In libreria: Le cinquanta morti di Mussolini

 di Dis -

CoverLa morte di Benito Mussolini ha da sempre attirato l’attenzione degli storici e non solo. L’unica cosa certa pare costituita dalla eliminazione fisica del dittatore, assieme a quella di Claretta Petacci, e dalla ignobile esposizione, a piazzale Loreto, dei corpi martoriati, appesi per i piedi al ludibrio della gente.
Comportamento che già da solo si presta a considerazioni tutt’altro che simpatiche (almeno per quanto mi riguarda) circa il comportamento di chi, liberatisi gli italiani dal dittatore di turno, intende dare libero sfogo alla vendetta.
E la vendetta in genere non va troppo per il sottile, non solo, ma di solito riguarda sia coloro che dal dittatore e dai suoi accoliti sono stati vessati, sia chi, amico e sostenitore del regime, nella cattiva sorte cerca di accreditarsi quale oppositore di lungo corso.
E di acquisire meriti quanto meno discutibili.
Il caso Mussolini non fa eccezione, neppure per quanto concerne la cancellazione delle celebri iscrizioni sui muri delle sue pillole di saggezza elaborate con spirito di formazione del popolo –  di un popolo che doveva credere obbedire e combattere – oppure le immagini scultoree del dittatore, ovviamente nelle pose più eroiche e retoriche almeno quanto alcune delle liriche a lui dedicate, filastrocche per bambini comprese.
Ci sarebbe da fare più di una considerazione sull’abitudine di tentar di fare sparire dalla storia quello che i perdenti hanno fatto, nel bene e nel male, ma credo sia operazione inutile: tirar giù una statua e dimenticare di intitolare una strada dai più sembra opera meritoria.
Ed è quasi una nemesi storica: il dittatore che moltissimi (ma non tutti) dicono di voler dimenticare continua a richiamare l’attenzione su di sé attraverso il mistero della sua morte, della quale esistono tante versioni almeno quanti sono stati coloro che ne hanno rivendicato il merito.
Anche per questo, il lavoro di Marco Delpino merita attenzione. Con la pazienza e l’impegno e la cura di un cronista di razza, prima ancora che di uno storico vero e come tale imparziale, il Delpino immerge letteralmente il lettore in una selva di documenti, di scritti, di foto, di colloqui e lo guida, quasi filo d’Arianna, alla scoperta della loro logica, oltre che del loro susseguirsi e della natura dei personaggi, sì che l’opinione di ciascuno possa formarsi in totale libertà, sulla scorta della conoscenza dei fatti e della valutazione di essi “lì e allora”, prima ancora che “qui ed ora”.
Ed è, questa un’operazione di assoluta fede nella libertà e nella democrazia, entrambe impossibili – o comunque malate – senza la conoscenza.
Da ultimo, gli argomenti sono tratti in modo semplice ed esaustivo. L’Autore anche per questo si distingue da moltissimi giornalisti e scrittori e da quasi tutti gli storici italiani: il rifuggire dal cripticismo ad ogni costo quale simbolo dello status di studioso colto.
Il libro si legge d’un fiato.
Marco Delpino, Mussolini: l’uomo che morì cinquanta volte – Edizioni Tigulliana, Santa Margherita Ligure 2016, pp. 133, euro 10,00

 

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G. Brizzi, Canne. La sconfitta che fece vincere Roma – il Mulino, Bologna 2016, pp. 200, euro 15,00
216 a.C., Canne, Apulia-Puglia: è qui che, nel corso della seconda guerra punica, le truppe di Annibale annientarono un esercito romano di dimensioni quasi doppie. Un capolavoro tattico, tuttora studiato nelle accademie militari. Il libro racconta il contesto storico in cui maturò la battaglia (vale a dire la discesa in Italia dei Cartaginesi), analizza la composizione delle forze in campo, descrive lo svolgersi dello scontro e ne mette in luce le conseguenze sull’andamento della guerra. Ironia della sorte, per i Romani la sconfitta, e gli insegnamenti che ne trassero, prepararono la vittoria che, quattordici anni dopo, Scipione riportò sui Cartaginesi a Zama.

H. Hetriès, Italia 1866. Storia di una guerra perduta e vinta – il Mulino, Bologna 2016, pp. 352, euro 25,00
Dichiarata all’Austria da Vittorio Emanuele II il 20 giugno 1866 e conclusa il 3 ottobre con la pace di Vienna, la terza guerra d’indipendenza è stata a lungo sostanzialmente identificata con due sconfitte: quella di terra a Custoza il 24 giugno, e quella sul mare a Lissa il 20 luglio, appena temperate dall’effimero successo di Garibaldi a Bezzecca. Ciò ha relegato in secondo piano il fatto che con l’acquisizione del Veneto essa costituì una tappa fondamentale del processo di unificazione. Una guerra insomma al tempo stesso «perduta e vinta», che il libro affronta sotto una luce nuova, riportando al centro lo svolgimento concreto della campagna militare e l’esperienza dei soldati che la combatterono.

M. M. Paolini, Il ragazzo della quinta. Dalla Breda a Fossoli, vita e morte di un gappista – Mursia, Milano 2016, pp. 146, euro 14,00
La storia sconosciuta di un gappista ragazzino che s’intreccia con il grande affresco della Resistenza operaia nella Stalingrado d’Italia, Sesto San Giovanni. Felice Lacerra ha solo quattordici anni quando, nel 1941, entra come apprendista operaio nella V sezione Aeronautica della Breda. Nelle fabbriche di Sesto San Giovanni sono attive cellule clandestine del Partito Comunista e del suo braccio armato, i GAP (Gruppi di Azione Patriottica).
Felice fa la sua scelta e si arruola nelle fila della Resistenza. Arrestato dopo l’attentato alla Casa del Fascio di Sesto, viene mandato prima al Macello di Monza, poi a San Vittore e quindi al campo di Fossoli. Il 12 luglio 1944 viene fucilato al poligono di Cibeno insieme ad altri sessantasei prigionieri. Felice era, con i suoi 17 anni non ancora compiuti, il più giovane.

E. Grassia, Sabato Martelli Castaldi. Il generale partigiano – Mursia, Milano 2016, pp. 376, euro 20,00
La parabola tragica ed eroica di Sabato Martelli Castaldi, classe 1896, soldato pluridecorato della Grande Guerra, aviatore, fascista ante marcia. Artefice della costituzione della Regia Aeronautica e uomo di fiducia di Italo Balbo, di cui divenne Capo di Gabinetto, viene esonerato e congedato per un rapporto al Duce in cui, da generale di brigata, denuncia duramente le lacune e l’impreparazione tecnica dell’aviazione.
Isolato e perseguitato, dopo l’8 settembre aderisce al Fronte Clandestino Militare e, con il nome di battaglia di partigiano Tevere, compie azioni contro l’occupante tedesco. Arrestato dalle SS, viene rinchiuso nel carcere di via Tasso da dove uscirà per essere fucilato alle Fosse Ardeatine.
La biografia di un uomo emblematico di una generazione di militari che, illusi dal fascismo, non hanno rinunciato al loro onore e al loro senso di responsabilità verso la Patria pagando, per questo, il prezzo più alto.

D. Hume, Libertà e moderazione. Scritti politici – Rubbettino, Sveria Mannelli 2016, pp. 314, euro 19,00
Gli scritti politici di David Hume, raccolti in questa prima edizione italiana integrale e completa, sollevano questioni scomode, difficilmente collocabili nelle classificazioni canoniche della storiografia moderna e contemporanea, che ha sin qui delineato dello Hume politico un’immagine di pensatore ambiguo, indecifrabile, persino “inquietante”. Ciò nonostante, le sue idee sull’origine dello Stato e dell’obbedienza politica, la sua visione della libertà, della proprietà, della giustizia, della natura immutabile dell’uomo, delle istituzioni, del libero mercato, della stabilità politica e delle relazioni internazionali, oltre ad iscriverlo di diritto nel novero dei principali teorici politici moderni, costituiscono anche una preziosa fonte di ispirazioni per lo sviluppo del liberalismo e, soprattutto, del conservatorismo. Hume, infatti, si rivela il primo, vero conservatore dei tempi moderni, per avere inaugurato, anticipando di qualche decennio le tesi controrivoluzionarie di Edmund Burke, un conservatorismo “politico” nel vero senso del termine, libero dall’influenza del tradizionalismo religioso e basato sulla difesa dell’ordine, della sicurezza e dell’interesse della nazione, su una visione realistica dell’esperienza politica e sulla diffidenza verso il radicalismo, lo spirito di innovazione violenta, l’arroganza razionalista, la retorica ideologica e il fanatismo settario.

Italo Moscati, Fellini & Fellini. L’inquilino di Cinecittà – Lindau, Torino 2016, pp. 272, euro 24,00
Negli anni infantili trascorsi nella provincia romagnola, sul mare di Rimini, quando Charlot arrivava nei cinema e conquistava tutti con le sue comiche gentili, Federico Fellini coltivava un sogno. Erano gli ultimi anni ’20 e i primi anni ’30. L’eco della prima guerra mondiale era ancora nell’aria, nasceva Cinecittà e con essa un kolossal, Scipione l’Africano, girato con diecimila comparse, centinaia di elefanti e cammelli nella piana di Sabaudia appena bonificata dalle paludi. La radio trasmetteva strazianti canzoni d’amore che annunciavano una dolce vita raccontata da tante commedie eleganti ambientate nei grandi magazzini appena aperti nelle città. Una prima dolce vita che morì con la seconda guerra mondiale e il suo carico di lutti. Fellini si nascose a Roma. Aveva raggiunto la capitale per fare il cinema e Rossellini, il regista di Roma città aperta, gli diede l’occasione che lo portò a girare il primo film. Più vite cominciavano, mescolandosi a quella sognata a occhi aperti che è durata carica di premi, tra cui gli Oscar, fino al 1993.

P. Mansel, Levante. Smirne, Alessandria, Beirut: splendore e catastrofe nel Mediterraneo – Mondadori, Milano 2016, pp. 470, euro 32,00
Che cosa hanno in comune lo storico marxista Eric Hobsbawm, il poeta Konstantinos Kavafis, il vice Führer Rudolf Hess e il futurista Filippo Tommaso Marinetti? Nulla, se non il fatto di essere nati ad Alessandria, la città più cosmopolita dell’Egitto. Un mondo a parte, un crogiolo di lingue, etnie e culture, dov’era possibile leggere gli ultimi romanzi pubblicati a Londra e Parigi, organizzare mostre di artisti di fama internazionale o mettere insieme collezioni archeologiche dal valore inestimabile. E, soprattutto, passare da un’identità a un’altra, da una lingua all’altra, liberandosi dai vincoli delle nazionalità e delle confessioni. Alessandria, la regina del Mediterraneo, ma non solo. Smirne, Salonicco, Beirut, città globali prima della globalizzazione, esempi aurorali delle città miste che caratterizzano il mondo contemporaneo. In una parola, il Levante: luogo d’incontro tra Oriente e Occidente, di dialogo e di confronto tra cristianesimo e Islam, ma anche di violenze laceranti, di genocidi e pogrom perpetrati in nome del nazionalismo o del fanatismo religioso. Se “multiculturalismo”, “assimilazione” e “integrazione” sono parole che spesso in modo astratto scandiscono da anni l’agenda del dibattito politico, c’è stato un tempo in cui esse testimoniavano di realtà concrete, tangibili, fatte di scambi e compromessi, di convivenza e di tolleranza, per quanto fragili e difficili da conservare.

G. Marcocci, Indios, cinesi, falsari. Le storie del mondo nel Rinascimento – Laterza, Roma-Bari 2016, pp. 226, euro 20,00
La scoperta dei nuovi mondi fu anche la scoperta di uomini mai prima d’allora apparsi nelle grandi storie universali.
Il racconto di questo libro, ricco di volti e di storie, si snoda dal Messico alla Cina, passando per le isole Molucche e il Perù, ma anche per le botteghe dei tipografi veneziani e le grandi corti rivali di Spagna e d’Inghilterra. Ci svela così un Rinascimento dagli orizzonti globali, in cui il recupero dell’antichità classica si accompagnò a una disorientante scoperta: le culture con cui gli europei erano entrati in contatto fra Quattro e Cinquecento avevano anch’esse un passato da decifrare.
Qual era la storia di popolazioni, come gli indios delle Americhe, di cui gli europei non avevano mai sentito parlare? In che modo spiegare le tracce di tempi lontani di cui non davano conto né la Bibbia, né gli autori greci e latini? Come riconciliare un’improvvisa molteplicità di storie con il crescente senso di unità del globo?
Le risposte che furono date a queste domande si misurarono con la difficile sfida della varietà del mondo che segna ancora il nostro presente.