In libreria: Le crociate ai tempi di Bisanzio

a cura di Alessandro Frigerio -

Cover BegamoIl concetto di crociata ha uno spettro d’azione piuttosto ampio. Furono crociate le otto tradizionali messe in piedi per la liberazione del santo sepolcro, combattute con esiti diversi tra il 1096 e il 1270. Ma lo furono anche le spedizioni militari per combattere i nemici interni della cristianità, in particolare gli eretici: si pensi, ad esempio, alla crociata contro gli albigesi nella Francia meridionale, nel primo decennio del XIII secolo. Insomma, il concetto e il movente ispiratore sono stati quanto mai vari, tenuti però insieme dal comune denominatore di una tenace volontà di difendere la religione cattolica – e gli interessi delle gerarchie ecclesiastiche, naturalmente – dalla concorrenza esterna (musulmana) ed interna (eresie).
A questo quadro se ne aggiunge un altro, indagato oggi da un appassionato studioso italiano del mondo bizantino, Nicola Bergamo. In un breve saggio da poco disponibile in formato digitale (La morte pallida dei saraceni. Le “crociate” di Bisanzio – Amazon ebook Kindle 2013, pp. 35, euro 0,99), Bergamo spiega come il concetto di “guerra santa” faccia parte anche della storia dell’impero romeo. Ne è parte non solo per il culto dei santi militari, invocati come protettori in guerra e le cui icone erano mostrate agli eserciti bizantini prima di ogni battaglia. Ma anche per almeno due episodi bellici specifici: la guerra di Eraclio contro i Persiani (602-638), conclusasi con il successo nella battaglia di Ninive, e le guerre di conquista di Niceforo Foca (963-969). Due conflitti in cui la posta in gioco era di carattere simbolico-religioso solo per la parte bizantina, essendo nel primo caso i Persiani seguaci dello zoroastrismo e quindi interessati a Gerusalemme solo per la sua importanza strategica, e nel secondo perché si trattò di una sorta di parziale reconquista di territori, da Creta ad Antiochia, che contribuì a far venir meno la pressione araba sull’Anatolia.
Scrive l’autore che i «due esempi bizantini di “pre-crociata”, sono riconducibili ad una guerra santa per due ragioni differenti. La prima è una risposta alla distruzione di Gerusalemme che trasforma tutta la controffensiva bizantina in una vendetta cristiana, mentre la seconda è una campagna militare contro gli Arabi con richiesta di martirio per i soldati che sarebbero morti combattendo gli infedeli. In tutta la storia di Bisanzio solamente questi due esempi possono essere vagamente ricondotti al concetto di crociata occidentale. Eraclio venne visto come il liberatore di Gerusalemme, colui che sconfisse i novelli faraoni e le armate di Babilonia. Niceforo Foca, invece, fu promotore di una guerra totale contro gli Arabi con la convinzione che i suoi soldati caduti sul campo meritassero il paradiso e il titolo di martiri».
Nicola Bergamo, La morte pallida dei saraceni. Le “crociate” di Bisanzio – Amazon ebook Kindle 2013, pp. 35, euro 0,99 (il volume può essere acquistato cliccando sull’immagine di copertina)

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F. Cardini e S. Valzania, La scintilla. Da Tripoli a Sarajevo: come l’Italia provocò la prima guerra mondiale – Mondadori, Milano 2014, pp. 208, euro 19,00
All’inizio di agosto del 1914 scoppia la prima guerra mondiale. L’Italia rimane estranea alle ostilità fino al 24 maggio 1915, ma le sue responsabilità in relazione al conflitto sono molto gravi e risalgono a qualche tempo prima. Nel 1911 l’Europa è infatti in un sostanziale equilibrio, lo sviluppo economico è tumultuoso e le grandi potenze hanno risolto quasi tutti i loro contrasti coloniali: l’unico elemento di instabilità viene dall’impero ottomano, il cui collasso porterebbe a conseguenze imprevedibili. In particolare è preoccupante la situazione nei Balcani, dove i nazionalismi serbo, bulgaro, greco e rumeno aspirano a un riassetto generale della regione a spese dei territori appartenenti a Costantinopoli. Dopo oltre un quarantennio di pace fra le potenze del continente, è l’Italia che riapre la stagione dei conflitti, invadendo le province ottomane di Tripolitania e Cirenaica. Giolitti, indifferente ai problemi continentali, è alla ricerca di una vittoria militare di prestigio che taciti le opposizioni di destra e rifiuta ogni offerta di cessione di fatto dei territori avanzata da Costantinopoli, conservandone la sovranità nominale, sull’esempio dell’Egitto e dell’Algeria, da anni protettorati inglese e francese. Nasce così l’impresa di Libia, inutile e proditorio attacco all’impero ottomano.

R. Alonzi, Stalin e l’Italia (1943-45). Diplomazia, sfere di influenza, comunismi – Rubbettino, Soveria Mannelli 203, pp. 299, euro 18,00
Stalin non aveva mire sull’Italia ma mirava ad un’Italia politicamente stabile, non semplicemente neutrale, ma indipendente. La realtà del controllo militare alleato sulla penisola contraddiceva tale visione. La condotta anglo-americana rallentava la guerra contro la Germania e metteva in pericolo l’instaurazione della democrazia in Italia, concepita in termini di antifascismo ma non di sovietismo. Con la ripresa delle relazioni dirette, Mosca indicava al governo italiano un preciso percorso per il dialogo bilaterale, invitando gli italiani a non identificare la politica sovietica con la diffusione del comunismo. I sovietici gettavano le basi per una futura politica e non per un accordo transitorio; stava alla nostra diplomazia valutare l’utilità di intraprendere o meno tale percorso.

M. Cerri, Papà Cervi e i suoi sette figli. Parole della storia e figure del mito – Rubbettino, Soveria Mannelli 2013, pp. 203, euro 14,00
Il 28 dicembre del 1943 al poligono di Reggio Emilia i fascisti fucilavano i sette fratelli Cervi. Dal momento immediatamente successivo alla loro morte fino ai nostri giorni la loro storia è stata narrata da romanzi, saggi storici, opere teatrali, articoli giornalistici, discorsi commemorativi, poesie, epigrafi, canzoni, fotografie, dipinti, sculture, opere cinematografiche e documenti filmati. Questo testo è una ricerca storico-filologica delle parole, delle metafore, delle immagini attraverso le quali è stata raccontata la loro vicenda e ed è stato descritto il vecchio padre Alcide, unico maschio adulto della famiglia sopravissuto e destinato all’innaturale ruolo di testimone della memoria dei figli. Le parole della storia e le figure del mito si sono nel corso del tempo sovrapposte e contaminate, rendendo labili e incerti i confini tra reale e immaginario, concretezza materiale e simbolo, referenza storica e costruzione mitologica. E hanno accompagnato rituali collettivi, veri e propri pellegrinaggi laici che hanno reso omaggio all’esemplarità della storia dei Cervi e ne hanno alimentato la leggenda.

M. Longo Adorno, Storia della Finlandia contemporanea. Il percorso della modernità e l’integrazione nel contesto europeo – Franco Angeli, Milano 2014, pp. 208, euro 28,00
L’idea di uno stato nazionale finlandese ha seguito un proprio percorso evolutivo autonomo durante i secoli, passando attraverso il lungo periodo del dominio svedese e la fase dell’autogoverno come Granducato autonomo all’interno della Russia zarista, rafforzandosi gradualmente, per sfociare negli eventi grandi e tragici del XX secolo forieri della nascita dello stato nazionale finlandese indipendente.
Il volume evidenzia come la compagine nazionale finlandese sia stata in grado di difendere e preservare la propria identità specifica né scandinava né est-europea all’interno di un’Europa che ha riscritto più volte il proprio percorso identitario a partire dalla fine del primo conflitto mondiale, influendo potentemente, con effetti sia diretti che indiretti, sulle vicende politiche, economiche e culturali dello stato finlandese contemporaneo.

C. Casanova, Regine per caso. Donne al governo in età moderna – Laterza, Roma-Bari 2014
Per molto tempo la cultura europea ha sottovalutato, considerandole marginali, molte esperienze di governo di regine o reggenti. Solo recentemente gli studi hanno riconsiderato la ‘mostruosità’ della trasmissione dinastica del potere alle donne e hanno messo in dubbio che il principio che legittimava l’esclusione fosse fondato su ragioni legate al sesso per una divisione ‘naturale’ dei ruoli di genere. I casi delle impreviste successioni femminili al trono sono state rappresentate, nel Medioevo e nella prima età moderna, da ritratti a tinte fosche: sovrane schiave di vizi innominabili, inadeguate a esercitare il comando, incapaci per natura di essere alla testa di eserciti, facili prede di passioni incontrollate, streghe, avvelenatrici o incestuose. Se il governo andava a una donna ne derivavano effetti di instabilità e di disordine. Per controversie relative a contestate successioni femminili vennero combattute, ad esempio, la guerra dei Cento anni, le guerre d’Italia e la guerra settecentesca che contrastò il trono a Maria Teresa d’Austria. Le colpe attribuite al disordine sessuale e alla sfrenatezza femminile sono voci del lungo catalogo dei topoi misogini che hanno radicato a lungo nel senso comune l’associazione tra crisi politiche e comportamenti irragionevoli e disordinati delle donne. La pretesa anomalia della regalità femminile è stata un’eccezione felice solo quando le sovrane non erano né propriamente donne né propriamente sessuate: guerriere ‘virili’ o sante donne, emule della vergine Maria o della casta Diana.

C. King, Odessa. Splendore e tragedia di una città di sogno – Einaudi, Torino 2013, pp. 322, euro 30,00
A partire dalla sua fondazione, nel 1794, fino a oggi, Odessa ha lottato per sopravvivere tra i due opposti poli del successo e dell’autodistruzione. Come molte altre vivaci città portuali e come molti tessuti urbani multiculturali, essa ha sempre liberato i suoi demoni più vitali, quegli spiritelli che incarnano le muse palpitanti della società metropolitana e i creatori instancabili dell’arte e della letteratura. Spesso, tuttavia, ha lasciato emergere anche i lati più oscuri, quelli che stanno in agguato nei vicoli e bisbigliano parole di odio religioso, invidia di classe e vendetta etnica. Quando tutto andava per il meglio, Odessa era in grado di formare artisti e intellettuali il cui talento seppe illuminare il mondo. Quando invece tutto crollava, il nome della città divenne sinonimo di fanatismo, antisemitismo e bieco nazionalismo. Questo libro segue l’arco della storia di Odessa sin dagli albori della sua esplosione urbanistica, passando dalle tragedie che hanno costellato il XX secolo, fino a quella che si può considerare la sua consacrazione al regno del mito e della leggenda. Intende tracciare la storia attraverso cui generazioni di odessiti, nativi o trapiantati, hanno costruito una città con un assetto unico nel suo genere, un luogo chiamato a diventare il porto più ambito della Russia e la fonte di ispirazione di scrittori come Aleksandr Puskin e Isaak Babel’. La storia della città si intreccia con quella di alcune vite individuali emblematiche…

M. Porret, Beccaria, il diritto di punire – Il Mulino, Bologna 2014, pp. 120, euro 11,00
A Cesare Beccaria (1738-1794), giurista, uomo di lettere, economista, non si deve solo l’abolizione della tortura. Il suo celebre trattato (1764) ebbe enorme fortuna nel mondo: Thomas Jefferson e i padri fondatori degli Stati Uniti lo lessero direttamente in italiano; in Francia incontrò l’apprezzamento di Voltaire e dei filosofi dell’Encyclopédie che lo tradussero. Questo sintetico profilo ne illustra la figura e l’opera, e ci ricorda come il riformismo beccariano abbia ispirato i governi illuminati, e posto le basi del diritto penale moderno. Michel Porret insegna Storia moderna nell’Università di Ginevra. Si occupa di cultura e delle pratiche giuridiche dell’Illuminismo ed è coredattore di numerose riviste internazionali. Tra i suoi libri: «Le crime et ses circonstances» (Droz, 1995) che ha ottenuto il Prix Montesquieu.