In libreria: Ucraina, la pedina russa per l’Asia centrale

9788849843576_14e0521_di_rienzo_piatto_150È un “piccolo-grande gioco” quello che si svolge nel cortile di casa della Russia. E quel cortile, lo spiega senza peli sulla lingua Eugenio Di Rienzo, docente di Storia moderna alla Sapienza di Roma, è l’Ucraina e la sua capitale Kiev, la culla della storia russa dove tutto ebbe origine prima ancora che Mosca e San Pietroburgo ascendessero agli altari della modernità. Il colpo di Stato che nel marzo 2014 ha portato alla caduta del presidente filo-russo Janukovich e all’insediamento di una leadership filo-occidentale è l’ultimo atto di una strategia messa in atto per spingere l’Ucraina nella Nato e quindi per preparare il terreno alla definitiva disintegrazione della Russia come Grande potenza.
Un tentativo, spiega Di Rienzo, frutto di un tradimento: quello della promessa fatta nel 1990 dal ministro degli esteri tedesco occidentale Hans Dietrich Genscher e dal segretario di Stato americano James Baker che, in cambio del ritiro sovietico dalla Germania orientale, assicurarono di non voler espandere verso est l’Alleanza atlantica. L’Occidente si impegnò allora con grande chiarezza nei confronti di Sevarnadze e Gorbacev: «mai in nessun caso la giurisdizione della Nato e quella dell’Unione Europea avrebbe potuto estendersi alle nazioni dell’Europa orientale».
La Russia di Putin sta quindi vivendo una nuova sindrome da accerchiamento e la posta in gioco è la sua posizione strategica nell’Asia centrale. L’Ucraina, infatti, è fondamentale per Mosca non solo sotto il profilo eminentemente militare – di fatto il confine tra i due Stati è un’immensa pianura priva di difese – ma anche sotto quello economico, con le sue ingenti risorse industriali, agricole e minerarie. E Putin, a differenza degli “occidentalisti” Gorbacev ed Eltsin, vuole ricostruire la sfera di influenza russa nelle nazioni ex sovietiche per contrastare a viso aperto il sistema unipolare statunitense.
Da qui la luna di miele che Mosca sta vivendo con Pechino, Nuova Delhi e Teheran, nel tentativo di costruire un nuovo sistema di sicurezza multipolare. Un sistema a cui sembrano guardare con un certo interesse anche alcuni Stati dell’ala orientale della Nato, infastiditi dall’atteggiamento oltranzista di Washington nei confronti della questione ucraina. Insomma, l’alleanza Usa-Urss che nel 2001 sembrava essere nata per contrastare il terrorismo islamico, proprio ora che la minaccia è ancora più forte, sta lentamente scemando in un confronto aperto. Un confronto che dimostra come sotto la maschera degli immortali principi di autodeterminazione e di libertà – e con ben maggiore potenza – la storia scorra sempre seguendo il main stream della geopolitica e della difesa delle aree di influenza delle Grandi potenze. Il rischio oggi, spiega l’autore, è che una soluzione della crisi per via negoziale si trascini per un tempo indefinito se non addirittura per sempre. E che una nuova Cortina di ferro cali sul Vecchio continente, dal Baltico al Mar Nero.

Eugenio Di Rienzo, Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo dis(ordine) mondiale – Rubbettino, Soveria Mannelli, 2015, pp. 106, euro 10,00

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M. Tarchi, Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo – il Mulino, Bologna, 2015, pp. 384, euro 20,00
Guglielmo Giannini e Umberto Bossi, Achille Lauro e Antonio Di Pietro, le campagne della Lega e del Msi della prima segreteria di Fini contro l’immigrazione e le esternazioni di Cossiga, la rivolta di Reggio Calabria e gli show televisivi di Berlusconi, i referendum radicali contro il finanziamento pubblico dei partiti e i girotondi capeggiati da Nanni Moretti, per finire – momentaneamente – con Beppe Grillo ossessionato dagli zombie e dal «tutti a casa»: che cosa accomuna eventi e personaggi così disparati? In varia misura discendono tutti dal populismo, che in Italia ha avuto radici profonde e, dopo aver conosciuto un primo momento di fulgore, in epoca fascista, si è continuamente ripresentato nel dopoguerra sotto svariate spoglie. Un libro per capire come quella che era considerata una pericolosa patologia possa diventare una componente connaturata ai regimi democratici.

Ian Buruma, Anno Zero. Una storia del 1945 – Mondadori, Milano, 2015, pp. 400, euro 28,00
Nei settant’anni che ci separano dalla fine della seconda guerra mondiale sono stati pubblicati innumerevoli studi sull’evento che ha segnato e condizionato le dinamiche politiche, i sistemi di valori, le ideologie, le aspirazioni individuali e le utopie collettive del nostro tempo. Ma finora nessuno aveva scelto come angolo visuale per osservare le rovine di quella catastrofe – e i semi di rinascita che ne germogliarono – l’”anno zero”, cioè i pochi mesi d’intervallo tra la resa delle potenze dell’Asse e l’alba del “dopo”. Ian Buruma restituisce appieno il clima di quella “illuminata e fiduciosa mattina” che seguì il silenzio delle armi, animato dal cortocircuito psicologico di un’umanità divisa tra euforia e fame, tra desiderio di vendetta e voglia di dimenticare, tra ansia di riscatto sociale e faticoso superamento di antichi odi – culturali, etnici, di classe. La ricostruzione di Buruma tocca tutti gli aspetti di quel breve e decisivo periodo: il destino dei sopravvissuti ai lager nazisti, la formazione dello Stato di Israele, la tragedia del popolo polacco passato da una schiavitù a un’altra, il sacrificio degli ideali della resistenza antifascista (in Francia come in Italia) sull’altare dei nuovi equilibri geopolitici, il contraddittorio processo di epurazione dei “collaborazionisti”, il futuro riassetto del Vicino Oriente, l’inizio della guerra civile in Cina e l’occupazione alleata del Giappone.

A. Necci, Il Diavolo zoppo e il suo Compare. Talleyrand e Fouché o la politica del tradimento – Marsilio, Venezia, 2015, pp. 666, euro 19,00
Due celebri uomini politici, Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord e Joseph Fouché, vissuti a cavallo fra il ’700 e ’800 in Francia. Cresciuti entrambi in seno alla Chiesa, che hanno poi rinnegato, Ministro degli Esteri del Direttorio, di Napoleone e della Restaurazione l’uno, Ministro della Polizia l’altro, nemici quindi complici a seconda delle convenienze, sono divenuti il paradigma stesso dell’opportunismo politico, tanto da essere soprannominati “banderuole”. In realtà, Talleyrand e Fouché sono molto più di questo. Protagonisti di un’epoca straordinaria, quella fra Ancien Régime e Restaurazione, nella quale si è costruita la Francia e anche l’Europa moderna, sono riusciti a sopravvivere al crollo della monarchia, alla Rivoluzione, al Terrore, al Direttorio, all’Impero, alla Restaurazione, rivestendo quasi sempre ruoli di primissimo grado. Dichiaratamente infedeli ai regimi e agli uomini, hanno cercato di essere, soprattutto nel caso di Talleyrand, fedeli alla Francia. Intorno a loro, dietro di loro, c’è tutto un mondo che si muove e cambia, in una fase tragica e travagliata, densa di genio e di grandezza ma anche di drammi e atrocità. Freddi e sofisticati tessitori di strategie e intrighi, sono stati determinanti per far cadere il loro signore, Napoleone Bonaparte, ma anche per restituire alla Francia un ruolo centrale nell’Europa della Restaurazione. Traditori? Certo; ma in questa storia, tutti tradiscono tutti, a volte con qualche giustificazione, altre senza: per il potere o il denaro, per sopravvivere, per salvarsi, per vendicarsi, per il gusto di farlo. Tanto da far pensare che l’umanità si divida in due categorie, i traditori e i traditi.

A. Battaglia, Né un soldo, né un voto. Memoria e riflessioni dell’Italia laica – il Mulino, Bologna, 2015, pp. 340, euro 24,00
«Nella Prima Repubblica il mondo laico ebbe sempre pochi soldi e pochi voti: ma offrì una classe politica e di governo di cui non si può disconoscere l’importanza. E insieme con essa fornì la parte forse più qualificata della dirigenza del paese sia sotto il profilo tecnico ed economico che amministrativo. Le loro battaglie contribuirono non poco a rendere l’Italia un paese più moderno».
La galassia laica è sempre stata minoritaria nella politica italiana: non ha mai avuto – disse una volta Salvemini – né un soldo né un voto né un uomo. Eppure, nel dialogo e nella polemica con le culture politiche prevalenti ha lasciato un segno nella storia italiana. Stretto collaboratore di Ugo La Malfa, Battaglia offre una visione per nulla convenzionale del sistema dei partiti e del processo di caduta della Prima Repubblica. E con richiami spesso inediti puntualizza sia la grandezza e i limiti della sinistra laica sia il suo rapporto con le forze maggioritarie, da De Gasperi a Moro, da Togliatti a Berlinguer. La Repubblica di oggi – nella crisi dell’Unione Europea e nell’esaurirsi del disegno federalista – rende più necessario un equilibrio di tipo nuovo, che controbilanci la forza della Germania e la crescita delle tendenze nazionaliste attraverso la massima unità economica e politica dell’Occidente.
Adolfo Battaglia, editorialista politico del «Mondo» e di «Panorama», deputato dal 1972 al 1994, è stato capo del gruppo parlamentare del Partito repubblicano, presidente della commissione Finanze e Tesoro, due volte sottosegretario agli Esteri e quattro anni ministro dell’Industria in tre differenti governi. Tra i suoi libri: «La sinistra dei nuovi tempi» (Marsilio, 1997), «Fra crisi e trasformazione, il partito politico nell’età globale» (Editori Riuniti, 2000), «Aspettando l’Europa» (Carocci, 2007), «Verso la competizione globale» (con R. Valcamonici, Laterza, 1990).

P. Rattalino, Celeste e infernale. Beethoven e la musica del Congresso di Vienna – Laterza, Roma-Bari, 2015, pp. 160, euro 16,00
«Reverendissimo Abate, il concerto del signor Beethoven ha avuto luogo e mi ha messo in un tale subbuglio che fatico a dare ordine ai miei sentimenti. Che cosa vuole Beethoven? Non è ancora del tutto chiaro per me, ma è chiaro che vuole qualcosa di completamente nuovo, che vuole una rivoluzione copernicana, che vuole contare anche per le sue idee, non solo per la sua musica. Si possono trasmettere idee attraverso la musica strumentale, senza le parole?»
È il 1814, siamo a Vienna, è in corso il Congresso che ridisegnerà la carta dell’Europa come la vorranno i vincitori di Napoleone – lo zar, l’imperatore d’Austria, il re d’Inghilterra, il re di Prussia. Un giovane, che è arrivato nella capitale al seguito del Segretario di Stato del Papa, scrive a suo zio del Congresso e del clima politico e artistico viennese. Attraverso le sue lettere scopriremo la musica di Beethoven, autore di sinfonie dalla dirompente carica innovatrice. È un momento di svolta: da qui in poi la musica non sarà più affare di pochi aristocratici. Il virtuosismo diventa in questo momento la chiave di volta per la conquista di un nuovo pubblico borghese. Le regolari stagioni sinfoniche e le regolari stagioni da camera che si diffonderanno ovunque nella seconda metà dell’Ottocento hanno una delle loro più importanti radici nella Vienna del Congresso. Fa da contraltare alla potenza di Beethoven, la musica di Schubert, l’‘escluso’, il prodigioso giovane musicista incapace di farsi largo nel mondo e di cui il mondo non s’accorge.

P. Brown, «Per la cruna di un ago». La ricchezza, la caduta di Roma e lo sviluppo del Cristianesimo 350-550 d.C., – Einaudi, Torino, 2015, pp. 866, euro 36,00
Con questo libro Peter Brown affronta senza ambiguità uno dei grandi paradossi della storia dell’Occidente. Utilizzando magistralmente fonti alte e archivi «bassi» – elaborazioni dottrinali di matrice teologica, disposizioni del diritto canonico e materiali spuri tratti dalla vita quotidiana di comunità e personaggi minori – il grande storico scrive la prima vera e propria storia economica del cristianesimo e della chiesa delle origini. Al centro del libro la condizione paradossale per cui se anche la rinuncia, il dono e la povertà si trovano al cuore dei Vangeli, la chiesa, che su quei testi si è edificata, è diventata, nel corso dei secoli, una delle piú formidabili potenze economico-finanziarie della storia. Lungi dal gridare allo scandalo, Brown cerca di spiegare come mai un’istituzione nata sul presupposto secondo cui la vera vita si colloca nel mondo altro della promessa, e che questo mondo, con i suoi beni, lusinghe e tentazioni, è da rigettare, proprio a questo mondo si è adattata con tutte le sue forze, insediandovisi e organizzandosi anche e soprattutto come potenza economica e politica. Due i fenomeni studiati dall’autore. Da un lato il flusso di ricchezza, poteri, ruoli e funzioni di comando e controllo dalla grande aristocrazia terriera alle alte gerarchie ecclesiastiche. Dall’altro, e specialmente, le condotte e scelte di vita di una «moltitudine sinora inosservata». La ricchezza della chiesa si spiega soprattutto guardando «verso il basso, verso un mondo di cui si sapeva molto poco solo fino a pochi anni or sono», formato da umili e poveri che parteciparono allo sviluppo della cristianità latina contribuendo all’allestimento di nuove strutture sociali sottomesse alla guida della chiesa a cui chiesero di garantire cura, protezione e conduzione in un’epoca di grandi angosce e inquietudini, che segna la fine di un mondo e l’inizio di un altro, che ormai non potrà piú essere, però, un «mondo altro», concentrato come sarà sulla propria riproduzione e conservazione.

L. Canfora, Augusto figlio di Dio – Laterza, Roma.Bari, 2015, pp. 576, euro 24,00
Al tempo di Marco Aurelio, un colto funzionario egiziano, Appiano di Alessandria, sentì il bisogno di scrivere per un pubblico orientale una Storia di Roma, in larga parte incentrata sulle guerre civili e soprattutto sulla carriera di Augusto. Per il periodo successivo alla morte di Cesare (15 marzo 44 a.C.) è la nostra fonte più ampia e di gran lunga più completa. La domanda capitale è: come fa questo bravo dilettante a conoscere i più riservati dettagli e le situazioni più delicate e segrete di cui talvolta il solo Augusto fu testimone?
«Questo ragazzo deve tutto al suo nome» diceva di lui Marco Antonio, che lo disprezzava, a torto sottovalutandolo. Però era vero, e Augusto ne era talmente consapevole da affrettarsi a promuovere, non appena gli fu possibile, la divinizzazione di Giulio Cesare, padre suo adottivo, come caposaldo del suo potere.
Il capolavoro di Augusto è stato imporre l’immagine di sé come vero e coerente erede e continuatore dell’opera di Cesare, ormai divinizzato, mentre in realtà la trasformava, se non nel suo contrario, certo in altro. Divus Iulius e mummia di Lenin nel mausoleo sulla Piazza Rossa sono fenomeni che si richiamano l’un l’altro. Quella di Augusto è la tipica parabola del potere scaturito da una rivoluzione e approdato a una forma originale di restaurazione: ragion per cui, nel concilio degli dei immaginato dall’imperatore Giuliano, Augusto viene apostrofato come ‘camaleonte’.
Questo libro recupera, attraverso fonti greche solo parzialmente esplorate, pagine cruciali dell’Autobiografia di Augusto, abilmente apologetica, scritta nel 25 a.C., quando egli aveva ormai definitivamente consolidato il suo potere monocratico, pur nella raffinata finzione di aver restaurato la repubblica.