LA CORSA AGLI ARMAMENTI, 1880-1914

di Max Trimurti -

A partire dagli ultimi due decenni dell’Ottocento le nazioni europee incrementano i loro arsenali. In parte per garantire gli equilibri geopolitici e strategici, in parte per prepararsi a metterli in discussione ed eventualmente sovvertirli.

 

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo l’Europa vive nell’inquietudine. Ogni Stato è convinto che una guerra, a più o meno lungo termine, sarà inevitabile e, per non essere presi alla sprovvista, dirigenti civili e militari sanno che occorre prepararsi, pur ignorando il tempo che avranno a disposizione. Se la sensazione di essere minacciati sulle frontiere è quasi generale (gli Stati neutrali non ne sono esenti) il fenomeno si manifesta diversamente a seconda dei Paesi.
La Germania crede che il mondo provi un sentimento di ostilità nei suoi riguardi. A ovest si sente minacciata dal “popolo francese, il più agitato, il più ambizioso, il più vanitoso fra i popoli europei e nella piena accezione del termine il più militarista e il più nazionalista”, così scrive il principe di Bulow nelle sue memorie.
Ferita dagli eventi del 1870, la Francia esprime in effetti il suo desiderio di rivincita. La crescita del nazionalismo si tocca con mano; i suoi campioni non denunciano solamente l’imperialismo tedesco; essi esprimono rivendicazioni nei riguardi dell’Alsazia-Lorena e si lanciano in violente accuse. Nel 1913, l’arrivo all’Eliseo del lorenese Raymond Poincaré non contribuisce a rassicurare Berlino, nel momento in cui gli effettivi militari risultano eccessivi in Francia per effetto del voto della legge dei tre anni di servizio.

Guglielmo II e Francesco Giuseppe

Guglielmo II e Francesco Giuseppe

Dopo la firma della Convenzione franco-russa del 1892 e quindi dell’Intesa Cordiale del 1904 (che sfocerà nel 1907 nella Triplice Intesa, grazie a un tentativo di avvicinamento anglo-russo), la Germania ha la convinzione di essere “accerchiata”. Per questo motivo lo stato maggiore tedesco spinge per una guerra preventiva contro la Francia, designata come “avversario principale”. Ma il piano di guerra tedesco mira a vincere rapidamente a ovest per poter poi disporre di mezzi sufficienti per difendersi dai Russi. Ad est, giustamente ci si preoccupa per la sicurezza della Prussia orientale, tanto più che la modernizzazione in corso dell’esercito zarista la rende sempre più in pericolo. Berlino sa che i prestiti occidentali ricevuti dai Russi hanno facilitato lo sviluppo delle ferrovie strategiche che porteranno l’armata del granduca Nicola Romanov a piè d’opera, sin dai primi giorni del conflitto.
La Germania si sente “circondata da popoli slavi pieni di avversione” (così Bulow) nei suoi riguardi. Infine, nel contesto della Triplice Alleanza, il governo imperiale è cosciente che occorrerà rispondere alle eventuali richieste d’aiuto dei suoi alleati italiani o austro-ungarici.
Le guerre balcaniche del 1912-13 hanno evidenziato l’instabilità dell’Europa centrale e balcanica; esse hanno accresciuto il timore di Francesco Giuseppe d’Asburgo di vedere il suo impero multietnico sfaldarsi sotto la spinta delle nazionalità. Dall’inizio del secolo, il suo stato maggiore desidera impegnare l’esercito in una vasta riforma di modernizzazione, ma i bilanci conseguenti non saranno mai votati fino alla vigilia della guerra. Esistono dispute territoriali con l’Italia, ma l’affare Redl (Alfred Redl, ufficiale del controspionaggio austro-ungarico, fu accusato nel 1912 di aver venduto alla Russia i piani d’attacco austriaci; scoperto, venne costretto a suicidarsi) ha evidenziato che il nemico principale degli Asburgo si trova a est.

L’autocrazia russa, sotto i panni del panslavismo, mostra la sua determinazione a sostenere le correnti nazionaliste desiderose di emanciparsi dalla tutela asburgica (i Serbi in particolare). Non è comunque da escludere che la corte di San Pietroburgo cerchi di accrescere la sua influenza nell’area balcanica. Da parte sua, il capo di stato maggiore austriaco ipotizza una guerra contro la Serbia.
Dopo la sconfitta del 1905 contro il Giappone la Russia si è impegnata in una riorganizzazione delle sue forze che gli consentirà di affrontare l’impero austro-ungarico, se necessario. Ma i crediti scarseggiano, l’industria degli armamenti è balbuziente e la corruzione decisamente patente. Lo zar fa ugualmente sapere che attribuisce una grande importanza alla parola data alla Francia nel sostenerla contro la Germania. Da parte sua la Francia, già obnubilata dalla sua inferiorità demografica rispetto alla sua vicina, si sente pervasa da un sentimento di ineluttabilità di fronte agli eventi: la guerra viene spesso evocata, a partire dalle crisi marocchine del 1905 e del 1911.
I discorsi imprudenti di Guglielmo II d’Hohenzollern e le dichiarazione dei pangermanisti non contribuiscono a rassicurare i governanti europei, convinti che il Kaiser consideri la guerra come una possibile continuazione della sua politica estera. Tanto più che il servizio informazioni francese ha recuperato una versione del piano Schlieffen (1906) e teme un attacco improvviso.
Del resto, la Francia deve poter assolvere ai suoi impegni nei confronti della Russia se quest’ultima dovesse battersi contro l’Austria-Ungheria e il suo alleato tedesco.
In questa situazione tesa, non sorprende che le grandi potenze abbiano sentito la necessità di migliorare o di accrescere i loro rispettivi strumenti militari. Ma in questa situazione si può parlare di “corsa agli armamenti”?

Si citano spesso le cifre di produzione del carbone o dell’acciaio come prova dell’esistenza di una corsa agli armamenti in Europa, dimenticando che il carbone e l’acciaio non servono solo a fabbricare cannoni, specie nell’era delle grandi costruzioni metalliche di Eiffel o dello sviluppo delle ferrovie (queste ultime non soddisfano unicamente esigenze militari). Certamente, prima del 1914 si viveva in un regime di pace armata e nessuno può negare che le grandi potenze abbiano scelto di equipaggiarsi di armamenti nuovi o più perfezionati. Ma questo anche perché occorreva seguire il progresso tecnico e rimpiazzare il materiale che stava diventando rapidamente obsoleto. Inoltre, le potenze hanno autorizzato queste spese senza necessariamente voler allineare “più” materiale dei loro potenziali avversari. I loro rispettivi parlamenti – coscienti dei doveri in materia di sicurezza, ma anche preoccupati del rispetto degli equilibri di bilancio – vi si sarebbero opposti. Tra il 1900 e il 1910, la Francia destina alle spese militari in media il 50% del paritetico bilancio tedesco, mentre i crediti richiesti dal ministero della Guerra sono sistematicamente rivisti e ridotti dal Parlamento.
In tale quadro, sembrerebbe più opportuno parlare, prima del 1914, di “ricerca dell’equilibrio fra le potenze”, piuttosto che di corsa agli armamenti. In certi casi, questo equilibrio è stato raggiunto solamente allacciando delle alleanze militari che, per poter essere onorate, avevano bisogno di procedimenti tecnici (mobilitazione parziale e quindi generale, schieramento delle truppe di copertura…) che potevano compromettere la pace.
Altro argomento: tutti gli stati maggiori erano convinti che la guerra futura sarebbe stata corta e tutta basata sull’offensiva. Per questo motivo non vedevano la necessità di dotarsi di equipaggiamenti in esubero, né di materiale pesante (suscettibile di limitare la rapidità di movimento delle grandi unità) e neanche di una provvista soprabbondante di munizioni.

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Vignetta del Punch dedicata all’Entente cordiale del 1904 tra Regno Unito e Francia

L’esempio dell’artiglieria da campagna francese è rivelatore. Il 13 luglio 1914 Charles Humbert, militare e deputato, si lamenta così davanti al Senato: “L’inferiorità assolutamente flagrante, estremamente pericolosa della nostra strumentazione militare… Al di fuori dei nostri cannoni da 75… , noi siamo per gli altri materiali in uno stato di inferiorità manifesta… Che cosa abbiamo da opporre agli obici tedeschi ed alla loro formidabile artiglieria pesante… moderna, a tiro rapido, di grande potenza e dotata degli ultimi perfezionamenti? Quasi nulla” . Adolphe Messimy, ministro della Guerra, che aveva vanamente battagliato dal 1911 con la direzione di Artiglieria e il Ministero delle Finanze per l’adozione di un cannone pesante, fornisce le cifre per giustificare la politica degli equipaggiamenti francese: “Dal lato tedesco esistono – ed è la differenza fra la loro situazione e la nostra – 2160 cannoni da 77, vale a dire 240 cannoni meno di noi, ma occorre aggiungere 720 obici leggeri da 105, 220 obici pesanti da 150, 120 mortai da 210 per un totale di 3320 pezzi, vale a dire 300 pezzi in più dell’esercito francese, dei quali, la maggior parte, di grosso calibro”.
Questo discorso provoca un moto di protesta fra i deputati. Ricorderà il generale Ferdiannd Foch nelle sue Memorie: “Se il discorso del senatore Charles Humbert… aveva dato il segnale d’allarme, esso giungeva troppo tardi per poter essere seguito da un miglioramento immediato e d’altronde, un tale provvedimento poteva diventare per il nemico un prezioso avvertimento”. Poincaré annota: “È proprio questo il momento di dare tanta pubblicità alle insufficienze della nostra organizzazione militare? E non avremmo fatto meglio a votare prima le leggi proposte? Ora Guglielmo II può ripetere, con una certa sicurezza, quello che ha già detto all’Austria per incoraggiarla (nella sua politica di fermezza di fronte alla Serbia dopo Sarajevo), che né la Francia, né la Russia sono attualmente in condizioni di fare la guerra… Le rivelazioni fatte alla tribuna del Senato sullo stato dell’Esercito potrebbero avere delle pericolose ripercussioni”.
Alcuni storici ritengono anche che questo possa essere stato il motivo che ha poi spinto i Tedeschi a effettuare l’offensiva contro la Francia, da molto tempo già consolidata nella loro mente. In ogni caso, il 15 luglio 1914 Messimy decide di mettere a disposizione delle forze armate – al più presto nel corso del 1915 e al più tardi nel 1918 – l’artiglieria indispensabile, senza immaginare che il paese sarebbe entrato in guerra 15 giorni dopo.

Probabilmente sarebbe più logico rilevare l’esistenza di una corsa agli effettivi piuttosto che parlare di semplice “corsa agli armamenti”, ben sapendo che si fabbrica o si acquista per equipaggiare i soldati che si hanno sotto le armi e quelli che lo stato di guerra porterà sotto le bandiere. Orbene, quella era l’epoca dei grandi battaglioni. Nel 1911, la Germania aveva votato una legge militare che aumentava gli effettivi di 7 mila ufficiali, 10 mila sottufficiali e 52 mila soldati in due anni. I crediti per l’acquisto di materiali erano passati da 100 milioni del 1904 ai 430 milioni di marchi del 1913 e 1914. Una legge del luglio 1913 incrementava ancora gli effettivi a 876 mila uomini per il 1915. In ogni caso, il Reich del 1914 allineava 870 mila uomini in tempo di pace e poteva mobilitare 3 milioni e 746 mila soldati.
In Francia, la legge dei tre anni dell’agosto 1913 forniva più effettivi, immediatamente disponibili in caso di attacco improvviso (25 classi mobilitate). Il 2 agosto 1914, l’esercito francese passò dagli 817 mila uomini ai 3 milioni e 580 mila. Sulla carta – poiché non si possono averli a disposizione tutti contemporaneamente – la Russia disponeva di 4 milioni e 400 mila soldati. L’Austria-Ungheria di 3 milioni. L’Inghilterra che disponeva di 250 mila professionisti, nell’agosto 1914 vide i suoi effettivi salire a 780 mila.
Come spiegare questa inflazione generalizzata di effettivi, nel momento in cui ci si aspettava una guerra breve e soprattutto non si pensava di doverla fare “a colpi di uomini”, come invece avverrà di fatto nel 1915-1918? La risposta viene fornita dai piani di guerra (Schlieffen-Moltke per la Germania, n. 17 per la Francia), che esigevano molti soldati in servizio e della riserva. Il fatto di poter contare su molte truppe spinse forse i governanti a scatenare la guerra? E la convinzione di ognuno dei contendenti di essere una potenza militare, giocò un ruolo nella crisi diplomatica dell’estate del 1914? In una Europa nazionalista e militarizzata, ciò appare più che probabile: Vienna pensava di fare un solo boccone dell’esercito della Serbia, Berlino di quello della Francia e della Gran Bretagna, mentre Parigi scommetteva sulla riserva d’uomini costituita dalla Russia per compensare la sua inferiorità numerica.

Per saperne di più

Ennio Di Nolfo, Dagli imperi militari agli imperi tecnologici, La politica internazionale nel XX secolo, Laterza
James Joll, Le origini della prima guerra mondiale, Roma-Bari, Laterza, 1985
Wolfgang J. Mommsen, L’Età dell’imperialismo in Europa 1885-1918, Milano, Feltrinelli, 1969
Mario Silvestri, La decadenza dell’Europa occidentale, Vol. I: 1890-1914 – Anni di trionfo, Torino, Einaudi, 1977