IPAZIA, INTELLETTUALE VITTIMA DEL FANATISMO CRISTIANO

di Michele Strazza -

Astronoma, matematica e filosofa neoplatonica, Ipazia fu una scienziata poliedrica, antesignana del libero pensiero ed esempio di emancipazione femminile. Visse in prima persona il crepuscolo dell’impero romano e le lotte di religione avviate dal cristianesimo trionfante contro il paganesimo.

Ipazia nacque probabilmente intorno al 370 d.C. ad Alessandria d’Egitto e venne avviata dal padre, Teone di Alessandria, allo studio della matematica, della geometria e dell’astronomia. Il padre fu l’autore del Commentario all’Almagesto di Tolomeo, considerato uno dei migliori lavori di astronomia della scuola alessandrina. Redasse anche un’edizione degli Elementi di Euclide.
Non abbiamo notizie della madre e la mancanza della sua citazione in diversi scritti, tra cui le lettere a Ipazia del suo allievo Sinesio, farebbe pensare a una sua morte prima dell’inizio del V secolo.
Sembrerebbe che avesse un fratello di nome Epifanio il cui nome appare come dedica del Piccolo commentario alle Tavole facili di Tolomeo e del IV libro dei Commentaria a Tolomeo del padre Teone. Dubbia è la possibilità che avesse un altro fratello, di nome Atanasio.

Utilizzando la ricca biblioteca alessandrina (la cosiddetta biblioteca “figlia”, diversa da quella “madre”, bruciata involontariamente da Cesare tre secoli prima), dove operava il padre, inizialmente la giovane dovette dedicarsi a tempo pieno al sapere matematico, geometrico e astronomico. Ma ben presto volle ampliare le sue conoscenze, indirizzando la sua mente alla filosofia vera e propria, soprattutto a pensatori come Platone, Plotino e Aristotele.
Così, infatti, racconta Damascio (480-550), filosofo neoplatonico e ultimo direttore della Accademia di Atene: «Poiché aveva più intelligenza del padre, non fu soddisfatta dalla sua conoscenza delle scienze matematiche e volle dedicarsi anche allo studio della filosofia. La donna era solita indossare il mantello del filosofo e andare nel centro della città. Commentava pubblicamente Platone, Aristotele, o i lavori di qualche altro filosofo per tutti coloro che desiderassero ascoltarla. Oltre alla sua esperienza nell’insegnare riuscì a elevarsi al vertice della virtù civica».
Sulla stessa linea Filostorgio, quando afferma che «ella divenne migliore del maestro, particolarmente nell’astronomia e che, infine, sia stata ella stessa maestra di molti nelle scienze matematiche».
Anche Socrate Scolastico (380-450), nella sua Historia Ecclesiastica in sette libri, ci tramanda la figura di una filosofa sempre pronta a insegnare: «Ad Alessandria c’era una donna chiamata Ipazia, figlia del filosofo Teone, che ottenne tali successi nella letteratura e nella scienza da superare di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo. Provenendo dalla scuola di Platone e di Plotino, lei spiegò i principi della filosofia ai suoi uditori, molti dei quali venivano da lontano per ascoltare le sue lezioni».

Per approfondire i suoi interessi filosofici, Ipazia si recò anche ad Atene, dove ebbe contatti con la scuola teosofica di Plutarco. Ipazia, già dal 393, risulta aver sostituito il padre nell’insegnamento presso il Museo di Alessandria d’Egitto e, quindi, rappresentava la figura principale della Scuola Alessandrina dove giunse Sinesio, futuro vescovo cristiano, arrivato da Cirene per i suoi studi. E proprio Sinesio, che si interessava pure di poesia, pare si innamorasse di lei, non ricambiato.
Ipazia cercò di dissuaderlo. A tale proposito Damascio racconta un episodio forse leggendario: «Lei era così bella e ben fatta che uno dei suoi studenti si innamorò di lei, non fu capace di controllarsi e le mostrò apertamente la sua infatuazione. Alcuni narrano che Ipazia lo guarì dalla sua afflizione con l’aiuto della musica. Ma la storia della musica è inventata. In realtà lei raggruppò stracci che erano stati macchiati durante il suo periodo e li mostrò a lui come un segno della sua sporca discesa e disse, “Questo è ciò che tu ami, giovanotto, e non è bello!”. Alla brutta vista fu così colpito dalla vergogna e dallo stupore che esperimentò un cambiamento del cuore e diventò un uomo migliore». In tal modo la filosofa dimostrava al suo allievo che «siamo tutti vittime dell’istinto a riprodurre la specie e che il desiderio fisico è legato ai flussi del corpo, mentre il vero eros deve sublimarlo e trascenderlo, diventando amore del sapere».

Ipazia, di Charles William Mitchell, 1885.

Ipazia, di Charles William Mitchell, 1885.

Nessuno scritto di Ipazia è pervenuto fino a noi. Ne abbiamo però notizie da diverse fonti. Sicuramente a lei deve essere attribuito un commentario in tredici libri a un’opera di Diofante di Alessandria, probabilmente l’Arithmetica, nonché un commentario in otto libri alle Coniche di Apollonio di Pergamo, analisi matematica delle sezioni del cono. Sembrerebbe abbia composto anche un Canone astronomico ma non tutti gli studiosi sono d’accordo a riguardo.
Sinesio, nelle sue Epistolae, riferisce pure di un «astrolabio», da lui fatto costruire e «concepito sulla base di quanto mi insegnò la mia veneratissima maestra». Sembra che Ipazia sia stata anche determinante nella realizzazione di un «idroscopio» e di un «aerometro».
In campo filosofico ella può essere considerata come un’erede del platonismo interpretato da Plotino e filtrato da autori come Porfirio e Giamblico. Amava molto esporre il suo pensiero in pubblico. Damascio dice che era «così articolata ed eloquente nel parlare come prudente e civile nei suoi atti». Tutta la città la amava e le rendeva onore, mentre le autorità la consultavano spesso sulle questioni pubbliche.
Sulla stessa linea il cristiano Socrate Scolastico che, nella sua Historia Ecclesiastica, precisa: «Facendo conto sulla padronanza di sé e sulla facilità di modi che aveva acquisito in conseguenza dello sviluppo della sua mente, non raramente apparve in pubblico davanti ai magistrati. Né lei si sentì confusa nell’andare a una riunione di uomini. Tutti gli uomini, tenendo conto della sua dignità straordinaria e della sua virtù, l’ammiravano di più».

Indubbiamente, questo suo insegnare pubblicamente la filosofia poteva essere interpretato come un’ aperta sfida ai cristiani di Alessandria dove erano stati demoliti, su ordine del vescovo Teofilo, i templi pagani. Ipazia, tuttavia, non venne ostacolata apertamente, forse anche perché spesso tra coloro che l’ascoltavano vi era lo stesso prefetto romano Oreste. La filosofa dovette, comunque, assistere all’opera di distruzione di ogni segno della vecchia religione pagana anche ad Alessandria.
Dopo l’Editto di Tessalonica del 380 con il quale il Cristianesimo era diventata la sola religione ammessa nell’Impero, la successiva legislazione emanata da Teodosio era stata indirizzata, tra l’altro, proprio a smantellare ogni forma di culto pagano. Ma fu tra il 391 e il 392 che le norme antipagane ebbero una recrudescenza inaudita. Di qui, tutta una ondata di tumulti e violenze nei confronti delle popolazioni pagane e dei loro culti. I cristiani da martiri si erano trasformati in persecutori.
Gli eventi più violenti avvennero proprio ad Alessandria d’Egitto. Nel 391, dopo la decisione del vescovo Teofilo, avvallata dall’Imperatore, di trasformare il tempio di Dioniso in chiesa cristiana, i pagani si sollevarono e uccisero alcuni cristiani, rifugiandosi nel santuario di Serapide, posto sull’acropoli della città, pronti a combattere. I rivoltosi si appellarono a Teodosio che promise loro il perdono ma ordinò la distruzione del tempio. A nulla valse l’opposizione del filosofo neoplatonico Olimpio che guidava i pagani. I cristiani diedero alle fiamme il santuario e nell’incendio furono persi moltissimi testi della preziosa biblioteca. Dopo questo tragico evento non abbiamo altre notizie di Ipazia sino a quando, dopo la morte di Teofilo, gli successe come vescovo, nel 412, il nipote Cirillo, poi beatificato dalla Chiesa, il quale ammantò la propria funzione, non solo di significati religiosi, ma anche politici. Il nuovo vescovo cominciò subito a combattere alcune influenze gnostiche penetrate nell’ambiente ecclesiale alessandrino, in particolare nella locale scuola catechetica. Non mancò anche di osteggiare i giudei e i culti pagani, mettendosi spesso in urto col prefetto romano Oreste.

Le acute divergenze tra autorità religiosa cristiana e quella civile romana vennero, però, presentate dalla Chiesa come espressione del divario tra cristianesimo e paganesimo. Lo scontro con i giudei, soprattutto, ebbe diversi episodi violenti e, nel 414, durante un’assemblea pubblica, gli ebrei denunciarono al prefetto, quale seminatore di discordie, il maestro Ierace, seguace del vescovo. Dopo l’arresto di questi la situazione precipitò e alcuni cristiani vennero uccisi dai giudei. La reazione della Chiesa non si fece attendere: la comunità ebrea fu cacciata dalla città, i loro averi confiscati, le sinagoghe distrutte. Il prefetto Oreste si indignò moltissimo ma non poté agire contro Cirillo. A questo punto, circa cinquecento monaci “parabolani” arrivarono in città per sostenere le posizioni di Cirillo e protestare contro il prefetto romano il quale venne colpito da una pietra, lanciata proprio da un monaco di nome Ammonio. Quest’ultimo, dopo essere stato catturato, morì sotto tortura. Tale morte venne celebrata da Cirillo come un vero e proprio martirio.
Tutti i tentativi tesi a una rappacificazione tra le due autorità fallirono, anche, secondo i cristiani, per l’influenza di Ipazia su Oreste. Socrate Scolastico racconta infatti che poiché la filosofa «s’incontrava alquanto di frequente con Oreste, l’invidia mise in giro una calunnia su di lei presso il popolo della chiesa, e cioè che fosse lei a non permettere che Oreste si riconciliasse con il vescovo». Comunque, Cirillo mostrava apertamente la propria ostilità nei confronti della filosofa. Secondo Damascio, invece, l’odio del vescovo verso Ipazia era generato dall’invidia. Così egli scrive: «Così accadde che un giorno Cirillo, vescovo della setta di opposizione, passò presso la casa di Ipazia, e vide una grande folla di persone e di cavalli di fronte alla sua porta. Alcuni stavano arrivando, alcuni partendo, e altri sostavano. Quando lui chiese perché c’era là una tale folla e il motivo di tutto il clamore, gli fu detto dai seguaci della donna che era la casa di Ipazia il filosofo e che lei stava per salutarli. Quando Cirillo seppe questo fu così colpito dalla invidia che cominciò immediatamente a progettare il suo assassinio e la forma più atroce di assassinio che potesse immaginare».

La morte di Ipazia, incisione del 1866.

La morte di Ipazia, incisione del 1866.

Arriviamo, così, al marzo del 415, periodo di quaresima. Racconta Socrate Scolastico che un gruppo di cristiani «dall’animo surriscaldato, guidati da un predicatore di nome Pietro, si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli».
Anche Damascio fornisce la stessa versione: «Quando Ipazia uscì dalla sua casa, secondo il suo costume, una folla di uomini spietati e feroci che non temono né la punizione divina né la vendetta umana la attaccò e la tagliò a pezzi, commettendo così un atto oltraggioso e disonorevole contro il loro paese d’origine».
Tutt’altra versione quella fornita, nel VII secolo, dalla Cronaca di Giovanni, vescovo cristiano di Nikiu, secondo cui si sarebbe trattato di un atto di giustizia. Per quest’autore, infatti, Ipazia sarebbe stata una maga che aveva ingannato «molte persone con stratagemmi satanici», tra cui lo stesso prefetto romano, sedotto proprio dalle sue arti magiche. La sua uccisione, dunque, sarebbe stata la logica conseguenza della giusta ira cristiana. Così egli si esprime: «Poi una moltitudine di credenti in Dio si radunò sotto la guida di Pietro il magistrato, un credente in Gesù Cristo perfetto sotto tutti gli aspetti, e si misero alla ricerca della donna pagana che aveva ingannato le persone della città ed il prefetto con i suoi incantesimi. Quando trovarono il luogo dove era, si diressero verso di lei e la trovarono seduta su un’alta sedia. Avendola fatta scendere, la trascinarono e la portarono nella grande chiesa chiamata Caesarion. Questo accadde nei giorni del digiuno. Poi le lacerarono i vestiti e la trascinarono attraverso le strade della città finché lei morì. E la portarono in un luogo chiamato Cinaron, e bruciarono il suo corpo».
Se tra gli uccisori di Ipazia vi fossero proprio i monaci “parabolani”, considerati la guardia del corpo del vescovo, i pareri sono discordi. C’è chi fa riferimento a “monaci ignoranti e fanatici”, chi accenna a un “clero minore”, chi parla specificamente di “parabolani” e chi, infine, si riferisce genericamente a fanatici cristiani. Conseguenza di questa è anche la questione se fosse coinvolto o no il vescovo Cirillo. Anche qui, naturalmente, le opinioni sono diverse. Chi propende per la colpevolezza dei monaci “parabolani” spesso ritiene che abbiano agito su mandato di Cirillo, ma vi sono studiosi che ritengono il vescovo non a conoscenza dell’azione dei “parabolani”. Sull’assassinio di Ipazia fu aperta una inchiesta ma venne subito affossata a causa dell’influenza di Cirillo sulla corte imperiale, soprattutto su Elia Pulcheria, sorella di Teodosio II, la quale, essendo questi ancora minore, regnava di fatto.

Per saperne di più

Alic M., L’eredità di Ipazia, Roma, Editori Riuniti, 1989.
Beretta G., Ipazia d’Alessandria, Roma, Editori Riuniti,1993.
Damascio, Vita di Isidoro, Olms, Hildesheim, 1967 (Riprodotto anche in Suda, Lexicon, Lipsia, Teubner, 1928, IV).
Dzielska M., Hypatia of Alexandria, London, Harvard University Press, 1995.
Filostorgio, Historia Ecclesiastica, VIII, 9, in Migne J.P., “Patrologia Graeca”, vol. LXV.
Gibbon E., Decadenza e caduta dell’Impero romano, Roma, Avanzini & Torraca, 1968.
Giovanni di Nikiu, Cronaca.
Ronchey S., Ipazia, l’intellettuale, in Fraschetti A. (a cura di), “Roma al femminile”, Roma-Bari, Laterza, 2000.
Ronchey S., Ipazia. La vera storia, Milano, Rizzoli, 2010.
Sinesio, Epistolae, in “Opere di Sinesio di Cirene”, Torino, UTET, 1989.
Socrate Scolastico, Historia Ecclesiastica, in Migne J.P., Patrologia Graeca, vol. LXVII.