LA BATTAGLIA DI LEGNANO E LE SUE MEMORIE

di Massimo Iacopi -

“Dalle Alpi alla Sicilia, ovunque è Legnano”: queste parole dell’inno nazionale scritto da Goffredo Mameli danno la misura dell’importanza della battaglia del 1176 nella nostra storia e nell’immaginario degli Italiani.

Gli attori del Risorgimento ne hanno fatto un evento fondatore dell’unità italiana sette secoli prima della sua effettiva realizzazione, senza, peraltro, preoccuparsi del contesto del XII secolo: In effetti, ben lungi dall’essere lo scontro di un popolo contro l’invasore germanico, la battaglia segna, prima di tutto, una tappa essenziale nello sviluppo dei comuni italiani contro il potere egemonico imperiale. Federico I di Hohenstaufen (1122-1190), passato alla storia con il soprannome di Barbarossa, sale al trono nel 1152. Dopo aver dedicato i primi anni del suo regno a consolidare il suo potere in Germania contro i Guelfi, partigiani della Casata di Baviera, successivamente si rivolge verso la penisola italiana, in preda, a quel tempo, a forti agitazioni, per effetto della crescita di potenza dei comuni e, soprattutto, con la crisi romana. Attraversate le Alpi, l’imperatore viene accolto con benevolenza dalla maggior parte delle città, alla cui testa si trovavano Lodi e Pavia, ben decise a chiedergli di mettere fine alle ambizioni egemoniche di Milano sulla Lombardia. Dopo aver presieduto la Dieta italiana riunita a Roncaglia, nel novembre 1154, prima occasione del sovrano germanico per consolidare la sua autorità in questa parte del suo impero, egli decide di colpire, come avvertimento, una città alleata di Milano, Tortona. Dopo due mesi di assedio, la città cade nelle mani dei Tedeschi, venendo rasa al suolo come monito ed esempio per chi osasse resistere al suo legittimo sovrano.

Conclusa questa dimostrazione di forza, il Barbarossa può, quindi, orientarsi su Roma, dove era stata proclamata la Repubblica dieci anni prima, sotto l’influenza del predicatore Arnaldo da Brescia (1090-1155), feroce avversario del potere temporale del papa. Il nuovo sovrano pontefice Adriano IV (1100-1159), recentemente eletto, individua nel Barbarossa un potenziale alleato per eliminare il suo avversario, il Senato romano, ma quest’ultimo procede esattamente con lo stesso calcolo. I due campi propongono la Corona imperiale al Barbarossa, in cambio del riconoscimento della loro legittimità. Federico Barbarossa, rifiutando di ricevere quanto dovuto da parte di un regime che trae ufficialmente il suo potere dal popolo (in realtà una parte della nobiltà), sceglie di sostenere il papa. Nelle primavera del 1155, egli effettua il suo ingresso a Roma, alla testa di un piccolo contingente di armati, fa scacciare Arnaldo da Brescia (giustiziato poco dopo) e si fa incoronare da Adriano IV nella basilica di San Pietro il 18 giugno 1155. Il successo si dimostra, però, di breve durata, in quanto le sommosse popolari e l’epidemia di malaria obbligano l’imperatore a lasciare la città per motivi di sicurezza generale.
Approfittando del rientro in Germania dell’imperatore, i Milanesi ricostruiscono le mura di Tortona ed allacciano alleanza con i comuni di Brescia, Cremona e Piacenza, attaccando poi la città filo imperiale di Lodi. Il Barbarossa non potendo sopportare questo nuovo attentato alla sua autorità, ripassa le Alpi nel 1158, per sottomettere le città considerate ribelli, a cominciare da Milano. La città meneghina, temendo di subire la stessa sorte di Tortona, decide di capitolare all’avvicinarsi del nemico ed il Barbarossa, forte di questo successo, convoca nuovamente una Dieta a Roncaglia, per riaffermare il suo potere nella penisola. Di fronte al persistere di resistenze, l’imperatore decide di dare un nuovo esempio, obbligando le città di Piacenza e di Cremona a distruggere le loro mura. A fronte del rifiuto posto dalla città di Cremona, l’imperatore la mette sotto assedio, la conquista e naturalmente la rade al suolo.

La battaglia di Legnano, di Amos Cassoli

La battaglia di Legnano, di Amos Cassoli

Se le relazioni con le città della Valle Padana avevano iniziato una rapida degradazione, anche quelle con il papa non risultano migliori e la morte di Adriano IV non contribuisce a migliorare la situazione. I cardinali, scegliendo come successore Alessandro III (1100-1181), mandano un segnale evidente della loro volontà di mettere alla guida del Papato un uomo ferocemente contrario al potere imperiale sulla penisola italiana. Agli occhi del Barbarossa, questa elezione suona come una dichiarazione di guerra e conseguentemente rifiuta di riconoscere la legittimità del nuovo sovrano pontefice e ne fa eleggere un altro, durante il Concilio di Pavia, nella persona di Vittore IV (1095-1164), dando così inizio ad uno scisma nella chiesa cattolica. Allo stesso tempo, al fine di isolare Alessandro III egli si avvicina alla Repubblica Romana e cerca di far riconoscere, senza successo, il papa Vittore dai re di Francia e d’Inghilterra. Inevitabilmente, la sua politica porta i suoi oppositori ad avvicinarsi, proprio come avviene fra Milano ed il papa Alessandro III.
Nel 1160 il Barbarossa si dirige direttamente contro Milano, deciso a punirla in modo esemplare. Malgrado la sua accanita resistenza, durata più di un anno, la città viene costretta a capitolare nel 1162, andando incontro alla stessa sorte di Tortona e Cremona. Gli abitanti della città troveranno rifugio nelle diverse città della Lombardia, con il divieto formale di costruire il benché minimo bastione per proteggersi. Simbolicamente, essi saranno costretti a distruggere il loro Carroccio, carro pavesato con i colori della città e sormontato da una croce, dal quale il comandante dell’esercito milanese, impartiva i suoi ordini sul campo di battaglia. A questo punto l’Italia sembrava ormai sottomessa.

Tuttavia, a partire dal ritorno del Barbarossa in Germania, i rappresentanti delle città di Mantova, Cremona, Bergamo e Brescia si incontrano nel monastero di Pontida, per creare una lega contro l’imperatore. Congiuntamente, con l’aiuto dei Normanni di Sicilia, Alessandro III scaccia l’antipapa Pasquale III (1110-68), successore di Vittore IV, quindi apre negoziati con il Senato Romano. I Barbarossa, per la terza volta, viene costretto ad intervenire nella penisola nell’anno 1167. Alla testa del suo esercito, egli marcia direttamente verso il sud, batte i suoi avversari a Tusculum, si impadronisce di Ancona e quindi fa il suo ingresso a Roma per ristabilire Pasquale III sul trono di San Pietro. La vittoria sembrava totale, quando una epidemia arriva a fare devastazioni fra le sue truppe, obbligandolo a lasciare velocemente l’Italia.
Incoraggiati da Alessandro III, i nemici del Barbarossa giudicano arrivato il momento di unire le loro forze nell’ambito della Lega Lombarda, una alleanza che riuniva la maggior parte della grandi città del nord. Anche Milano e Lodi, i vecchi nemici di ieri, riusciranno a far tacere i loro rancori per entrare in questa coalizione. Come ulteriore sfida all’imperatore, i coalizzati decidono di costruire una fortezza alle porte del Piemonte, terra fedele al sovrano germanico, attribuendogli il nome del papa: Alessandria.
Dopo aver cercato invano di regolare questa nuova crisi, negoziando con il papa, il Barbarossa riunisce il suo esercito nel 1174, supera le Alpi dal Moncenisio e mette l’assedio ad Alessandria, ben deciso a riservarle una sorte simile a quella di Milano dodici anni prima. L’accanita resistenza del marchese del Monferrato ed i rigori dell’inverno costringeranno ad abbandonare il suo progetto, dal momento che le forze nemiche cominciano ad avvicinarsi. Cosciente della sua inferiorità, Il Barbarossa toglie l’assedio e si rinchiude nella città di Pavia, nell’attesa di giorni migliori.

Dalla Germania arrivano in successione i contingenti di rinforzo, che gli consentono di ricostituire gradualmente le forze imperiali. Nel maggio 1176, l’imperatore riunisce il suo esercito a Como, da dove si dirige verso Milano, costeggiando l’Olona sulla riva destra. Il 29 maggio, la sua avanguardia si scontra con quella delle truppe della lega nei pressi del villaggio di Borsano. Prontamente avvisato, il Barbarossa si porta in soccorso dei suoi uomini, obbligando l’avversario a ripiegare su Legnano, dove si trova il grosso delle forze della Lega. Già dal momento della notizia dei primi scontri, i coalizzati decidono di schierarsi in battaglia intorno al ricostruito Carroccio di Milano e di attendere l’arrivo del resto delle forze. Quando i Tedeschi decidono di lanciare l’attacco, essi si troveranno davanti ad un muro di picche, di lance e di scudi, contro il quale risulterà vano ogni assalto. Verso le 15.00 l’arrivo degli ultimi contingenti della Lega decide le sorti della battaglia. Una carica della cavalleria lombarda riesce ad avere il sopravvento sulle ultime forze dei Tedeschi, che fuggono verso Pavia, portando con sé l’imperatore ferito. Lo stendardo, la croce e la lancia del Barbarossa, simboli della vittoria totale cadranno nelle mani dei vincitori, durante il saccheggio del campo imperiale.
Rapidamente, i vinti si rivolgono al papa per aprire i negoziati e nella speranza di provocare disunione fra gli alleati. I plenipotenziari si ritrovano a Venezia, dove firmeranno una tregua di 6 anni, in attesa della redazione del trattato di pace. Quest’ultimo sarà finalmente siglato a Constanza, il 25 giugno 1183. L’imperatore riconosce il successore di Alessandro III come unico sovrano pontefice ed abbandona ai comuni della lega i suoi diritti regali, conservando solo un’autorità simbolica sui comuni. Il campo di battaglia di Legnano si trova ad una trentina di chilometri a nord ovest di Milano lungo un asse principale di movimento che collegava la capitale lombarda al Lago Maggiore ed alla Svizzera ed il suo sito oggi risulta difficilmente identificabile a causa dell’urbanizzazione. Perduto in queste immense periferie esso non consente ricostruire il campo e le fasi della battaglia facendo astrazione delle costruzioni esistenti e conseguentemente è assai problematico comprendere lo sviluppo dei combattimenti.

Ma al di là dello scontro vero e proprio vale forse la pena spendere due parole sul monumento commemorativo della vittoria della Lega lombarda, da alcuni denominato il “Legnanino”, che, tra l’altro, ha materializzato un immaginario collettivo, ha dato il nome ad una Divisione del Corpo Italiano di Liberazione nella Seconda Guerra Mondiale e che in tempi recenti, con la sua carica simbolica, ha fornito lo spunto a un movimento e a un partito che si è imposto nell’attuale panorama politico italiano. Il monumento, a dominio di una grande rotatoria in Corso Italia e a due passi dalla stazione di Legnano, deve la sua esistenza, nientemeno che al generale Giuseppe Garibaldi: il 16 giugno 1862 l’Eroe dei Due mondi si reca a Legnano, su invito del sindaco e si rivolge alla popolazione dal balcone di una casa (oggi scomparsa) posta sul Corso Garibaldi in questi termini: “Ad un popolo generoso come Voi, io ho ben poco da dire. Il giorno in cui l’Italia avrà bisogno di noi noi ci saremo tutti, non mancherà nessuno, qui vi si troverà tutta l’Italia ! Figli della vittoria di Legnano, laddove i nostri antenati sono arrivati a battere gli Austriaci, noi non dovremo essere meno prodighi di loro ! Gli Italiani comunemente non mancano di forza, l’Italia ha provato al mondo intero quello che poteva fare tutta sola, noi solo manchiamo d’intesa. L’altro rimprovero è la poca cura che abbiamo della memoria dei grandi avvenimenti patriottici. Legnano manca di un monumento per constatare il valore dei nostri antenati … un monumento dovrebbe essere eretto a Legnano, ma un monumento più grande di tutti, perché deve ricordare uno dei fatti più gloriosi della nostra storia, al quale ha partecipato tutta l’Italia”.

In un periodo marcato da un forte nazionalismo, Garibaldi non si preoccupa in alcun modo della verità storica, quello che conta è la mobilitazione contro in nemico storico. La sua idea, nondimeno, viene unanimemente accettata e contestualmente viene aperta una sottoscrizione nazionale per l’erezione di un monumento, la cui realizzazione viene affidata ad uno scultore milanese, Egidio Pozzi, per la statua e all’architetto Achille Sfrontini per il piedistallo. Appoggiato su una base esagonale, decorato con gli stemmi della città della Lega lombarda, il basamento risultava decorato con quattro bassorilievi che rappresentavano scene della battaglia, opere che, per mancanza di denaro, verranno disegnati su carta e non scolpiti. La statua, rappresentava un guerriero lombardo che tiene con una mano la sua spada e con l’altra brandisce un vessillo. Anche in questo caso, sempre per mancanza di fondi, lo scultore Pozzi viene costretto a presentare una statua in gesso, dipinta in colore bronzo. Il 29 maggio 1876, il monumento é inaugurato in pompa magna ma, tenuto conto della materiale utilizzato per realizzarlo, nessuno si é fatto illusione sulla sua resistenza nel tempo. Di fatto, il vento e la pioggia avranno ragione dell’opera che, nel 1896, risulta totalmente distrutta. Sotto questo aspetto, il Pozzi avrà maggiore fortuna con la commessa per la realizzazione di un altro monumento a ricordo della Campagna del 1859: la Torre Ossario di Montebello, ancora oggi visibile.

Il monumento dello scultore Enrico Butti

Il monumento dello scultore Enrico Butti

La municipalità di Legnano, vedendo scomparire a poco a poco, la statua del Pozzi, decide di aprire una nuova sottoscrizione nel 1887 e di affidare allo scultore Enrico Butti (1847-1932), il compito di concepire un nuovo monumento. Quest’ultimo riprende l’idea della rappresentazione di un soldato lombardo trionfante, che nello specifico doveva essere l’eroe della battaglia, Alberto da Giussano. A dare ascolto a Galvano Fiamma (1280-1344), un monaco domenicano al servizio di Giovanni Visconti (1290-1354), nel XIV secolo, il Giussano si sarebbe illustrato – alla testa della “compagnia della morte”, formazione di 900 cavalieri – caricando le truppe del Barbarossa alla fine della giornata, una manovra decisiva ai fini delle sorti della battaglia. Alcune fonti, contemporanee agli eventi, invece, non ricordano neanche il suo nome del personaggio, mentre gli storici risultano quasi tutti d’accordo nel affermare che, con tutta probabilità, possa trattarsi di un eroe leggendario, destinato a simbolizzare il coraggio ed il valore dei Milanesi.
Ad eccezione del soggetto della statua, lo scultore prende in contropiede i suoi predecessori. Se questi ultimi avevano privilegiato l’altezza del monumento, disegnando un piedistallo relativamente stretto a più piani, il Butti opta, invece, per una base larga e meno elevata. L’opera si distingue, pertanto, dalle sculture monumentali tradizionali precedenti, perché occupa una gran parte della piazza dove si trova. L’impressione di slancio non è stata comunque negletta, grazie alla slanciata statua del Giussano, che brandisce la sua spada verso il cielo. Il piedistallo, circondato da una griglia in ferro forgiato, con i blasoni delle città della coalizione del 1176 (in particolare quelli di Milano e di Roma), risulta ornato da due bassorilievi. Il primo rappresenta il Carroccio, che esce da Milano per muovere verso Legnano; il secondo il campo di battaglia al termine dello scontro, disseminato di morti. Sul fianco sinistro, Federico Barbarossa, ferito, tenta di rialzarsi con l’aiuto dei monaci. Dietro di lui, uno dei suoi soldati guarda lontano, stravolto, mentre l’esercito tedesco inizia la sua ritirata.

Il nuovo monumento viene inaugurato il 29 giugno 1900. Butti, onorato e adulato per essere stato scelto per la sua realizzazione, rifiuta ogni compenso, chiedendo semplicemente di essere rimborsato esclusivamente delle sue spese vive. La statua di Alberto da Giussano, diviene rapidamente una delle opere più celebri a livello nazionale, premiata anche prima della sua realizzazione, con una replica presentata nel 1897 alla Triennale dell’Accademia delle Arti di Brera a Milano.
Nel 1909, il Butti viene invitato a partecipare alla decorazione del Vittoriano, l’immenso edificio eretto a Roma in onore del Milite Ignoto e del re Vittorio Emanuele II, spesso affettuosamente ribattezzato dai Romani, per la sua forma, la “macchina da scrivere”. Quattro anni più tardi, egli scolpisce la celebre statua di Giuseppe Verdi a Milano, il musicista che ha, anch’egli, reso omaggio al coraggio dei combattenti, con la sua opera la Battaglia di Legnano, nel 1849.
Il campo di battaglia come sopra evidenziato è oggi scomparso in gran parte sotto le abitazioni e solo un piccolo spazio è stato risparmiato, fra Borsano e Legnano, dove si sono inizialmente scontrate le avanguardie dei due eserciti. Ricostruire oggi lo svolgimento del combattimento richiede un grande sforzo di fantasia nelle condizioni attuali.
Se, effettivamente, risulta molto difficile determinare il luogo esatto dei combattimenti, le fonti ci ricordano violenti scontri per difendere il Carroccio, nella zona nei pressi del castello, lungo il fiume Olona, che attraversava la città di Legnano, da nord a sud. Il castello, in effetti, è stato eretto, circa un secolo dopo la battaglia, sul sito del Convento di San Giorgio, che deve il suo nome alla potente famiglia milanese, i Visconti, che l’avevano trasformato in una piazzaforte del loro sistema difensivo della capitale lombarda. Il sito non era stato scelto a caso, in quanto in questa zona l’Olona si divide un due bracci per formare un’isola. Diversi storici risultano concordi nel porre il combattimento del Carroccio proprio in questa zona.

Un altro importante ricordo della Battaglia di Legnano si può trovare sul Duomo di Milano. Se la costruzione della Cattedrale, che oggi ammiriamo, ha avuto inizio solo alla fine del XIV secolo, per ordine di Gian Galeazzo Sforza (1469-94), i lavori della facciata cominceranno solo nel 1616 e verranno ultimati con Napoleone fra il 1805 ed il 1813, a parte i cinque portali risalgono tutti al XX secolo, fra il 1908 ed il 1950 di cui una ha attinenza proprio con le vicende della battaglia.
Proprio sulla destra della facciata si trova il portale detto della Storia di Milano”, opera dello scultore Franco Lombardi. Questo, iniziato nel 1935, verrà completato nel 1950 da Virginio Pessina, dopo la morte dell’autore nel 1943. Nel portale sono state scolpite 14 scene su sette linee, ciascuna con una legenda in latino, che fanno riferimento alla storia di Milano dall’XI al XII secolo. In particolare, a parte la prima linea che fa allusione alla partecipazione dei Milanesi alla prima Crociata, tutte le altre linee del portale riguardano la lotta fra Milano ed il Barbarossa. Nel dettaglio: la seconda linea ricorda l’assedio del 1158 da parte del Barbarossa; la quinta linea, che, cronologicamente, avrebbe dovuto essere la terza, fa riferimento alla distruzione di Milano del 1162 da parte del Barbarossa, la terza e la quarta linea sono consacrate alla rinascita della città con le figure di Alberto da Giussano e di Galdino della Sala (1096-1176); la sesta linea evoca la battaglia di Legnano con il Barbarossa disarcionato ed un guerriero della lega che suona il corno accanto al Carroccio con tre colombe posate sulla cima (simbolo dei tre martiri sepolti a San Simpliciano); l’ultima linea riguarda il periodo successivo alla Battaglia di Legnano.

Un ultimo riferimento si trova, sempre a Milano, nella basilica di San Simpliciano, posta fra il Castello Visconteo e la Pinacoteca di Brera. Nella chiesa, fondata nel IV secolo dal vescovo Sant’Ambrogio e completata dal suo successore San Simpliciano, ci sono sepolti i corpi di tre martiri evangelizzatori cristiani (Sisinnio, Martirio ed Alessandro), massacrati nel Trentino nel 397. Nel suo interno, una vetrata illustra una scena dei combattimenti del 1176 intorno al Carroccio trainato da buoi bianchi e con un prete che benedice i combattenti sopra al quale sventolano le bandiere di Milano. Nella stessa chiesa, infine, una placca, apposta nel 1980, ricorda che il Carroccio ha lasciato proprio la basilica di San Simpliciano nel 1176 per raggiungere, il campo di battaglia sotto la scorta dei cavalieri lombardi.

Per saperne di più

Giorgio D’Ilario, Egidio Gianazza, Augusto Marinoni, Legnano e la battaglia, Edizioni Landoni, 1976
Paolo Grillo, Legnano 1176. Una battaglia per la libertà, Bari, Laterza, 2010
Elena Percivaldi, I Lombardi che fecero l’impresa. La Lega Lombarda e il Barbarossa tra storia e leggenda, Ancora Editrice, 2009.