“LA BANALITÀ DEL BENE”, L’ULTIMO LAVORO DI RENZO PATERNOSTER

di Vincenzo Levante -

Un importante saggio che affronta il tema della morte come progetto politico, dalle esecuzioni capitali agli stermini di massa.

C’è un filo logico che collega la pena capitale a uno sterminio: entrambi sono una decretazione di morte inclusa in una volontà politica: la prima individuale, la seconda in massa.
È l’argomento del nuovo lavoro a stampa di Renzo Paternoster, La banalità del bene. Dalla pena capitale agli stermini: la morte come progetto politico, pubblicato per i tipi di Tralerighe (pp. 344 euro 20,00).
Renzo Paternoster, autore di “Storia in Network”, è nato nel 1965 a Gravina in Puglia (Bari), dove risiede. Laureato in Scienze Politiche, indirizzo economico-internazionale, è un ricercatore e saggista specializzato sui temi della “violenza politica”.
Per spiegare la morte come progetto politico l’autore ha risposto con un approccio multidisciplinare a delle semplici domande: cos’è / perché / chi la fa / a chi / con chi / dove / quando / in quale contesto / con quali conseguenze.
L’analisi prende avvio dalla spiegazione di cosa è il male, qual è la sua sostanza. Questo è servito all’autore per introdurre i “corsi e i ricorsi dei processi che portano a ‘giustiziare’ le persone”. Che sia un’esecuzione di una condanna capitale o una realizzazione di sterminio di massa si tratta di uccidere qualcuno ritenuto colpevole di qualcosa.
L’autore ha poi voluto “inquadrare per comprendere” gli stermini di massa: dalla definizione alla classificazione di questo crimine. La corposa parte storica su questo crimini spiega che “ogni caso è diverso dall’altro”. Così, iniziando dall’Homo habilis sino all’attuale sterminio del popolo yazida, passando per le distruzioni medievali, quelle nel Nuovo Mondo, nelle colonie, e poi ancora il dramma armeno nella Turchia dei Giovani turchi, la tanatopolitica nazista, l’autogenocidio dei khmer rossi, il “desaparicidio” (come l’ha lui stesso l’ha chiamato) nell’America Latina delle dittature, il grande sterminio dei tutsi in Ruanda, la pulizia etnica nelle guerre dell’ex Jugoslavia.

solo-copertina-banalita-del-beneDopo la storia degli stermini di massa è poi la volta di quella della pena capitale: dalla legge del taglione all’espiazione della colpa, sino a confrontare le due “anime” di questa pratica: quella a favore e quella contraria. L’autore tuttavia è contrario a questa pena e ne spiega i motivi.
Interessante è il capitolo in cui si risponde alla classica domanda che dal genocidio degli ebrei accompagna la storia: come è stato possibile che “normali” persone abbiano potuto compiere gli stermini in massa. L’autore, con il sostegno della psicologia spiega il processo mentale che ha potuto trasformare le persone in assassinî seriali.
Per rafforzare la comprensione di questo processo, l’autore riporta la storia di un boia, Jerry Givens, e di tre carnefici, il nazista Adolf Eichmann, il khmer rosso Kang Kek Ieu, la serbo-bosniaca Biljana Plavšić e la ruandese hutu suor Gertrude.
Prendendo poi le mosse dal costrutto della “Banalità del male” di Arendt, l’autore ha elaborato un nuovo punto di vista sugli esecutori, che proprio banali non sono. Non si è trattato di ribaltare completamente il pensiero di Hannah Arendt, ma di aggiungere un’aggravante ai loro comportamenti. Per questo l’autore preferisce utilizzare l’espressione “banalità del bene”. La banalità del male presuppone un vuoto cognitivo, di giudizio; mentre al contrario la banalità del bene è un pieno di nuove norme morali, di nuovi giudizi, di premeditazione e di passione. In questo contesto è un bene che diventa banale, perché instaura una precisa grammatica di potere che decide chi deve vivere e chi deve morire. Un potere che conduce l’Essere all’essere, insomma solo a un principio biologico della vita. Non importa se il programma di salvezza degli esecutori della morte prevede la dannazione di una parte dell’Umanità.
Il corposo apparato di note e la consistente bibliografia, rendono questo saggio un “ricco” e meticoloso lavoro di ricerca.