IL PRESEPIO, DAL MEDIOEVO A NAPOLI

di Alessandro Lomaglio –

Ispirato alla Natività descritta dagli evangelisti Matteo e Luca, il presepio ha trovato in Franceso d’Assisi il suo vero artefice. Da allora si è sviluppata un’iconografia popolare che ha riscosso grande successo soprattutto in ambito partenopeo.

Il termine presepio, o il termine non toscano presepe, possono essere usati entrambi. Sono la rappresentazione plastica della Natività di Gesù. Ebbe origine in Italia durante il Medio Evo e si sviluppò rapidamente in tutti i paesi europei di religione soprattutto cattolica.
Le fonti storiche, alle quali si ispirarono gli artisti furono i Vangeli, sia nel testo originale sia nelle interpretazioni che ne diedero gli scrittori sacri. Non mancarono tuttavia nelle rappresentazioni elementi delle tradizioni cristiane, ad esempio la mangiatoia col fieno, la lettiera di paglia per il bue e l’asinello, ecc.
Etimologicamente, presepio significa recinto chiuso o greppia, mangiatoia, anche se alcuni studiosi ricorrono a un altro etimo, ma sostanzialmente tutti si equivalgono con gli opportuni adattamenti alle lingue e ai dialetti dei diversi paesi.
I due evangelisti, che hanno tramandato il racconto della nascita del Redentore, sono stati Matteo e Luca. Il racconto di Matteo, il pubblicano che esigeva il pedaggio sul Lago di Tiberiade, è succinto e mette in evidenza solo il mistero della maternità di Maria, avvenuta per opera dello Spirito Santo. Senza fornire ulteriori informazioni, passa all’episodio dei Re Magi, che guidati dalla stella cometa erano diretti alla grotta di Betlemme per adorare Gesù, re dei Giudei. Maggiore ricchezza di particolari sono forniti da Luca, medico e pittore di Antiochia, il quale, come tramanda una credenza cristiana, sembra che abbia saputo dell’evento direttamente da Maria, che insieme a Giuseppe era scesa da Nazaret a Gerusalemme, per ottemperare agli obblighi del censimento disposto da Roma. Non trovando un posto dove alloggiare, essendo affluita in città una massa imponente di gente, furono costretti a rifugiarsi in una grotta, dove Gesù, appena nato, fu deposto sul fieno nella mangiatoia. I particolari, riportati da Luca, hanno ispirato i pittori, che si sono cimentati nel rappresentare iconograficamente la nascita di Gesù. Le diverse raffigurazioni, se da un lato hanno rispettato il racconto evangelico, dall’altro si sono espresse in forme liberissime, perché ogni artista ha dipinto la sua Natività, ambientandola nel proprio tempo e nei propri luoghi.

Se, ad esempio, viene dipinto, uno sfondo paesaggistico, quasi certamente si tratta di un panorama noto all’artista, il suo villaggio, la sua vallata, i suoi monti, come pure gli abiti e le acconciature dei personaggi sono quelli della sua gente. Piero della Francesca nella Natività, che oggi si trova alla National Gallery di Londra, raffigura Maria vestita e pettinata come una nobile signora del ‘400 toscano; Giuseppe e gli altri personaggi, presenti nella scena, hanno acconciature, berretti, vestiti dell’epoca in cui visse l’artista, come anche gli strumenti musicali, suonati dagli angeli, sono tipici del proprio periodo.
Nei paesi di missione, nel presepio vengono esposti oggetti, personaggi, animali dei luoghi in cui vengono allestiti. Un esempio è dato da un presepio che raffigura un paese della Cina settentrionale, sepolto sotto la neve, dove si nota Giuseppe nell’atto di bussare a una porta per chiedere asilo. E’ vestito con una casacca di colore azzurro, simile a quella che indossano i contadini locali e porta i capelli secondo l’acconciatura del posto. Lo stesso si può dire dei paesi di missione, dove i neoconvertiti riescono ad esprimere interessanti forme di arte sacra del loro ambiente.
Numerose sono le Natività dipinte da artisti famosi, come quella del Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze, quelle di Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova e l’altra nella Basilica Superiore di Assisi, la grande tavola di Leonardo con l’Adorazione dei Magi, peraltro incompiuta, conservata nel Museo degli Uffizi a Firenze.
La raffigurazione della Natività più antica a noi pervenuta è un affresco scoperto nelle catacombe di Priscilla, sulla via Salaria, a Roma, risalente al III secolo. Il dipinto fu eseguito sul soffitto di una nicchia, che ospitava una tomba. La Vergine appare seduta col Bambino sulle ginocchia e accanto a lei c’è un uomo, probabilmente San Giuseppe o un profeta che indica una stella.

Va fatto presente che tutte le Natività anteriori al 1200 sono state dipinte su superfici piane, muri, tavole, tele, cartoni. Bisognerà attendere il 1220, quando Francesco d’Assisi al ritornò dal viaggio in Palestina, preparò a Greccio un presepio con una iconografia tridimensionale. La visita alla grotta di Betlemme lo aveva entusiasmato al punto che il suo pensiero spesso correva al modo di come onorare il Redentore, nato povero in una misera e gelida grotta. Alla fine decise che avrebbe allestito un presepio in una grotta simile a quella che aveva visitato in Terra Santa e lo avrebbe popolato con persone e animali vivi e con oggetti della vita quotidiana. Espose la sua idea ad una persona del posto che possedeva dei boschi nella zona rietina, di nome Giovanni Vellita, ritenuto “un uomo di buona fama e di vita anche migliore”, come ce lo tramanda Tommaso da Celano, l’autore della prima biografia di San Francesco. Giovanni condivise l’idea e si diede subito da fare. Dopo qualche giorno condusse Francesco a Greccio, poco distante da Rieti, e gli fece visitare la grotta che poteva essere utilizzata. Francesco rimase soddisfatto della scelta, perché quella grotta gli sembrò molto simile a quella di Betlemme. Insieme la ripulirono, vi trasportarono la mangiatoia col fieno, stesero a terra una lettiera per sistemare il bue e l’asinello, di cui nei Vangeli non è fatto cenno. Sulla mangiatoia posero una lastra di pietra, da servire come altare portatile, alla quale fino ad allora nessuno vi aveva fatto ricorso. Per questo Francesco chiese apposita autorizzazione a papa Onorio III, convinto anche lui che il nuovo modo di rappresentare la Natività di Gesù avrebbe avvicinato i fedeli a Dio.
Per la notte di Natale del 1223 tutto era pronto. Le campane dei villaggi della zona suonarono più a lungo del solito e fecero accorrere alla grotta una grande moltitudine di gente, a portare doni, come avevano fatto i pastori a Betlemme. Parteciparono alla cerimonia anche molti frati degli eremi della vallata, che pregavano e cantavano in coro insieme col popolo le lodi del Signore.
Nella grotta non c’erano Maria e Giuseppe, perché Francesco aveva voluto una scenografia semplice, povera e umile, che avesse al centro soltanto il Bambino. Terminata la veglia solenne, ciascuno tornò a casa “pieno d’ineffabile gioia”, come scrisse Tommaso da Celano.
La celebrazione del presepio di Greccio fu ripresa da San Bonaventura da Bagnoregio, che descrisse questa forma di rappresentazione della nascita di Gesù nella Leggenda Maggiore, che ispirò Giotto per l’affresco della Natività nella Basilica Superiore d’Assisi.

Ben presto il presepio diede impulso a una iconografia popolare, soprattutto nelle chiese cristiane, e indusse i fedeli ad allestire presepi anche nelle proprie abitazioni, completandoli con statuine ed elementi che si ispiravano all’ambiente locale.
Il passaggio dalla iconografia lineare a quella tridimensionale si verificò soprattutto nell’Italia meridionale, intorno al XVI secolo, in particolare nel napoletano.
Un incremento della celebrazione nel modo che aveva mostrato Francesco si ebbe dopo il Concilio di Trento, indetto da papa Paolo III, per promuovere le riforme della chiesa dopo la frattura luterana, anche lui convinto che quella tipologia di rappresentazione costituiva un valido supporto per trasmettere la fede in modo semplice ed efficace, molto vicina al mondo religioso popolare. Alla fine del 1800 e agli inizi del 1900 il presepio fece la sua apparizione anche in molte abitazioni private, sia nobili sia popolari, e divenne il simbolo intorno al quale si iniziò a celebrare il Natale. Un esempio è descritto realisticamente nella commedia Natale in casa Cupiello, di Eduardo De Filippo.
Oggi i presepi vengono ancora approntati in modo tradizionale; solo le statuine, un tempo di creta o di legno, adesso sono di plastica, materiale più duttile e facilmente colorabile. Già prima del ‘600 alcuni artisti avevano creato statuine in forma artistica, come quelle del presepio conservato presso la Basilica di Santo Stefano a Bologna, attribuite al “Maestro del Crocifisso”, che le scolpì con tronchi di tiglio e di olmo e che alla fine del 1300 vennero anche colorate.
A Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore è conservato un presepio risalente alla fine del 1300, le cui statue ad alto rilievo sono di marmo. L’opera è attribuita ad Arnolfo di Cambio, architetto e scultore toscano, il quale nel 1291 scolpì le statue, rifinendo solo la parte visibile dal visitatore, mentre sul lato opposto furono semplicemente abbozzate. L’opera, che fu ritenuta il primo esempio di presepio, è custodita nel museo della Basilica.

Tra i presepi più antichi di Napoli va menzionato quello che si trovava nella cappella, denominata “Del presepio”, nella chiesa di San Giovanni a Carbonara, ricco di statuette tradizionali di legno, che raffigurano anche profeti e sibille. L’opera è oggi custodita nel Museo di San Martino.
A Napoli l’allestimento del presepio divenne un’arte, alla quale si dedicarono soprattutto gli artigiani di via San Gregorio Armeno, al centro della città. L’arte del presepio napoletano si è mantenuta inalterata per secoli, diventando parte delle tradizioni natalizie.
A San Martino, sul Colle Sant’Elmo, fu deciso di istituire un museo per custodire rarità artistiche e scene intere della Natività, divenute oggetto di studi e di ricerche, perché mostrano ambienti, alimenti, vestiti, oggetti del 1700, di cui forniscono indicazioni molto precise. Nel tempo si susseguirono altri analoghi presepi, di cui soso state conservate soltanto alcune artistiche statuine.
La stagione d’oro del presepio napoletano si verificò nel 1700. Ne parlò ammirato anche Goethe nel Viaggio in Italia, dove descrive la rappresentazione del presepe come un “leggero palchetto a forma di capanna”.
Certamente il Museo del Presepio della Certosa di San Martino è un punto di riferimento per ammirare molti capolavori di quest’arte, dove i confini della grotta si sono ampliati fino a rappresentare il mondo profano esterno, taverne, banchi delle carni, dei salami, dei formaggi, della frutta e verdura, della pescheria, del panettiere, ecc. Oltre ai pastori sono rappresentati dei monaci, soprattutto francescani, e nobili, quali committenti dell’opera.
Una caratteristica del presepio napoletano è costituita da strani personaggi simbolici, come Benito, il pastore indolente, che gli angeli debbono svegliare per avvertirlo della nascita di Gesù. Nella smorfia napoletana per il gioco del lotto gli è stato attribuito il n. 57; l’oste Cicci Bacco, che richiama l’eucaristia per il pane e il vino ha avuto attribuito il n. 45; il pescatore, simbolicamente pescatore di anime, il n. 81. Un’altra statuina è il monaco, figura dissacrante, perché unisce il sacro e il profano contraddistinto nella smorfia col n. 37. Attenzione, non manca la meretrice, antitetica alla purezza della Vergine, contraddistinta col n. 78. E non poteva mancare la maschera napoletana, Pulcinella, a cui è stato attribuito il n. 75. Infine ci sono i re Magi, guidati dalla stella cometa fino alla grotta, che corrispondono al n. il n.34.
Venendo ai nostri giorni, nelle chiese continua in genere la tradizione di allestire il presepio; invece nelle case private l’uso è sensibilmente diminuito e addirittura annullato nelle scuole elementari pubbliche.

Termino con una breve digressione sulla Natività di Caravaggio, trafugata nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo e mai ritrovata, un’opera splendida, nella quale l’artista espresse tutta la drammaticità dell’avvenimento con un gioco di luci e di colori. E’ stato possibile riprodurla attraverso fotografie o copie fatte da qualche pittore prima del trafugamento, che l’artista aveva dipinta circa 350 anni prima. Ogni personaggio è rappresentato in atteggiamento spontaneo. San Francesco, vestito con un saio marrone adora il Bambino, adagiato sulla paglia. Il volto del Bambino e quello della madre sono illuminati da un raggio di luce, proveniente dall’alto. Accanto a San Francesco è messo di spalle San Giuseppe, piegato sulle ginocchia e avvolto in un mantello verde, che sembra dialogare con un frate raffigurato dietro San Francesco, inghiottito dal buio. A sinistra è posto San Lorenzo, al cui oratorio era dedicata l’ancona. Accanto a San Lorenzo è visibile a stento solo la testa del bue. Al centro della scena si trova la Madonna, china sulla mangiatoia dove è adagiato il Bambino, in atteggiamento rassegnato e malinconico forse, presaga del destino del figlio.
Sono tutte persone emarginate, che forse l’artista aveva notato nella kalsa, l’antico mercato arabo al centro di Palermo, brulicante di gente in un caotico disordine. Dall’alto del dipinto discende a capofitto un angelo, per ammonire che solo con la misericordia e la carità si può raggiungere il cielo.
Caravaggio ha dipinto l’opera secondo le linee del Concilio Tridentino con personaggi che testimoniano la carità, la miseria, l’umiltà e la disposizione di aiutare i più deboli e bisognosi.