IRENA SENDLER: L’INFERMIERA CHE SALVÒ I BAMBINI EBREI

di Pier Luigi Guiducci -

Assistente sociale e infermiera polacca, collaborò con la resistenza antinazista. Riuscì a salvare oltre duemila bambini ebrei facendoli uscire di nascosto dal ghetto di Varsavia.

Nel corso della seconda guerra mondiale, tra le tante tragedie che ricorda la storia, ci fu anche la distruzione nazista della Comunità ebraica di Varsavia (1943). I suoi membri, avevano assistito a continui drammi legati alle sopraffazioni antisemite. Le persecuzioni erano arrivate alle deportazioni verso i campi di sterminio. In tale contesto, un nucleo di ebrei riuscì a organizzare un’opposizione armata. L’obiettivo era quello di fermare gli orrori. Si organizzò in tal modo una rivolta nell’area del Ghetto che durò dal 19 aprile al 16 maggio del 1943, La reazione tedesca fu durissima. In tale contesto, si mossero i membri della resistenza per salvare anche i bambini ebrei. Tra questi oppositori c’era pure una giovane donna: Irena Sendler. Questa è la sua storia.

Chi era Irena Sendler

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Irena Sendler

Irena Krzyżanowska era la figlia unica di Janina e di Stanisław Krzyżanowski. Nasce in un quartiere della periferia di Varsavia. Verrà in seguito conosciuta anche come Irena Sendler, dal cognome del primo marito.[1] La famiglia era cattolica, di tradizione socialista. Fin dagli anni dell’infanzia, Irena interagì anche con i suoi coetanei ebrei. All’età di cinque anni conosceva pure qualche espressione yiddish. Il padre era un medico. Tra i suoi pazienti c’erano ebrei in disagiate condizioni economiche. Li curava gratuitamente. Morì di tifo nel febbraio del 1917. Aveva contratto la malattia mentre assisteva infermi che i suoi colleghi non intendevano curare. Dopo il decesso, la Comunità ebraica offrì un sussidio per sostenere gli studi di Irena, memore del bene ricevuto.
Irena crebbe nella città di Otwock. Con il progredire del tempo, fece parte di un reparto scout. Nel periodo degli studi universitari si oppose alla ghettizzazione degli studenti ebre. Di conseguenza venne sospesa dall’Università di Varsavia per tre anni. Entrò poi nell’Associazione della Gioventù Polacca Democratica e nel Partito Socialista Polacco. Terminati gli studi, cominciò a lavorare come assistente sociale nelle città di Otwock e Tarczyn.

Seconda Guerra Mondiale (1939)

Alle ore 04.45 del 1º settembre 1939 la Wehrmacht varcò il confine con la Polonia. Era l’inizio dell’invasione. Superate le difese lungo la frontiera, i tedeschi avanzarono verso Varsavia. Tra l’8 ed il 28 settembre 1939 ci fu la battaglia per la conquista della capitale polacca. Alla fine, i difensori si arresero. Il governo polacco abbandonò la propria sede per trasferirsi provvisoriamente a Krzemieniec (poi a Londra, in esilio), mentre il comando dell’esercito venne spostato a Brzesko. In quel periodo, Irena (aveva 29 anni) si era trasferita a Varsavia. Qui, lavorò come dipendente dei servizi sociali della municipalità. Dal 1939 al 1942 cominciò a partecipare a iniziative a difesa degli ebrei.

Il ghetto di Varsavia (1940)

Il 2 novembre del 1940 Ludwig Fischer[2], Governatore del Distretto di Varsavia per conto del governo di occupazione nazista, firmò l’ordine di organizzare un Ghetto ebraico a Varsavia. Quest’area fu circondata da un muro e dal filo spinato. Entro il 15 novembre del 1940, tutti gli ebrei di Varsavia furono costretti a trasferirsi nel Ghetto. In totale furono 251 mila le persone che cambiarono casa, 113mila polacchi si trasferirono nella parte ariana della città, e 138 mila ebrei finirono nel ghetto. Durante l’aprile del 1941 il Ghetto raggiunse la sua massima popolazione, con 395mila abitanti di origine ebraica.
Le condizioni igieniche dell’area erano deficitarie. Mancavano cibo e medicine. Si erano sviluppate delle epidemie. Il tasso di mortalità risultava elevato. In tale contesto, Irena, infermiera volontaria, con l’aiuto di uno dei lavoratori del dipartimento delle malattie contagiose (membro della Resistenza), ottenne un lasciapassare per accedere nella zona del Ghetto di Varsavia. A livello ufficiale, la donna entrava per individuare sintomi di tifo e per procedure di disinfestazione. In realtà, sosteneva una rete di aiuti procurando soprattutto cibo e vestiti.

La Resistenza. Il Consiglio per l’aiuto agli ebrei (1942)

Il 4 dicembre 1942 venne organizzato in modo clandestino il “Comitato Konrad Żegota”.[3] Si trattava del Consiglio polacco per l’aiuto agli ebrei. Era la continuazione del Comitato provvisorio per l’aiuto agli ebrei, fondato il 27 settembre 1942 dagli operatori cattolici polacchi Zofia Kossak-Szczucka[4] e Wanda Krahelska-Filipowicz (“Alinka”). Uno dei co-fondatori di Żegota fu Henryk Woliński dell’Esercito Nazionale (AK). Quest’ultimo, riuscì a mantenere i collegamenti con lo Stato clandestino polacco.
“Żegota”, attivo fino al 1945, era gestito da ebrei e da non ebrei provenienti da più movimenti politici. Al suo interno, c’erano aree organizzative con varie competenze: apporti economici, cibo, abbigliamento, benessere dei bambini, assistenza medica, alloggi, documenti di identità falsi et al.. Le cellule attive erano un centinaio. Tra queste, c’era anche Irena. Fu la responsabile del dipartimento infantile. Il suo nome in codice era “Jolanta”.

La distruzione del Ghetto (aprile-maggio 1943)

Il 18 gennaio del 1943, dopo una visita a Varsavia del Reichsführer-SS Heinrich Himmler[5], le autorità tedesche adottarono delle decisioni. 8mila operai ebrei dovevano essere trasferiti ad Est (destinati ai campi di sterminio), altri 16mila furono assegnati a una fabbrica di munizioni di Lublino. Iniziarono le selezioni. Poi la colonna dei prescelti cominciò a uscire dall’area del Ghetto. Mentre stava percorrendo la via Kiska in direzione della Umschlagplatz, avvenne un fatto. All’incrocio con via Zamenhof, alcuni componenti della ŻOB[6], guidati da Mordechaj  Anielewicz, che vi si erano infiltrati, aprirono il fuoco contro i tedeschi e le guardie ucraine che li scortavano, causando alcune vittime. Era l’inizio della rivolta degli ebrei del Ghetto di Varsavia. Il moto popolare durò dal 19 aprile al 16 maggio del 1943. La risposta del comando tedesco fu spietata. Circa 13mila ebrei rimasero uccisi. A queste vittime si devono aggiungere 6.929 oppositori catturati (uccisi a Treblinka). Il Ghetto fu raso al suolo. I suoi 42mila abitanti superstiti vennero internati nei lager. Tutto si concluse il 16 maggio, con la distruzione della sinagoga di piazza Tlomackie. Nelle settimane della insurrezione, Irena, lavorava come infermiera volontaria nel Punto Sanitario organizzato dall’amministrazione comunale.
A questo punto, si rese necessaria un’operazione estremamente a rischio. Occorreva salvare anche i bambini ebrei. Il problema era: come trasferirli al di fuori del Ghetto (rigorosamente isolato, e sottoposto a durissimi controlli)? Irena e le dieci compagne che andarono con lei nel ghetto, adoperarono molti metodi per far fuggire di nascosto i piccoli. C’erano alcuni mezzi di fuga: le ambulanze, il tribunale, le condotte fognarie e altri passaggi segreti sotterranei, i carrelli che potevano trasportare bambini nascosti nei sacchi, nei bauli, nelle valigie, Furono così ideati vari accorgimenti per ingannare i soldati tedeschi. Ai militari posizionati ai confini del Ghetto, che osservavano la continua presenza di ambulanze, venne detto che era in corso il trasporto dei morti per tifo. Unitamente a ciò, furono organizzati dei centri di assistenza all’esterno del Ghetto, in luoghi protetti. I bambini era poi affidati a famiglie, a orfanotrofi oppure a conventi come quello delle Piccole Ancelle dell’Immacolata a Turkowice e Chotomów.

L’arresto (ottobre 1943)

Il 20 ottobre del 1943, i nazisti arrestarono “Jolanta”. Per tre mesi la donna fu interrogata nel carcere di Pawiak. Subì la tortura. Le vennero fratturate gambe e piedi (rimase claudicante). In questo periodo non rivelò mai i segreti di cui era a conoscenza. La rete della resistenza polacca riuscì, alla fine, a far fuggire Irena, ormai condannata a morte, corrompendo i soldati tedeschi e facendo scrivere il nome della Sendler tra i prigionieri già messi a morte. Da questo momento in poi Irena visse in clandestinità. Ora il suo nome era Klara Dabrowska (ufficialmente era stata fucilata). Comunque non rimase inattiva. Continuò a collaborare con “Żegota” e ad aiutare gli ebrei, coordinando il salvataggio di molti bambini. I piccoli salvati, alla fine, furono centinaia. 

Il dopoguerra (1945)

Il 1 agosto del 1944 la resistenza polacca volle attaccare le truppe tedesche che occupavano Varsavia. Queste, reagirono e sconfissero in pochi giorni i rivoltosi. In tale contesto critico, i russi, pur a conoscenza della rivolta anti-nazista, non vollero sostenere i polacchi. Preferirono restare al di là del fiume Vistola. Solo il 17 gennaio del 1945 i soldati dell’Armata Rossa (esercito sovietico) entrarono in quello che restava di Varsavia. In quel momento, diversi polacchi sperarono in una fine delle criticità. Ma non fu così. Stalin[7] temeva i nazionalisti polacchi almeno quanto Hitler.[8] L’NKVD, la polizia politica che sarebbe diventata il KGB, si attivò rapidamente per identificare gli ex membri della resistenza. Decina di migliaia di polacchi furono uccisi, deportati o imprigionati dai sovietici.

Gli anni del comunismo

Dopo la fine del conflitto mondiale, Irena, ottenuto il divorzio dal suo primo marito (Mietek Sendler), si risposò con Stefan Zgyzebski. Nacquero due figli: Adam e Janka. Unitamente a ciò, la donna lavorò presso i Servizi Sociali di Varsavia. Seguì le attività degli orfanotrofi e quelle di un Centro di assistenza per madri e bambini in difficoltà. Si occupò anche delle famiglie prive di lavoro.
Il partito comunista polacco la considerò comunque una “sovversiva”. Irena venne tenuta sotto osservazione. E le sue azioni durante gli anni della guerra costarono ai suoi figli, seppur nati a conflitto concluso, la possibilità di iscriversi e frequentare l’Università di Varsavia.
Nel periodo 1948-1968 Irena fu iscritta al Partito Operaio Unificato Polacco.[9] Nel 1949 avvenne un fatto grave. La donna subì un arresto e un interrogatorio duro. Venne esaminata per i suoi contatti con il Governo polacco in esilio e con il Movimento di Resistenza Armia Krajowa (Armata Nazionale; AK). Durante la detenzione perdette un bambino nato prematuro. Nel 1968 uscì dal Partito Comunista, in segno di protesta per le repressioni avvenute contro studenti ed intellettuali, e per la campagna antisemita decisa dal governo nel marzo del 1968. In seguito Irena aderì al Movimento Sindacale Solidarność (‘Solidarietà’; 1980). Ormai, la ”Repubblica Popolare Polacca” si era dimenticata di lei. 

L’episodio del 1999. ‘La vita in un barattolo’

Nel 1999, n un liceo di Uniontown, nel Kansas (USA), un insegnante di storia, Norman Conard, venne a conoscenza delle operazioni clandestine che erano state realizzate a Varsavia per difendere i bambini dai nazisti. Lo colpì molto la storia di Irena e dei suoi volontari.
Per questo motivo, decise di scrivere un’opera teatrale dal titolo “Life in a Jar (‘La vita in un barattolo’). Il titolo si riferiva al modo con il quale Irena aveva conservato i nomi dei bambini salvati. Questa donna, infatti, chiuse dentro bottiglie e vasetti di marmellata, i nominativi dei piccoli aiutati a fuggire dalla morte. C’erano anche i dati dei veri genitori e di quelli adottivi. Non mancavano pure alcuni effetti personali. Tutto venne seppellito vicino a un albero del giardino di una sua amica di fiducia: Jadwiga Piotrowska.
Al termine del secondo conflitto mondiale, la documentazione preparata dalla donna venne consegnata ad Adolf Berman[10], tesoriere di “Żegota”. Quest’ultimo, a guerra conclusa, divenne il presidente del Comitato ebraico di aiuto sociale. In tal modo, fu possibile aiutare i bambini a conoscere le proprie origini e a ritrovare le famiglie.
La vita in un barattolo” fu interpretata dagli allievi di Norman Conard. L’opera teatrale venne in seguito replicata oltre duecento volte negli Stati Uniti, e condusse alla promozione della Fondazione “Life in a Jar”. Il fine di questa Istituzione è quello di far conoscere l’opera svolta dalla Sendler e dagli altri membri della Resistenza nella Polonia occupata.[11]

I riconoscimenti

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Irena Sendler con alcuni dei “bambini” salvati (2005)

Con il trascorrere del tempo, sono state diverse le Istituzioni che non hanno dimenticato gli eroismi dimostrati dalla resistenza polacca a Varsavia nel 1943. Per questo motivo anche la Sendler ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti in patria e all’estero. Nel 1965 l’Istituto di Yad Vashem le ha conferito la Medaglia di ”Giusto fra le Nazioni”. Solo in quell’occasione il governo comunista le concesse il permesso di viaggiare all’estero, per ricevere il riconoscimento in Israele.
Nel 1991 Irena ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Israele. Nel 2003, il Papa polacco san Giovanni Paolo II[12] le inviò una lettera personale lodandola per i suoi sforzi durante la guerra.
Il 10 ottobre del 2003 Irena ricevette la più alta decorazione civile della Polonia: l’Ordine dell’Aquila Bianca, e il premio Jan Karski “Per il coraggio e il cuore”, assegnatole dal Centro Americano di Cultura Polacca a Washington.
Nel 2006 l’associazione ”I figli dell’Olocausto” (Dzieci Holocaustu)[13], insieme al Ministero degli Esteri polacco, volle promuovere il premio “Irena Sendler” da assegnare a chi aveva reso migliore il mondo. Nel 2007 l’allora Presidente della Repubblica di Polonia[14], propose al Senato polacco di nominare Irena eroe nazionale. Il Senato votò a favore (unanimità). Invitata all’atto di omaggio del Senato, il 14 maggio dello stesso anno, all’età ormai di 97 anni, Irena non fu in grado di lasciare il luogo ove risiedeva. Trasmise comunque una dichiarazione attraverso Elżbieta Ficowska[15] (salvata da bambina). In tale scritto annotò pure questa frase: “Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria”.
Nel 2009 è stato girato il film Il cuore coraggioso di Irena Sendler. Diretto da John Kent Harrison, È stato interpretato dall’attrice premio Oscar Anna Paquin e da Marcia Gay Harden. Il film si basa sul libro Mother of the Children of the Holocaust: The Story of Irena Sendler scritto da Anna Mieszkowska.

La morte di Irena a Varsavia (2008)

Il nome di Irena Sendler venne anche segnalato nel 2007 dal governo polacco per il Premio Nobel per la Pace. Lo Stato di Israele appoggiò ufficialmente la candidatura. Però il riconoscimento venne assegnato ad Al Gore.[16] Il 12 maggio del 2008, Irena morì a Varsavia in una casa di riposo. Aveva 98 anni. Venne sepolta nel cimitero della città. Alcune sue frasi rimangono a memoria. Irena Sendler, In una conversazione con Marek Halter disse tra l’altro: “Avrei potuto fare di più. Questo rimpianto non mi lascia mai”.[17]

Qualche considerazione di sintesi

La vicenda di Irena Sendler, e quella delle sue compagne, non rimane legata a un singolo fatto storico ma va oltre. Questa donna, infatti, continua a insegnare a ogni nuova generazione che la vita è dono e che la fraternità è sempre operaia. In tale contesto, la riflessione diventa ancor più profonda. L’eroe, in pratica, non è colui che improvvisa una scelta come gesto impulsivo. Piuttosto, è la persona che, sulla base di una propria formazione, sa diventare prossimo senza offuscare la dignità dell’altro. Senza attendere riconoscimenti. Irewna stette per anni in una casa della Polonia comunista senza ottenere alcun attestato di benemerenza. Furono i suoi ex-assistiti a ricordarsi di lei e a raccontare una storia che ha dell’incredibile. Nell’attuale periodo, così travagliato da nazionalismi e da pericoli bellici, l’esempio di Irena rimane un messaggio vivo: occorre lavorare per la pace, altrimenti il mondo si distruggerà da solo.

 

Note


[1] Irena Stanisława Sendler, da nubile Irena Krzyżanowska (Varsavia 1910 – Varsavia 2008). Cf anche: R. Giordano, Irena Sendler. La terza madre del ghetto di Varsavia, Nuvole di Ardesia, Casoria (NA) 2017.
[2] Ludwig Fischer (1905-1947). Fu poi condannato a morte per impiccagione.
[3] I. Tomaszewski e T. Werbowski, Zegota: The Council to Aid Jews in Occupied Poland 1942–1945, Price-Patterson, Montreal 1994. Id., Zegota: The Rescue of Jews in Wartime Poland, Price-Patterson, Montreal 1994.
[4] Zofia Kossak-Szczucka, scrittrice.
[5] Heinrich Himmler (1900-1945).
[6] La Żydowska Organizacja Bojowa (ŻOB, termine polacco per “Organizzazione ebraica di combattimento”. Movimento di resistenza ebraica. Aveva la propria sede nel Ghetto di Varsavia. Formata in maggioranza da giovani appartenenti ai movimenti giovanili sionisti di sinistra. Ebbe un ruolo centrale durante l’insurrezione del Ghetto.
[7] Iosif Stalin (1878 -1953).
[8] Già all’epoca della spartizione della Polonia nel 1939, i russi avevano ucciso in segreto  migliaia di polacchi considerati “controrivoluzionari”.
[9] Il Partito Operaio Unificato Polacco fu il partito comunista che governò de facto la Repubblica Popolare di Polonia. Venne fondato nel dicembre del 1948 tramite la fusione del Partito dei Lavoratori Polacchi e il Partito Socialista Polacco. Venne sciolto nel 1990.
[10] Adolf Avraham Berman (1906-1978).
[11] N. Conard, “Life in a Jar”: A National History Day Project that Touched the World, Social Education, v 74 n 2, pp. 62-64, Mar-Apr 2010.
[12] Papa Giovanni Paolo II (1920-2005; Santo). Il suo pontificato durò dal 1978 alla morte.
[13] https://www.wikiwand.com/pl/Stowarzyszenie_Dzieci_Holocaustu.
[14] Lech Aleksander Kaczyński.
[15] Elżbieta Ficowska (nata nel 1942).
[16] Albert Arnold Gore Jr. (detto Al, nato nel 1948). Politico e ambientalista USA. È stato vicepresidente degli Stati Uniti durante la presidenza Clinton dal 1993 al 2001.
[17] M. Halter, Stories of Deliverance: Speaking with Men and Women Who Rescured Jews from the Holocaust,
Open Court Publishing Co ,U.S, Chicago 1999.

Per saperne di più
S. Cerri, 1943. I bambini di Irena Sendler, Porto Seguro Editore, Roma 2021.
R.L. Fishkin, Heroes of the Holocaust, Compass, Mankato (Minnesota) 2011.
S. Goldman Rubin, Irena Sendler and the Children of the Warsaw Ghetto, Holiday House, New York 2011.
A. Mieszkowska, Matka dzieci Holokaustu. Historia Ireny Sendlerowej, Literackie Muza, Warszawa, 2004 (trad. it. Nome in codice: «Jolanta». L’incredibile storia di Irena Sendler, la donna che salvò 2500 bambini dall’Olocausto, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo 2009).
S. Goldman Rubin, Irena Sendler and the Children of the Warsaw Ghetto, Holiday House, New York 2016.
M. Vaughan Crews, The Story of World War II Hero Irena Sendler, Lee & Low Books, New York 2018.