LA CAPPELLA DEL LANINO, UNO SCRIGNO NEL DUOMO DI NOVARA

di Sandro Lomaglio -

Gli affreschi del grande pittore piemontese raffigurano sei episodi della vita di Maria e furono realizzati tra il 1546 e il 1553 nel vecchio duomo di Novara. Un incendio nel 1642, l’umidità diffusa e i lavori di ristrutturazione di Alessandro Antonelli nel XIX secolo rischiarono di comprometterne definitivamente l’integrità. Oggi si possono ammirare in una piccola cappella dove furono trasportati nel 1855.

 

Nel Duomo di Novara c’è uno scrigno, dove sono custoditi i meravigliosi affreschi eseguiti da Bernardino Lanino per decorare la grande cappella di S. Giuseppe, che l’omonima Confraternita possedeva nella cattedrale. Dall’adiacente corridoio, che dal presbitero porta nella sacrestia inferiore si accede ad una piccola cappella senza finestre, alle cui pareti sono riposti gli affreschi del Lanino, colà trasportati dopo il 1855, per dar modo all’Antonelli di iniziare i lavori di ristrutturazione del Duomo della città.
La Confraternita di S. Giuseppe fu istituita nel 1501 e nel 1504 furono approvati dal pontefice Giulio II gli statuti con la facoltà di concedere indulgenze. Patrono della cappella era in realtà S. Bovo, ma fu posta sotto il titolo di S. Giuseppe, defensor civitatis ed elevato a compatrono di Novara, perché la popolazione ritenne che per sua intercessione la città fosse stata liberata dalla peste, che nel 1500 flagellò il Piemonte, specialmente nella zona orientale. Della Confraternita facevano parte le famiglie più influenti della città, nobili e ricche per censo o appartenenti al patriziato decurionale, ma venivano accolti anche sacerdoti, membri del clero canonicale, rappresentanti delle arti, artigiani e bottegai, e anche il popolo minuto. Poteva disporre di un rilevante patrimonio, alimentato dai lasciti testamentari degli aderenti, che consentì di dotare la cappella di suppellettili, paramenti e arredi stupendi, quali elaborati candelabri e due statue d’argento, della Madonna e di S. Giuseppe e di poter commissionare a Tiziano, già pittore imperiale, una pala d’altare, andata distrutta per un incendio che scoppiò nel Duomo nel 1642. La Congregazione provvide subito a farla sostituire, affidando i lavori al pittore Carlo Francesco Nuvolone, che consegnò l’opera l’anno successivo.

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Annunciazione e Visita di Maria a Elisabetta – www.facebook.com/raccontiamonovara

La costruzione della cappella fu decisa per sciogliere il voto che la popolazione aveva fatto al Santo se avesse liberato la città dalla peste.
Per decorarla, la Confraternita stipulò nel 1546 un contratto con Bernardino Lanino, che terminò l’opera nel 1553, come risulta dal Libro Mastro della stessa Confraternita, dove risultano registrati i pagamenti a favore dell’artista. Durarono piuttosto a lungo, perché per la morte di Gaudenzio Ferrari, avvenuta nel dicembre del 1546, molte sue commesse furono affidate al Lanino, che si trovò sovraccarico di lavoro.
Gli affreschi raffigurano alcuni episodi della vita della Vergine, detto Ciclo di Maria. Purtroppo, nella seconda metà del secolo XIX furono affidati all’architetto novarese Alessandro Antonelli imponenti lavori per la ristrutturazione del vecchio Duomo, che fu quasi completamento abbattuto e, di conseguenza, fu demolita anche la cappella di S. Giuseppe. L’Antonelli, sebbene ancora giovane, era ormai un artista affermato e si era aggiudicato il progetto del solenne e grandioso altare nella Cattedrale, impreziosito da sculture di elevata qualità, che fu consacrato nel 1869 dal vescovo Giovanni Filippo Gentile.
Gli affreschi del Lanino, già notevolmente danneggiati da un incendio nel 1642, furono almeno in parte salvati, perché staccati dal muro e custoditi in un altro ambiente.
L’incuria del tempo e la noncuranza degli uomini procurarono ad essi ulteriori danni. Fece il resto l’umidità, che corrose i colori, specialmente nella parte inferiore, quella che poggiava direttamente sul pavimento. Durante gli accurati e pazienti lavori di restauro fu possibile recuperare soltanto la parte superiore di alcuni dipinti, mentre di altri sono leggibili solo le teste dei personaggi raffigurati, essendo la parte inferiore assolutamente indecifrabile.
Gli affreschi che sono esposti nell’attuale cappella, detta comunemente del Lanino, sono: Sposalizio della Vergine, Annunciazione, Visita di Maria a Santa Elisabetta, Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto, Strage degli innocenti.
Nell’esecuzione dell’opera il Lanino seguì fedelmente l’iconografia del Maestro Gaudenzio Ferrari, senza lasciarsi attrarre dal manierismo, la nuova tendenza artistico-letteraria sviluppatasi in Italia nel XVI secolo. Il Lanino se ne stette lontano, mantenendosi su toni pacati e sfumati.

Nell’episodio dello Sposalizio della Vergine sono raffigurati alcuni personaggi, presenti allea cerimonia delle nozze con Giuseppe, di cui sono visibili soltanto le teste, mentre sono quasi del tutto scomparsi i colori nella parte inferiore del dipinto. Al centro della scena si notano il celebrante con la mitria, alla sua destra Giuseppe e alla sinistra Maria, della quale i colori risultano molto corrosi dall’umidità, per cui non è stato possibile interpretarli. Tra gli invitati è ben visibile un personaggio con la tunica nera, raffigurante il Lanino, che è stato possibile identificare perché riproduce la stessa rappresentazione che egli dipinse nella cappella di Santa Caterina nella chiesa di S. Nazzaro a Milano. Sullo sfondo sono disegnate molto bene delle semplici ma eleganti architetture classiche, che costituiscono una caratteristica dell’artista. La parte inferiore dell’affresco è completamente scomparsa.
Nell’altro dipinto, Annunciazione, è raffigurato l’Arcangelo Gabriele che si prostra davanti alla Vergine con le ali aperte e la mano destra alzata verso il cielo, per dare ad intendere che è stato mandato da Dio. Intreccia un fitto colloquio con Maria, che con una mano sul petto si mostra meravigliata per il messaggero celeste “Proprio io sono quella che il Signore ha scelto?” Anche in questo dipinto s’innalza dietro le figure una elegante lesena e si nota una accurata decorazione. Maria siede sotto un ampio baldacchino, vestita con sobri indumenti a pieghe larghe secondo la tradizione pittorica lombarda. Mostra una accondiscendente tranquillità, anche se appare turbata da una accorata e intima tristezza, forse perché presaga delle sofferenze che avrebbe dovuto affrontare il figlio durante la vita terrena.
L’altro affresco, Visita di Maria a Santa Elisabetta, raffigura due donne diverse per età e ambiente. Compaiono anche altre donne, commosse e attonite per la stupefacente notizie portata dall’Arcangelo a Maria, che, per inciso, ha il volto simile a quello della figura dell’Annunciazione. Anche qui Maria mostra un atteggiamento umile e mite. In disparte c’è Zaccaria e, alle spalle della Vergine, si nota, con uno sgargiante mantello giallo, Giuseppe, che appare frastornato e meditabondo per quanto gli sta per capitare. Sul fondo si apre un suggestivo panorama con grandi alberi e in lontananza il profilo di un monte, che impedisce una visione più vasta. Le tonalità del dipinto sono tenui, ma risultano molto deteriorate.

Di seguito il Lanino propone l’Adorazione dei Magi, dove le figure occupano le stessa disposizione che Gaudenzio aveva prodotto nella chiesa di S. Cristoforo a Vercelli. I personaggi del Lanino sembrano però disinteressarsi della nascita del Bambino, che sta sulla paglia davanti ad essi, perché parlano tra loro e la scena appare alquanto priva di organicità.
Nell’altro affresco è rappresentata la Fuga in Egitto, caratterizzata da una luminosità che proviene dal fondo, dove si erge un turrito castello, ma la luce illumina soltanto gli angeli che volano nella parte alta del dipinto. La Madonna, che sta su un asinello e tiene in braccio il Bambino, è preceduta da uno stuolo di angeli. Dietro si notano delle persone irrigidite e statiche, quasi disinteressate di fronte alle difficoltà che sta attraversando la Sacra Famiglia. Tutte mostrano una pacata mitezza, come era nel carattere dell’artista.
L’affresco forse più interessante è quello che riproduce l’episodio della Strage degli innocenti. Sul fondo, attraverso un grande arco, si osserva un lussureggiante panorama mentre in primo piano è rappresentato un groviglio inestricabile e tormentato di corpi con i volti delle madri disperate, alle quali si vogliono strappare dalle braccia i propri figli. Sullo sfondo sono disegnate belle e ordinate architetture al di sopra delle quali corre una balaustra, da cui si sporgono numerose figure. Nel complesso la violenta scena è tutta un movimento, dove alla disperazione e alle grida delle madri corrisponde la ferocia dei soldati ben decisi ad eseguire gli ordini ricevuti. A sinistra si nota il volto doloroso di una madre, alla quale un soldato ha strappato il bambino dalle braccia, mentre in basso a destra, una madre copre col suo corpo il figlio che un soldato, col pugnale tra i denti vuole portarle via. In alto il cielo è coperto e oscure nubi minacciano un improvviso temporale, forse per significare il castigo di Dio per l’orrendo fatto di sangue innocente.
Questi dipinti dovevano forse essere incorniciati in riquadri, come lo stesso Lanino aveva usato a Legnano. Ognuno di essi era a sé stante, ma nell’insieme non interrompevano la continuità del racconto.

Il capolavoro del Lanino è grandioso e s’impone all’ammirazione del visitatore per la tonalità dei colori e la regolarità delle architetture. L’artista fu uno dei più eccellenti pittori del XVI secolo. Operò a Novara, a Vercelli, a Milano, a Legnano e fu molto attivo specialmente dopo la morte del maestro, di cui ereditò molte commissioni.
Dopo la conclusione dell’accordo con la Confraternita di S. Giuseppe, il Lanino si trasferì a Novara, dove esercitò una rilevante influenza sui pittori locali, essendo ormai riconosciuto e apprezzato dai critici come maestro autonomo.
Lo storico novarese Carlo Morbio affermò, quando furono terminati i lavori e gli affreschi furono scoperti, che il Lanino era non solo «un felice emulatore dei più valenti artisti che lo avevano preceduto, ma si era spinto sino a vincere se stesso». Anche il dotto milanese Bartolomeo Taegio, che si trovava confinato a Novara per una condanna di omicidio, soleva dire che ogni volta che ammirava i dipinti del Lanino si commuoveva, perché «l’opera era piena di amore e spirito di religione». Francesco Antonio Bianchini definì gli affreschi della cappella del Duomo l’opera più importante di Bernardino Lanino per la forza e la tonalità dei colori e l’acutezza del disegno.
Il pittore ebbe altri rapporti con Novara perché dipinse la pala dell’altare di S. Benedetto voluta dai governanti della città. L’opera rimanda alla riproduzione delle figure riprodotte sugli stendardi delle confraternite nell’intento di trasmettere ai fedeli simboli che avessero un significato religioso, come un catechismo visivo. Nella pala si notano S. Gaudenzio inginocchiato ai piedi della Croce, che prega Cristo affinché protegga la città, la Maddalena in atteggiamento penitenziale e S. Benedetto per ricordare il pontefice Benedetto XII, che rappresentava la chiesa romana universale, e perché tolse l’interdetto lanciato contro la città da Giovanni XXII, avendo parteggiato per l’antipapa Nicolò V. Tra le nubi che avvolgono Cristo sulla Croce filtra una luce per annunziare che la tempesta della riforma è passata e sta tornando il sereno.
Questo simbolismo va inquadrato nello spirito che seguì la fine del Concilio di Trento, quando la chiesa cominciò ad attuare i canoni morali e disciplinari decisi nell’Assemblea ecumenica.