’Organizzazione delle donne naziste. Iniziate le attività nel 1921, lo sviluppo della NS Frauenschaft vide il fondersi di vari singoli gruppi di simpatizzanti naziste femminili che spesso svolgevano le adunanze, raccoglievano fondi per il Partito nazista e davano aiuto ovunque “occorresse prestare soccorso medico o assicurare posti di guardia alle manifestazioni politiche”. Nel 1923, Elsbeth Zander fondò l’ordine delle donne tedesche.

Nel 1931 Hitler aveva riconosciuto l’importanza di un movimento delle donne unificato al fine di evitare un’altra sconfitta tedesca, come era accaduto durante la Grande Guerra. Anche se la mancanza di educazione politica dei soldati fu un elemento di quella sconfitta, si riteneva che l’assenza dell’unità delle donne sul fronte interno avesse influenzato negativamente l’esito della guerra.
La HJ fu molto pragmatica nel comprendere l’importanza della politicizzazione della gioventù femminile. Educare la prossima generazione di donne tedesche con il pensiero nazista non solo avrebbe creato una nuova generazione di donne di “destra”, ma sarebbe anche servita ad evitare il conflitto tra donne orientate verso l’intimità della vita familiare e quelle che volevano avere una vita lavorativa al di fuori delle mura domestiche. Si credeva che questa dualità fosse ciò che aveva portato alla perdita del fronte interno durante la Prima Guerra mondiale. Di conseguenza, varie organizzazioni femminili si riunirono sotto l’organizzazione mantello della NS Frauenschaft, diretta da Gertrude Scholtz-Klink, quando Hitler salì al potere nel 1933. Le organizzazioni naziste per le donne e le ragazze, anche se non così di vasta portata come le organizzazioni per i ragazzi e gli uomini, incoraggiavano le giovani ad aderire ai valori tradizionali. Date le loro caratteristiche di popolarità, queste organizzazioni hanno dato a molte donne un senso di missione e di importanza che non avevano avuto prima del 1933. Di conseguenza, l’adesione delle donne alla Nationalsozialistische Frauenschaft, o organizzazione delle donne naziste (NSF) aumentò del 800% tra il gennaio e il dicembre del 1933.

Le più influenti tra queste donne erano quelle attive nella vita politica della nazione sotto la NS Frauenschaft e la deutsches Frauenwerk. Sotto il comando della NS Frauenschaft, la giovane popolazione femminile era politicamente organizzata sotto la Bund Deutscher Mädel, che faceva parte della Gioventù hitleriana. In precedenza, quando non c’erano club indipendenti dedicati alle giovani donne, la BDM chiedeva una sfera separata di influenza, specificamente progettata per procurare ragazze naziste sane e leali, così come per formare giovani adulte che divenissero insegnanti, medici, avvocati, ingegneri e altro ancora. Queste ragazze erano trattate in modo simile ai ragazzi nella HJ, in cui vi era poca pianificazione riguardo alle differenze di genere. In realtà, era proprio per questo motivo che molte ragazze furono attratte dalla BDM, poiché dava loro la possibilità di fare ciò che fino a quel momento solo i ragazzi erano autorizzati a fare. Infatti, diede l’opportunità di viaggiare, divertirsi, e diventare indipendenti dai loro genitori dopo la crisi finanziaria che molto probabilmente aveva segnato la loro infanzia. Inoltre, alle ragazze che si sentivano intimidite dai loro padri, era data la possibilità di sperimentare la libertà e uscire da un modello familiare molto autoritario nel rapporto genitori-figli.

Come per i ragazzi nella HJ, l’aspetto esteriore delle ragazze era standardizzato. Le ragazze dovevano indossare una camicetta bianca con gonna blu scuro, con un emblema triangolare ricamato sulla manica sinistra, che indicava la rispettiva area di appartenenza nella Lega. La divisa si completava con una sciarpa nera legata insieme con una stringa di cuoio marrone. In inverno, l’abito era di solito accompagnato da calze bianche. Le ragazze indossavano lunghi cappotti marroni e scarpe allacciate, o un giubbotto marrone, o una giacca nera secondo il costume contadino. Questa divisa standardizzata non solo dimostrava con orgoglio la loro appartenenza alla pura comunità tedesca, ma rappresentava anche un simbolo di esclusione per quelli fuori dalla Lega, fungendo da inequivocabile messaggio: nessun membro poteva deviare dalla norma nazista. Come i giovani ragazzi della HJ, il loro sostegno era necessario per garantire la longevità del regime nazista. Infatti, i ragazzi e le ragazze di Hitler erano considerati uguali, non solo dal punto di vista delle attività quotidiane, ma anche in quelle attività nell’ambito della leadership, della scolarizzazione ideologica e della psicologica di base.
Le ragazze potevano entrare nella BDM dall’età di dieci anni, a condizione che fossero di pura razza ariana. Come i ragazzi della HJ, molte delle ragazze che aderirono erano entusiaste. Renate Finckh, scrivendo dopo la guerra, rifletté sugli anni come membro della BDM. Finckh, che aderì alla Lega all’età di dieci anni a causa dei genitori sempre più impegnati con il Partito nazista, lo fece per bisogno di amicizia. Per questa giovane ragazza, come per migliaia di altre, il gruppo serviva da “casa emozionale, un rifugio sicuro… uno spazio in cui valere”. Lei, insieme con gli altri della sua età, era mossa dall’idea che il Führer, a differenza dei suoi genitori, avesse bisogno di lei per formare un gruppo di élite all’interno della comunità tedesca. In effetti, molti dei giovani membri erano più interessati a essere accettati dai loro coetanei e a conformarsi agli ideali della società nazista che a obbedire ai genitori. Come scritto in precedenza sulla negazione nel dopoguerra dell’indottrinamento nazista dei ragazzi, anche le memorie delle donne presentano la stessa rimozione.

Tuttavia, ciò che molte ricordano è stata l’importanza dello sport. Mentre i ragazzi erano indottrinati con la formazione militare attraverso escursioni a piedi, tiro e altri sport, l’uso dello sport per le ragazze era in accordo con l’ideologia nazista. Lo sport serviva ad allevare donne belle e forti, donne che dovevano essere “solide e robuste per gli uomini, in modo che i figli che avrebbero avuto fossero forti”. I ragazzi erano addestrati a difendere fisicamente la nazione, mentre le ragazze erano addestrate ad essere fisicamente forti per la nazione. Il rafforzamento dei loro corpi attraverso lo sport aveva lo scopo di fornire un ospite robusto, in grado di far nascere il maggior numero possibile di bambini, per mantenere la purezza della razza tedesca. I corpi non appartenevano più all’individuo, ora i corpi di queste giovani erano subordinati agli interessi nazionali. Attraverso la Lega delle ragazze tedesche, in modo simile ai coetanei di sesso maschile, le ragazze diventavano parte della comunità “nazionale”. Queste giovani donne ebbero la possibilità di essere considerate come eguali alla gioventù hitleriana su un piano percepibile e reale.
Circa quattro milioni di giovani di età compresa tra i dieci e i ventuno anni di età fecero parte della BDM. Due milioni delle quali erano membri della Gioventù hitleriana interna. I restanti due milioni erano inquadrati secondo l’ordine di servizio della gioventù del 25 Aprile 1939.

Con l’inizio della Seconda Guerra mondiale, il regime nazista invitò le donne a partecipare allo sforzo bellico; le donne colsero al volo l’opportunità di servire il loro amato Führer. Con l’espansione dell’impero di Hitler, ci si aspettava che le donne assumessero più compiti. Non più destinate esclusivamente a gestire le famiglie, era necessario che facessero parte dei sistemi di Governo e delle imprese private. Poiché la Germania stava conquistando sempre più territori ad Est, le donne accettavano volentieri la possibilità di esplorare la nuova frontiera, dove “tutto era possibile.” Comparabilmente all’America del “selvaggio West”, per i tedeschi il “selvaggio Est” evocava tutta la violenza degli stereotipi della letteratura sui cowboy e gli indiani del cinema del tempo ma anche un certo romanticismo. Nell’ideologia nazista, lo spazio vitale ad Est sarebbe servito come l’area in cui la Germania avrebbe continuato a espandersi e a mantenere in vita il Reich millenario.
Al fine di trasformare l’idea in una realtà concreta, il territorio, considerato un ambiente ostile abitato da razze inferiori e selvagge, doveva essere conquistato così da ridurre la minaccia per la sicurezza e la purezza della razza. L’annessione dei territori a Est comportava la completa distruzione degli ebrei e lo spostamento dei polacchi, e l’insediamento sul territorio dei tedeschi al fine di garantire il loro predominio razziale. Queste credenze divennero motivazioni razionali dietro l’omicidio di massa di uomini, donne e bambini ebrei, insieme ad altri “indegni della vita”. Per condurre a buon fine tale “missione pedagogica”, i tedeschi etnici avrebbero dovuto essere monitorati e mobilitati, in modo che chiedessero un aiuto esterno. Il processo sarebbe iniziato formando un vero e propri “focolare tedesco” che, a sua volta, doveva essere trasposto nella vita pubblica. Si riteneva fondamentale per questo tipo di formazione “l’esperienza femminile.” Al fine di promuovere efficacemente la cultura del Reich tra i tedeschi etnici, ci si aspettava che le donne dell’Ovest intervenissero nei nuovi territori annessi dell’Est. In modo efficace, e senza pietà, per promuovere l’espansionismo territoriale nazista, i compiti femminili dovevano essere reinterpretati in modo da creare uno spazio in cui le donne si sarebbero sentite costrette a superare i ruoli di genere tradizionali per sviluppare il “Lebensraum”. Con l’opportunità di avventurarsi ad Est, spesso le donne accettavano volentieri la sfida. Desiderose di garantire il dominio del Reich, che poteva essere compromesso dalla presenza di elementi “indesiderati”, ma subordinate, le donne si presero l’impegno di vari progetti sotto l’apparenza dell’ordine e della pulizia, responsabili per la costruzione di una corretta tipologia di sfera domestica.
Al fine di costruire con successo l’identità nazionale tedesca e difendere le rivendicazioni territoriali della Germania, nonostante la presenza di altre nazioni o popoli, le donne tedesche si assunsero impegni anche nella sfera pubblica. Sebbene tradizionalmente nell’ambito pubblico le donne fossero state tenute in una posizione subordinata rispetto agli uomini, nel territorio orientale, le dottrine razziste permettevano alle donne di essere equiparate agli uomini, in quanto “razzialmente superiori” alle popolazioni colonizzate. Questa opportunità di andare “ad Est” ha significato la costruzione di una società basata sulla complementarità dei sessi. Qui, tutti i tedeschi “puri”, non importava il genere, erano ugualmente impegnati nell’esclusione razziale e, di conseguenza, erano parificati nella loro lotta contro il nemico comune.

Circa diciannovemila giovani donne tedesche furono inviate nei diversi territori della Polonia per aiutare nelle operazioni di reinsediamento come insegnanti, segretarie, infermiere e anche come guardie dei campi di concentramento e sterminio. Molte erano entusiaste della prospettiva di ottenere un “eccitante” nuovo lavoro ad Est che apparentemente offriva avventure e opportunità di viaggiare. È ipotizzabile che questa “vocazione” fosse anche un modo per aggirare le limitazioni imposte dai nazisti.
Un ambito fondamentale per indottrinare i tedeschi etnici fu l’insegnamento, infatti, molti insegnanti erano donne. Le scuole situate in Polonia furono cruciali per la conversione dei tedeschi etnici alla causa nazista, contemporaneamente alla creazione di una gerarchia razziale, che aveva rimosso i non-tedeschi dalla scuola, e che contribuiva a sviluppare un nuovo gruppo di élite di educatori femminili.
Per adempiere a questo compito gli insegnanti diretti ad Est dovevano essere prima indottrinati con l’ideologia nazista. In accordo con la riforma nazista dell’educazione del 1934, i giovani tedeschi dovevano essere educati al servizio dello spirito nazionalsocialista, per questo gli insegnanti dovevano ricevere una formazione adeguata; due terzi di tutti gli insegnanti tedeschi parteciparono a campi di addestramento.
Gli insegnanti contribuirono a rafforzare l’esagerata, addirittura completamente inventata, storia nazista che inseriva Hitler nel “pantheon degli eroi”, in cui figuravano Carlo Magno, Federico il Grande, e Bismarck. Mentre le lezioni di storia si concentravano sul dominio militare tedesco e sugli imperi del passato, le lezioni di lingua e letteratura si focalizzavano sul riconoscimento delle differenze nel discorso come varianti razziali, piuttosto che differenze regionali. Le lezioni di sociologia fecero un ulteriore passo avanti, in quanto agli studenti era spiegato come riconoscere un ebreo, basandosi sul suo modo di camminare, sui gesti delle mani, così come sui movimenti fatti mentre parlava. Al fine di infondere ulteriormente il razzismo nei bambini, la matematica era utilizzata per giustificare l’omicidio di massa, in quanto si calcolavano i costi aggiuntivi per la spesa pubblica derivanti dall’assistenza sociale per disabili e “inutili parassiti”.

Ad esempio, un tipico problema di matematica da risolvere era: “Ogni giorno, lo Stato spende 6 RM per uno storpio; 41 RM per una persona malata di mente; 51 RM per una persona sorda; 53 RM per una persona debole di mente; 31 RM per un alcolista; 44 RM per un alunno in cura; 20/21 RM per un alunno in una scuola speciale; 9/20 RM per un alunno in una scuola normale… Che costo totale creano uno storpio e una persona debole di mente, se si considera una durata di quarantacinque anni (…) calcolare la spesa dello Stato per un alunno in una scuola speciale e per un alunno in una scuola normale nell’arco di otto anni, indicare l’importo del maggior costo generato dall’alunno nella scuola speciale”.
Chiaramente, problemi di matematica come questi erano ideati per dimostrare ai bambini la quantità di denaro speso per le persone indesiderabili, associando l’educazione all’idea della distruzione dell’altro.
Alcuni insegnanti portarono addirittura i loro studenti a visitare degli ospedali psichiatrici. Secondo la legge del 1933 per la prevenzione della prole geneticamente malata, gli insegnanti dovevano riferire attivamente i casi di bambini sospettati di avere una disabilità. Accompagnandogli in questi ospedali, non solo gli allievi potevano apprezzare la loro “salute razziale”, ma la gita gli insegnava anche come identificare i “deboli di mente”.
Come gli insegnanti non mostravano alcun rimorso per i bambini innocenti che denunciavano alle Autorità, i loro coetanei erano addestrati a non provare simpatia per quei coetanei “razzialmente inferiori”. La socializzazione nazista in realtà incoraggiava questo atteggiamento, come affermazione di una propria superiorità. Per i bambini non “conformi”, le percosse erano le punizioni più comuni.
Mentre tradizionalmente gli insegnanti dovevano sostenere la crescita educativa e personale dei bambini, sotto il regime nazista furono usati per manipolarli e indottrinarli con l’ideologia nazista. Di conseguenza, gli insegnanti, in particolare quelli di stanza nei territori dell’Est, erano strumentali nella realizzazione della campagna genocidaria del regime. Non solo esclusero i bambini non tedeschi dalle scuole privilegiando e indottrinando il gruppo dei tedeschi etnici, ma furono anche disposti ad educare i bambini “razzialmente preziosi” che le SS e i poliziotti locali in Polonia e in Ucraina a volte risparmiavano dalla morte; infatti, se i bambini sembravano abbastanza “ariani”, durante le stragi di interi villaggi, le SS li rapivano. Questi bambini erano poi portati agli edifici scolastici e gli insegnanti si assumevano il compito di indottrinarli con l’ideologia nazista. Verso la fine della guerra, quando la strategia nazista era di ritirarsi dal fronte orientale e di rientrare nei confini della Germania, gli insegnanti semplicemente abbandonarono questi bambini, molti dei quali erano orfani, ben sapendo che sarebbero probabilmente stati uccisi dall’Armata Rossa.

Le segretarie erano un altro grande gruppo di donne desiderose di approfittare delle opportunità di lavoro nei territori orientali. La maggior parte di queste donne ha dimostrato di essere il più grande gruppo di “volenterose collaboratrici” del genocidio nazista. L’occupazione della segretaria richiedeva competenze che comunemente ci si aspettava da una donna, ma è interessante notare come questa sottosezione si sia trovata direttamente nel bel mezzo dell’azione politica, non solo a causa del crescente numero di uffici che si aprirono ad Est, a seguito dell’annessione della Polonia, ma anche perché questi colletti bianchi occupavano posti che richiedevano di firmare gli ordini militari, organizzare liste di nomi di persone da deportare e uccidere, gestire i beni confiscati ai deportati.
Tra alcune delle migliaia di segretarie che si offrirono di lasciare la Germania di fronte alle nuove opportunità in ambito amministrativo vi erano donne come Liselotte Meier e Sabine Dick. Meier, una giovane donna in cerca di avventura, colse praticamente al volo l’opportunità di diventare una segretaria nei territori dell’Est, invece che lavorare in una fabbrica di Lipsia. Il programma di formazione gli consentì di familiarizzare con il lavoro d’ufficio, ma gli fu insegnato anche a sparare. Mentre era di stanza a Lida, in Bielorussia, Meier fu determinante nell’organizzare le stragi. Era una delle persone più esperte dell’ufficio, e aveva più informazioni rispetto a molti degli altri funzionari di sesso maschile. Dal momento in cui ebbe luogo il primo massacro del ghetto ebraico l’8 maggio 1942 fino alla fine del 1943, Meier era presente in più di una di queste sparatorie. In quanto sua amante, divenne segretaria personale dell’SS Hermann Hanweg, ottenendo una grande responsabilità: aveva libero accesso alla cassaforte dell’ufficio in cui erano custoditi gli ordini segreti, ma lei stessa poteva scrivere degli ordini di servizio, ed era in possesso del timbro dell’ufficio che le dava la facoltà di firmare per conto del commissario.

Sabine Dick, un’altra segretaria, lavorava presso l’Ufficio Principale della Sicurezza del Reich a Berlino, quando, nella speranza di avanzare di posizione e di ricevere uno stipendio più alto, accettò un impiego presso l’ufficio della polizia segreta a Minsk, in Bielorussia. Dick divenne ben presto una risorsa indispensabile per il suo capo, Georg Heuser. Dick ha sempre scritto gli ordini di Heuser per le “Aktions” contro gli ebrei, che comprendevano dettagliate informazioni su coloro che partecipavano, tipi di armi utilizzate, e il cibo e le bevande assegnati per ogni massacro.
Con le annessioni di Polonia e Austria, la crescita della Germania nazista dipendeva anche dalle giovani donne che dovevano fare la loro parte come impiegate, stenografe, operatrici telefoniche e receptionist. Anche se inizialmente c’era inquietudine fra gli uomini, le donne rappresentavano una fonte di manodopera a basso costo, paure e pregiudizi dovettero essere messi da parte una volta che fu palese quanto fosse necessario che le donne prendessero negli uffici il posto degli uomini chiamati al fronte. Si ritiene che migliaia di donne tedesche non sposate furono impiegate nei territori dell’Est in uffici militari, amministrativi e commerciali privati. Le migliori e le più brillanti segretarie, quelle che lavorarono nei più famosi uffici dell’apparato del terrore nazista, tuttavia, si adattavano ad un determinato profilo. La maggior parte era composta da membri attivi nel Partito già prima della loro delocalizzazione ad Est, ed erano donne serie, sicure di sé, che immaginavano la nuova frontiera come un luogo attraente per lavorare. Ricevettero una migliore retribuzione in questi luoghi di lavoro, ma soprattutto la sicurezza di lavorare dall’interno, piuttosto che dall’esterno, per la causa nazista.
Queste donne credevano fermamente di essere patriote tedesche, semplicemente svolgendo il loro lavoro nell’amministrazione statale e ricevendo in cambio dal sistema nazista una migliore retribuzione, avventure, grandi responsabilità e un mondo di “opportunità”.

Anche nell’ambito sanitario erano presenti molte donne. Fino alla metà dell’Ottocento il lavoro di infermiera era circoscritto alle donne della classe medio-alta. Mentre gli uomini combattevano per la patria, ci si aspettava che le donne avrebbero fatto la loro parte utilizzando il loro istinto materno nella cura dei soldati tedeschi negli ospedali da campo. Durante la Seconda Guerra mondiale, la Germania nazista offrì una diversa aspettativa alle donne. Con la negazione complessiva delle differenze di classe prevalenti in passato, la nuova gerarchia razziale e la richiesta di unità nazionale stabilivano che la posizione sociale non avesse più importanza. Le donne erano ora mobilitate in massa indipendentemente dallo status socioeconomico. Considerando che molte donne non potevano più esercitare la professione medica, molte erano entusiaste della prospettiva di diventare infermiere.
Avendo già ricevuto un forte indottrinamento dell’ideologia nazista e della biologia razziale attraverso i corsi per l’infanzia obbligatori e la BDM, con l’annessione nazista della Polonia, circa quindicimila donne si presentarono alle unità di reclutamento dalla fine del 1939 all’inizio del 1940. A questi “angeli del fronte”, le cui virtù tradizionali in quanto infermiere comprendevano attribuiti come lo spirito di sacrificio, la disciplina e la lealtà, era stato insegnato a coltivare l’odio per il nemico ed erano ora utilizzate per favorire lo sforzo bellico.
Già nel 1936, era stato istituito un Comitato segreto del Reich per la registrazione delle malattie ereditarie gravi. Questo comitato, composto da tre esperti del campo medico, discusse la possibilità dell’eutanasia. Nel 1939, il Comitato presentò un progetto di Legge che chiedeva la “distruzione della vita indegna di essere vissuta.” Questo documento servì come sanzione legale per uccidere coloro che soffrivano di qualsiasi disturbo mentale o fisico. Nel primo comma, si affermava che una persona poteva richiedere l’eutanasia ad un medico. Nel secondo, coloro con malattie mentali incurabili, non in grado di sostenere un’esistenza indipendente, e ritenuti incapaci di prendere decisioni informate nel loro interesse, potevano essere prematuramente “terminati” attraverso raccomandazione medica.
Di conseguenza, divenne obbligatorio per medici, infermieri, ostetriche segnalare al Ministero degli Interni qualsiasi bambino nato con una malformazione o disturbo. Questa informazione passava a tre arbitri, due pediatri e un direttore di un istituto psichiatrico, che dovevano decidere se il bambino sarebbe stato ucciso o meno. Queste decisioni erano prese basandosi esclusivamente sulla diagnosi scritta a discrezione di una levatrice, di una infermiera o di un medico. Se veniva decisa la soppressione, i bambini erano inviati a centri specializzati.

Le infermiere facenti parti del personale all’interno dell’unità pediatrica erano obbligate a prestare un giuramento di fedeltà. È ipotizzabile che per far fronte psicologicamente ai crimini che commettevano si convincessero che lo stavano facendo per il bene della scienza. Una volta abituate alle uccisioni, molte di queste donne hanno continuato con la loro crociata perché non solo favoriva le loro carriere, ma anche per la remunerazione. Molte infermiere in queste cliniche ricevettero 25RM al mese in più sullo stipendio e furono premiate con bonus per il loro lavoro “diligente”.
Nel 1939, Hitler incoraggiò la liberazione della società tedesca da tutti i pazienti malati di mente, e ampliò il programma di eutanasia per includere anche gli adulti. Con l’Aktion T-4, furono istituiti sette centri di sterminio per eseguire l’ordine, quello di Charlottenburg, in un quartiere di Berlino, Grafeneck, Brandeburg, Bernburg, Hadamar, Hartheim, e Sonnenstein. I paramedici, uomini e donne, furono cruciali per il successo dei programmi di eutanasia.
Queste donne furono determinanti non solo per convincere le madri a rinunciare ai propri figli “imperfetti”, ma furono anche parti attive nell’uccisione di migliaia loro. Infatti, si stima che 5.000 bambini siano stati uccisi nei programmi di eutanasia. Esse hanno selezionato i pazienti che dovevano essere uccisi, somministrato le iniezioni letali, redatto certificati di morte fraudolenti, e preparato i corpi per la cremazione. Anche se l’Aktion T-4 fu fermata a seguito delle proteste pubbliche, soprattutto da parte delle Chiese cattoliche e protestanti, i medici e gli infermieri che vi avevano partecipato avevano imparato molto circa i mezzi di omicidio, un requisito fondamentale per i campi di sterminio aperti nel corso della guerra. Durante la guerra, molte di queste infermiere furono chiamate per andare ad Est per la cura dei soldati feriti. Essendo sul fronte orientale, queste donne furono testimoni dell’assassinio degli ebrei, così come dei prigionieri di guerra sovietici, e lavorarono all’interno dei ghetti e dei campi di concentramento. In realtà, le infermiere furono la parte femminile della popolazione più direttamente coinvolta nel genocidio nazista. Non solo contribuirono ad offrire consulenza alle donne sull’igiene razziale e le malattie ereditarie, ma coadiuvarono nella selezione degli invalidi mentali e fisici, condussero persone innocenti alle camere a gas e somministrarono iniezioni letali.

Di tutte le professioni femminili, l’ambito infermieristico contiene la più alta concentrazione di crimini documentati nella Germania nazista, per la partecipazione a programmi di eutanasia sul Fronte interno e per l’assistenza negli “esperimenti medici” svolti nei campi sui prigionieri. Mentre molte donne, come Annette Schuking ed Erika Ohr, ebbero un ruolo meno diretto, altre infermiere, come Pauline Kneissler, svolsero un ruolo più attivo nel genocidio. Nata in una benestante famiglia tedesca etnica nella regione ucraina di Odessa, all’ottenimento della cittadinanza tedesca nel 1920 frequentò la scuola per infermieri a Duisburg. Nel 1937, entrò a far parte del Partito Nazista come membro della Lega nazionalsocialista delle donne, l’Associazione del Welfare nazionalsocialista e la Lega delle infermiere del Reich. Dopo un impiego come infermiera municipale in un manicomio a Berlino, nel 1939, fu direttamente assegnata al programma di eutanasia nazista. Kneissler assistette e partecipò alla selezione dei pazienti per essere uccisi, molti dei quali erano “casi non particolarmente gravi … [o erano] in buone condizioni fisiche.” Kneissler, similarmente a molte altre infermiere, iniziò una “carriera criminale” in luoghi come Grafeneck. Coinvolta nella fase iniziale, Kneissler fu una delle tante donne che parteciparono alle procedure di gasazione e alla somministrazione di iniezioni letali a malati mentali.
Quando è stato loro chiesto il motivo per cui parteciparono volontariamente, molte hanno risposto che volevano fare carriera o desideravano aumentare il loro reddito. Helene Wieczorek ha spiegato che era suo dovere in quanto funzionaria dell’Amministrazione pubblica tedesca, soprattutto in tempo di guerra. Molte donne credevano che aiutando nello sforzo bellico, una volta che la Germania ne sarebbe uscita vittoriosa, Hitler avrebbe riservato un posto per loro nella vita pubblica, un’opportunità che prima non avevano mai avuto. Che sia vero o meno, queste donne hanno usato egoisticamente e brutalmente migliaia di vite, addirittura milioni, per ottenere uno status. Permettere che scivolino attraverso le fessure della storia inosservate significa non rendere onore a tutti coloro che sono caduti vittime del regime nazista.

Un ambito che la storiografia di genere ha iniziato a studiare soltanto recentemente è quello delle guardie dei campi di concentramento e sterminio.
I campi di concentramento furono istituiti in Germania subito dopo che Hitler divenne cancelliere nel 1933. I campi furono creati dalla NSDAP per ospitare i prigionieri politici in modo da eliminare i presunti avversari del nazionalsocialismo, in maggioranza comunisti e socialisti. Queste persone furono imprigionate, in un primo momento, con la scusa della “custodia protettiva”. Sebbene il terrore nazista iniziale sembrasse aver individuato solo coloro che erano percepiti come nemici dello Stato, con il passare del tempo e l’avvicinarsi della guerra, divenne chiaro che i campi di concentramento erano luoghi dove erano inviati quanti ritenuti “indesiderabili” per la società nazista. Il numero dei campi di concentramento continuò a crescere.
I campi di concentramento servivano non solo come area in cui tenere internati degli individui contro la loro volontà, ma avevano lo scopo di sfruttarne i detenuti per farli lavorare come schiavi fino alla morte. Molti prigionieri furono inviati direttamente alle camere a gas all’arrivo nei campi di sterminio, e quelli più sfortunati, su desiderio di Himmler, furono soggetti a esperimenti pseudoscientifici su larga scala per “favorire il presunto progresso dell’umanità”. Un gran numero di internati furono sottoposti a vere e proprie torture spacciate per esperimenti medici.

Le guardie femminili dei campi, per la maggior parte, rappresentano un gruppo di donne che riprese una vita “normale” nel dopoguerra, quasi senza ripercussioni. In effetti, sono state poche le donne impiegate come guardie nei campi di concentramento, si stima circa 3.000-5.000. Purtroppo, nonostante questo relativamente ampio pool di guardie femminili, i file delle donne naziste sono di gran lunga inferiori a quelli dei soldati semplici per quanto riguarda completezza e precisione. Dato che i file personali non sono così completi come quelli degli ufficiali, ci si può legittimamente chiedere quanto ciò limiti la nostra conoscenza sulle donne che assunsero tali ruoli. Secondo Browning, gli uomini delle SS erano riluttanti ad accettare la presenza di donne nei campi di concentramento come guardie, con una conseguente notevole discrepanza tra cosa i nazisti avevano immaginato per le donne e ciò che in ultima analisi si era verificato. Dato che le donne sono arrivate nei campi molto più tardi, molti dei nomi femminili rinvenuti sono stati scritti solo sui turni di guardia o sugli ordini di lavoro, e non sulle carte di servizio. La ragione, spiega Browning, è che i dati personali di queste donne erano meno significativi di quelli delle SS, dato il rapido deteriorarsi della situazione militare. Invece di prendere un tempo necessario per formare adeguatamente le donne come guardie del campo, i nazisti erano più interessati a ottenere degli uomini per il fronte orientale e avere delle donne che li sostituissero velocemente.
Il processo per diventare una Aufseherin era sorprendentemente selettivo. Paradossalmente, una donna che ambiva a tale posizione non poteva avere alcun precedente penale. Erano intensamente interrogate, ed era eseguito uno screening e un pre-addestramento nel campo di Ravensbruck. Successivamente, queste donne svolgevano un periodo di istruzione, che variava per durata e portata. Dopo avere imparato i principi fondamentali della politica nazista, solo alcune donne sarebbero state chiamate per un altro colloquio, al fine di determinarne il comportamento e i valori personali.
Se una donna superava i processi di selezione, ed era scelta per il posto, riceveva una formazione completa, un salario decente, una nuova uniforme, e un posto dove vivere. La formazione per diventare una Aufseherin comportava di analizzare una serie di situazioni potenziali che sarebbero potute sorgere all’interno dei campi, come prevenire le fughe, imparare a controllare i prigionieri e conoscere le linee guida per le giuste punizioni degli internati. Dopo questo periodo di formazione di base, l’Aufseherin era assegnata ad una Oberaufseherin, che le faceva da mentore. Completata la formazione, l’Aufseherin avrebbe continuato a lavorare a Ravensbruck, o sarebbe stata assegnata ad un altro campo.

Una volta divenuta Aufseherin, i doveri quotidiani includevano l’appello dei detenuti, la selezione dei prigionieri al loro arrivo nei campi, e lo smaltimento dei corpi di coloro che era stati uccisi. Alla maggior parte delle Aufseherinnen era consegnata una certa varietà di armi, da una pistola alla frusta o un altro oggetto contundente, o anche un cane addestrato per l’attacco, il salario variava dai 30RM ai 185RM al mese. Per le guardie femminili eccezionali, c’era anche la possibilità di promozione, con una paga più alta, ma soprattutto più rispetto e potere. Anche se ci sono stati campi che ospitavano esclusivamente donne, le Aufseherinnen hanno lavorato anche in campi che detenevano uomini.
La mancanza di una traccia cartacea preesistente su molte di queste donne, in combinazione con la distruzione frenetica di tutti i file ufficiali diligentemente registrati dai funzionari nazisti in tutto il Terzo Reich, ha permesso a molte di scivolare furtivamente fuori dalla storia della Shoah nel dopoguerra. In aggiunta, quelle che ebbero la fortuna di sposarsi e cambiare il proprio cognome evitarono ogni problema con la giustizia, tuttavia, anche quando i file delle guardie dei campi femminili caddero nelle mani delle potenze alleate, furono semplicemente ignorati. Le poche arrestate furono trattate con clemenza durante il processo.
I casi di Herta Oberheuser, Irma Grese e Ilse Koch sono anomali. Queste donne servono come esempio delle atrocità commesse da molte altre. Sicuramente ce ne sono state altre che trattarono i prigionieri con estrema crudeltà, ma forse il motivo per la loro notorietà, e di conseguenza per essere state sottoposte a procedimento penale, è stato che, a differenza delle altre che lavorarono all’interno del sistema dei campi, hanno visto la loro posizione come qualcosa di più di un’opportunità per l’avventura, la libertà e una maggiore retribuzione. Queste donne hanno colto l’occasione per lanciare la loro carriera, farsi rispettare e ottenere il potere, ma soprattutto hanno voluto dimostrare di essere capaci quanto gli uomini.

Coloro che sono state rintracciate e interrogate hanno intenzionalmente ingannato gli accusatori, sostenendo, come Oberheuser, Grese, e Koch cercarono di fare, che “non riuscivano a ricordare,” e si rappresentarono vittime del patriarcato, piuttosto che “volenterose carnefici”. Hanno sottolineato la loro giovane età e le menti deboli, “costrette” a compiere i loro doveri, sia per il Reich, o per i loro mariti o amanti. È interessante notare come fossero pienamente consapevoli del vantaggio che avevano rispetto ai colleghi maschi, davanti ad un procuratore uomo che le giudicava in base alle loro risposte emotive, che esprimevano rimorso, sensibilità, empatia, umanità, o altre qualità coerenti con la “natura” degli istinti femminili; infatti, la maggior parte delle pene commutate fu minima e le donne furono solo una piccola minoranza degli imputati nei processi del dopoguerra. Mentre gli uomini, sulla base del loro genere, non erano in grado di sottrarsi al procedimento penale per i crimini che avevano commesso, e nonostante varie testimonianze sostenessero che le donne erano peggio degli uomini, i pregiudizi di genere e l’aspetto fisico delle donne riuscirono facilmente a entrare nelle menti dei giudici e delle giurie durante i procedimenti giudiziari, permettendo a migliaia di donne, corresponsabili del genocidio di milioni di “indegni della vita”, di sfuggire alla giustizia.
Dato che soltanto di recente la storiografia ha iniziato ad esaminare le complesse dinamiche del coinvolgimento femminile nel Terzo Reich, sono necessarie ricerche aggiuntive per comprendere pienamente il ruolo delle donne nella Shoah.
Herta Oberheuser, Irma Grese, Ilse Koch e Hermine Braunsteiner si contraddistinsero per l’efferatezza dei crimini compiuti, ma non furono certamente le uniche “volenterose carnefici” di Hitler.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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