IL POPULISMO NAZISTA E LA CRISI ECONOMICA TEDESCA: STORIA DI UNA RELAZIONE DIABOLICA

di Cristian Usai -

 

Spread, debito pubblico, spesa pubblica improduttiva. Fino a poco meno di venti anni or sono erano termini quasi sconosciuti. Perché rivestono un’importanza fondamentale? La storia insegna che ignorare i feedback del sistema economico può costare caro.

 

L’inizio della grande depressione degli anni Trenta del secolo scorso è, tradizionalmente, fatto coincidere con il crollo della Borsa di New York del 24 ottobre 1929 e con la seguente serie di “giornate nere”. Le ragioni di fondo che portarono nel 1932 il Nazionalsocialismo al potere in Germania vanno ricercate anche in questa pagina della storia economica mondiale. L’economia della Repubblica di Weimar, peraltro, attraversava una fase di difficoltà già dal 1928. Stati Uniti e Germania furono i paesi maggiormente colpiti dalla crisi che si protrasse, senza ripresa, fino al 1933. Una crisi senza precedenti. In epoca preindustriale, infatti, le crisi economiche erano meno cicliche ed erano spesso causate da guerre e carestie. Vi è oramai ampio consenso in letteratura circa le ragioni che condussero l’economia occidentale a tale situazione. La storica dell’economia Vera Zamagni articola cinque esplicativi fondamentali:
- L’instaurarsi di un mercato dei prodotti e dei fattori scarsamente flessibile, a causa dai mutamenti strutturali avvenuti negli anni ’20, aveva reso assai complicato risalire dopo uno shock.
- Reintroduzione del gold standard (sistema aureo) a condizioni squilibrate.
- Eccessiva enfasi del crollo della Borsa di New York quale causa principale della crisi economica.
- Politica monetaria statunitense particolarmente restrittiva che produsse panico finanziario, fallimenti a catena, deflazione in cerca di un prestatore internazionale di ultima istanza [ZAMAGNI 1999].
- Trasmissione della crisi agli altri paesi attraverso: gold standard; mancanza di coordinamento; caduta dei prezzi; travisamento dell’ortodossia fiscale; eccesso di protezionismo.
Quali furono le ripercussioni finanziarie? Fin dal 1931 si verificò una crisi del sistema bancario a livello internazionale. Il Creditanstalt, la più grande banca mista austriaca, fallì nel maggio 1931. Il governo austriaco intervenne con molto ritardo, nell’ottobre 1931, introducendo un controllo dei cambi e rendendo, de facto, il Creditanstalt una banca statale.
Tale ritardo ebbe delle conseguenze. Andarono in crisi le banche ungheresi e in breve tempo le difficoltà si spostarono in Germania. La Reichsbank perdette metà delle sue riserve auree. Nel luglio 1931 vi fu il crollo della Darmstadt (Danat Bank), la seconda banca mista del paese. Il Governo tedesco ordinò la chiusura degli sportelli bancari per tre settimane e, successivamente, attuò un piano di salvataggio del sistema bancario, rendendo lo Stato socio di maggioranza della Danat (fusasi con Dresdner Bank) e detentore di un terzo del capitale sociale di Deutsche Bank. La Reichsbank volle arginare la fuga di capitali attraverso una serie di misure, tra cui l’aumento del tasso di interesse del 10% nonché un’iniezione di liquidità nelle banche miste.
Inoltre, la Germania, ottenne una proroga, da parte del presidente americano Herbert Clark Hoover, del pagamento delle riparazioni di guerra. L’Italia fascista di Benito Mussolini non fu indenne dalla crisi bancaria. I direttori delle tre più grandi banche miste del paese chiesero al Duce un piano di salvataggio. Questi diede incarico al suo uomo di punta per le questioni economiche, Alberto Beneduce, di provvedere in tal senso. L’economista casertano organizzò dapprima l’Istituto Mobiliare Italiano, istituto pubblico specializzato nel credito industriale, successivamente, nel gennaio 1933, assieme a Guido Jung e Donato Menichella, fu tra i fautori dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), che avrebbe dovuto fungere da grande holding per la gestione delle partecipazioni azionarie. Nel 1936, infine, il Governo abolì le banche miste.
La Francia, invece, fu risparmiata dalla crisi a motivo della sua imponente riserva aurea pari al 24% dello stock mondiale.

Berlin, Propaganda zur Reichstagswahl

Propaganda elettorale a Berlino, luglio 1932

L’economia dei primi anni ’30 subiva un’involuzione epocale sia per l’assenza di cooperazione internazionale, sia per le politiche interne volte al pareggio di bilancio. Ciò produsse, in Germania, l’humus per l’ascesa del Nazionalsocialismo. La debole Repubblica di Weimar attuò politiche deflazionistiche che portarono ad un aumento indiscriminato delle imposte e ad un aumento incredibile degli interessi. L’economia del paese andò al collasso. Da cui la disaffezione del popolo verso siffatto sistema. Il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi ottenne un ampio successo alle elezioni del 1932.
Adolf Hitler fu chiamato al Cancellierato nel gennaio 1933. Una volta al potere si adoperò per riavviare gli investimenti nel settore edilizio e dei trasporti, restaurando la piena occupazione prima del riarmo su larga scala [ZAMAGNI 1999]. Lo strumento attraverso cui il regime raggiunse tale risultato fu, fondamentalmente, l’aumento della spesa pubblica, che arrivò, partendo dal 15% del reddito nel 1928, al 33% del reddito nel 1938.
L’aumento di spesa fu possibile grazie all’aumento del debito nei confronti della Reichsbank di Hjalmar Schacht. Il riarmo su larga scala iniziò nel 1936, con un piano quadriennale rafforzato nel 1938. Le risorse utilizzate furono in parte pubbliche, in parte provenienti dal mercato [ZAMAGNI 1999, SCHWEITZER 1977]. L’obiettivo del riamo era la guerra lampo, giacché Hitler non riteneva opportuno sottrarre risorse ingenti all’economia per finanziere politiche militari più impegnative. Altre fonti di finanziamento del riarmo furono l’autarchia e lo sfruttamento delle economie dei paesi dell’Europa centro-meridionale. Si tenga presente che la Germania dipendeva da paesi non controllati per quanto riguarda petrolio e metalli.

Come leggere gli eventi economici che portarono il Nazionalsocialismo al potere, e quali parallelismi esistono tra essi e l’attuale situazione politica dell’Italia? Va affermato, anzitutto, che il sistema capitalistico ha un andamento ciclico. Secondo la scuola dei cicli, il cui più noto esponente è l’economista Joseph Shumpeter, le ragioni della grande crisi economica del 1929 sono spiegabili proprio con la ciclicità del sistema. Inoltre, l’assenza di un governo internazionale della finanza impedì di direzionare un efficiente flusso di aiuti verso paesi come la Germania. Per quanto concerne i parallelismi con l’attuale situazione economica italiana, questa è così articolata:
- Debito pubblico (marzo 2018) di 2.302.340 milioni € [FONTE dati Banca d’Italia].
- Spesa pensionistica/PIL prevista (Scenario nazionale base) per il 2020 pari al 15,4% – nel 2015 era pari al 15,7% – [FONTE dati Ragioneria Generale dello Stato, giugno 2017].
- Pressione fiscale complessiva nel 2017 attestata al 42,4% [FONTE dati Istat].
- Tasso di inattività lavorativa nella fascia di età 15-64 anni (marzo 2018) pari al 34,31% [FONTE dati Istat].
Si tratta, evidentemente, di caratteristiche diverse da quelle della Repubblica di Weimar del 1932. Tuttavia, l’elemento che accosta due paesi così distanti, temporalmente e contestualmente, è il diffuso malcontento popolare. Un popolo, in maggioranza, insoddisfatto, preoccupato e arrabbiato è un ottimo bacino elettorale per le forze più populiste e demagogiche. È accaduto con Hitler, e le conseguenze sono note, e con i partiti che hanno “vinto” le elezioni politiche in Italia il 4 marzo 2018. Le ragioni alla base della vittoria del primo sono state sopra discusse. Riguardo ai secondi, oltre ad una campagna elettorale incentrata su proposte di politica economica rischiose, ma condivise dalla massa, la loro vittoria è dovuta in particolare alla trasmissione di un messaggio indifendibile, sotto qualsiasi punto di vista, circa il fenomeno migratorio. Messaggio, naturalmente, infondato esattamente come l’antisemitismo hitleriano.

Ad ogni modo, gli eventi caratterizzanti i due periodi storici in argomento sottolineano l’importanza dell’economia nel governo degli Stati. Tale importanza è, in momenti storici come quello presente, mal compresa dalla popolazione la quale è, facilmente, strumentalizzata dalla politica, e, condotta ad ignorare indicatori come lo spread, il debito pubblico, il problema della spesa pubblica improduttiva. Elementi, questi, i cui effetti ricadono, fatalmente, sulle future generazioni. Stanti i dati summenzionati, l’Italia non può permettersi la realizzazione di un programma, quello della coalizione di maggioranza nella XVIII legislatura, il cui costo è stimato (17 maggio 2018) tra i 108,7 miliardi € e i 125,7 miliardi € [FONTE Osservatorio conti pubblici italiani], e che promette soluzioni facili a problemi macroscopici aumentando in maniera esponenziale il consenso. Tipica prassi da Prima Repubblica.
Qual è, dunque, il dovere della parte colta e illuminata del paese? Infondere nella popolazione il dubbio, nel senso cartesiano del termine, e in tal modo coltivarne lo spirito critico. Peraltro, non è possibile pretendere dall’intera popolazione una conoscenza scientifica dell’economia, tuttavia, acquisendo sufficiente capacità critica, essa può riuscire a comprendere la velleità di certe proposte di politica economica. Norberto Bobbio ebbe a dire «Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze». Parole limpide e, quanto mai, attuali.

Per saperne di più
Schweitzer, Plans and markets: Nazi style, in «Kyklos», 1977.
Zamagni, Vera, Dalla rivoluzione industriale all’integrazione europea: breve storia dell’Europa contemporanea, Il Mulino, 1999