IL MILITE IGNOTO: LA NAZIONALIZZAZIONE DELLA MORTE

di Renzo Paternoster -

Il culto dei caduti per valorizzare la morte eroica dei “figli della Nazione”: un modo per elaborare il lutto collettivo e trasformare il sacrificio in una “religione della Patria”. Per i lettori di Storia in Network un estratto del saggio Guerrocrazia: storia e cultura della politica armata, firmato dal nostro storico autore.

Il sacrario militare italiano di Mignano Montelungo

Il sacrario militare italiano di Mignano Montelungo

La Rivoluzione francese, con la sua “idea di Nazione”, è stata il laboratorio della nostra modernità politica e sociale, un’officina che ha fabbricato anche un nuovo mito della guerra, quello fatto inizialmente dai volontari, poi dai coscritti, entrambi convinti di andare in guerra per adempiere a una missione sacra: realizzare il proprio destino e quello della propria Nazione.
Sulla base del richiamo ideologico della liberté, dell’ègalité e della fraternité, molti di questi soldati, chiamati a una sorta di “crociata patriottica”, considerarono l’arruolamento un’irripeti­bi­le occasione personale di elevazione sociale, assieme a una impareggiabile investitura pubblica per il destino della Nazione.
Cambia dunque l’immagine della guerra, perché si modificano gli scopi: ora non si combatte più per conto di altri (un sovrano o un signore), ma per se stessi, per difendere la nuova Nazione che il popolo stesso ha creato; ora la morte in guerra non è più considerata un evento individuale, bensì una circostanza pubblica che produce eroi che si immolano per la Patria.
La Rivoluzione dei francesi ha quindi spostato l’idea della morte in guerra in un sistema funzionale volto all’avvenire dei sopravvissuti e della Nazione: «I morti furono trasformati in simboli della Rivoluzione, assorbiti dal tema della libertà: la morte personale diviene un simbolo della libertà martirizzata. In vita come in morte, l’individuo si trovava riassorbito nello spirito della Rivoluzione». [N. Labanca, G. Rochat, 2006, p. 39].
Attraverso questa funzionalizzazione, inizia l’occultamento della morte in guerra, con la creazione del mito dei caduti.
Da questo momento la celebrazione della guerra e la sua giustificazione coinvolge non solo i vivi, ma soprattutto i morti: prende il via una secolarizzazione del concetto cristiano di morte e vita eterna, plasmato ora sull’idea della Nazione.

Se la morte nel cristianesimo è un passaggio fondamentale per la resurrezione eterna dello spirito, nella religione civile il “sacrificio totale” diventa il passaggio doloroso per la gloria della Nazione. Attraverso la funzionalizzazione della guerra si traspone nella religione civile la transustanziazione cattolica: se la sostanza del pane e del vino nel cattolicesimo si converte nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo, ora il corpo del soldato ucciso in guerra si trasforma in simbolo di martirio per la Patria e il suo sangue diventa concime indispensabile per perpetuare la storia della Nazione. In quest’ottica il mito del soldato caduto ha come obiettivo quello di restaurare nel popolo un nuovo senso di comunione, una unità mistica che costruisce e alimenta la nuova “religione della Patria”.
«Con lo sviluppo del culto del soldato caduto, […] la morte in battaglia del fratello, del marito o dell’amico diventò un sacrificio; e ora, perlomeno in pubblico, si affermava che il guadagno sopravanzava la perdita personale. Non si tratta soltanto del fatto che l’adesione agli scopi della guerra giustificava la morte per la propria Patria: la morte stessa era trascesa, giacché i caduti erano propriamente santificati, a imitazione di Cristo. Il culto dei caduti fornì alla Nazione i suoi martiri, e con il luogo del loro estremo riposo anche un tempio della religione nazionale, e offrivano alle generazioni successive un esempio da seguire. Anche in tempo di pace, il culto serviva di promemoria della gloria e della sfida che la guerra rappresentava». [G.L. Mosse, Le guerre mondiali, 2007, p. 38]
Il corpo del soldato anche nella rigidità della sua morte serve alla Patria, comunica, parla a chi resta come se fosse vivo: anche se egli non è più utile ai fini della battaglia, come guerriero, ora è testimone ed è affidato alla terra che lo ha visto nascere, affinché fiorisca nella realtà come superbo e immortale protagonista della storia della Nazione.
Si tratta dunque di una strategia che, con il concorso di tanti fattori (scuola, musei, toponomastica, arredo urbano) è utilizzata in quel processo di educazione ai valori della Nazione che è stato definito da George Lachmann Mosse «nazionalizzazione delle masse».
Questo modello di uomo che si sacrifica per la Patria non resta staccato dalla realtà, ma diventa operante attraverso l’uso dei simboli, che diventano l’oggettivazione visibile del mito. Non si tratta solo di racconti, cronache o canzoni, ma di opere di pietra che servono a sollevare ogni singolo cittadino al di sopra del­l’or­dinario corso della vita e della morte. Ecco nascere i monumenti ai caduti, che rendono gloria ai martiri della Nazione; i cenotafi, che sviluppano una mistica della morte eroica lontano dalla Patria; i cimiteri di guerra, i nuovi templi del culto nazionale che rimarcano il tema della terra natale che accoglie pietosa le spoglie dei suoi figli caduti.

El valle de los caidos, Spagna

El valle de los caidos, Spagna

Monumenti che hanno celebrato i grandi generali e le loro imprese sono sempre esistiti nella storia, ma da questo momento avviene un cambiamento sostanziale: da ora si inizia a celebrare anche la morte del soldato comune, anzi tutti i soldati indistintamente, come parte di una intera collettività che si è sacrificata in nome della Patria. In questo modo la morte in guerra inizia a realizzare quell’uguaglianza di status che era stata l’ambizione stessa del moto rivoluzionario francese.
Ciò che rende esclusivi i nuovi monumenti dedicati ai caduti delle guerre è l’ideologia che sta alla base di essi. Essi non servono solo a ricordare dei morti, ma propongono delle assimilazioni: i caduti sono identificati come eroi, come i garanti del dovere e come i custodi della fede verso la Patria, e criticare la guer­ra vuol dire offendere i “nostri” morti.
Questi monumenti, tuttavia, occultano la morte in guerra, cancellano la mattanza e, parlando ai sopravvissuti, mostrano al tem­po stesso una realtà distorta e un dato di fatto: presentano la morte non come un fatto puramente personale, bensì come un tributo alla Patria, un gesto valoroso che rende sacra l’anima del caduto; ricordano la fragilità dell’uomo che va in guerra e la crudeltà della battaglia.
Se il monumento rende gloria ai caduti per la Patria, il luogo del loro estremo riposo rappresenta il tempio della religione nazionale. Come le chiese servono per celebrare il Cristo e i suoi santi e, al tempo stesso, per praticare il culto, i sacrari militari servono a onorare il martirio del soldato e a officiare la liturgia della religione civica, diventando «una sorta di chiese panteistiche dedicate alla contemplazione della virtù» [G.L. Mosse, Le guerre mondiali, 2007, p. 90].
Il cimitero militare è certamente creato per rispondere alla necessità pratica di organizzare ordinatamente ed efficientemente il sistema di sepoltura, ma, in realtà, incontra da subito un’ap­pro­vazione, proprio per il valore simbolico che patrocina. La prima Nazione europea a sancire il diritto di ciascun singolo caduto in guerra ad avere un luogo di riposo perpetuo e comune con gli altri martiri della Patria, fu la Francia (legge del 29 dicembre del 1915). Negli Stati Uniti esisteva già un provvedimento sulla sepoltura dei militari morti in guerra. Un decreto votato dal Congresso il 17 luglio 1862 aveva previsto, infatti, che coloro che durante la guerra civile perdevano la vita in difesa della Repubblica, dovevano riposare in perpetuo entro l’area “sicuramente recintata” di un cimitero nazionale.
In quanto templi di una religione, i cimiteri militari hanno alcune caratteristiche particolari, che li differenziano da quelli civili. Innanzitutto sono nettamente distinti da quest’ultimi, in quanto la morte borghese è un fatto non pubblico ma privato, sprov­visto di ogni rilevanza nazionale. Inoltre è evidente l’uni­for­mità delle tombe e delle lapidi: la guerra affratella gli uomini, rendendoli uguali nel loro comune sacrifico per la Nazione.

A partire dalla Grande Guerra il cimitero di guerra occupa un posto centrale nel culto del soldato caduto. Infatti, con la Prima Guerra Mondiale, il mito del soldato immolatosi per la Pa­tria raggiunge la sua apoteosi: il culto dei caduti domina a lun­go gli anni del dopoguerra influenzando la politica e, facendo leva sugli aspetti irrazionali legati alla morte e alla psicologia di massa, le coscienze dei cittadini.
Un cimitero militare che più di ogni altro spiega meglio la funzionalità del soldato caduto è il Sacrario degli Invitti di Redipuglia, in provincia di Gorizia. L’opera cimiteriale ha in se un dop­pio senso: quello reale, in quanto custodisce i corpi veri di più di centomila soldati caduti nella Grande Guerra (risulta il più grande al mondo); in senso metaforico, perché, nella scelta del luogo (ai confini con l’Austria), si volle creare una frontiera eroica che corresse parallela alla linea della frontiera politica stabilitasi dopo il conflitto. Il grande sacrario, quindi, si propose come il baluardo perenne contro il nemico, e per questo fu considerato generatore inesauribile di valori patriottici per le generazioni future.
Fra i grandi cimiteri di guerra europei va­le la pena ricordare anche quello costruito in Spagna da Francisco Franco: El valle de los caidos. Iniziato nel 1940 vicino al palazzo reale El Escorial il monumento funebre al franquismo raccoglie più di trentatremila mila caduti. Fu inaugurato al pubblico nel 1958 e fu costruito in gran parte dai prigionieri repubblicani catturati dai falangisti. Oggi è considerato un vero e proprio monumento al franquismo e vi sono seppelliti il fondatore della Falange, Primo de Rivera, e lo stesso dittatore Francisco Franco.

La realizzazione del monumento al Milite Ignoto è l’evento che conferisce alla figura del soldato morto per la Patria la sua effettiva dimensione simbolica. Più che la costruzione della tomba, fu la liturgia della sepoltura a concentrare su di sé il simbolismo della Nazione e dei caduti, segnando il punto più alto dell’elaborazione della memoria di guerra. Questo monumento celebra ancora oggi la fedele obbedienza di tutti i caduti alla propria Nazione.
La maniera in cui il Milite Ignoto fu scelto fu abbastanza simile in tutte le Nazioni. La salma da tumulare nel monumento fu scelta casualmente all’interno di un gruppo di cadaveri di soldati caduti in combattimento, provenienti da diversi campi di battaglia. Chi sceglieva non doveva sapere a chi appartenesse il corpo, perché ciò che contava era anche l’anonimato del morire per la Patria. Una volta scelta, la salma fu trasportata con tutti gli onori e tumulata nel più importante monumento nazionale.
In Italia la salma del Milite Ignoto fu scelta a caso, tra dodici esumati ad Aquilea, da Maria Bergamas, una madre italiana orfana del figlio morto in guerra. I resti dell’anonimo soldato furono sepolti nel Vittoriano a Roma, prestigioso monumento che celebra l’intera stagione risorgimentale italiana.
In Francia ciascuna delle nove regioni militari esumò dai campi di battaglia un soldato anonimo. Le nove salme furono portate nella cripta della fortezza di Verdun, dove un sergente indicò il Milite Ignoto da seppellire a Parigi presso l’Arc de Triomphe all’Etoile, massimo simbolo nazionale fatto costruire da Napoleone per celebrare il suo esercito.
In Austria il Milite ignoto riposa a Vienna, nella Heldenplatz, la piazza esterna dell’Hofburg, centro del potere politico austriaco per più di due secoli.
In Germania a Berlino, nel mausoleo Neue Wache, fatto erigere da Federico Guglielmo III di Prussia, tra il 1816 e il 1818, come sede della Guardia reale e come monumento ai soldati tedeschi morti poco prima durante le guerre contro Napoleone.
In Inghilterra la salma del Milite Ignoto fu invece sepolta nell’Abbazia di Westminster. Poiché il sito non era il luogo adatto dove compiere delle commemorazioni in grande stile, nello stesso giorno in cui venne sepolto il Milite Ignoto, fu inaugurato il Cenotafio (dal greco κενός, “kenos”, vuoto e τάφος, “taphos”, tomba), che divenne il monumento ai caduti presso il quale celebrare i riti della religione civile.
La costruzione della tomba del Milite Ignoto, dei cimiteri militari e l’incessante costruzione di monumenti ai caduti negli anni del primo dopoguerra, riuscirono in quella incredibile trasformazione della realtà, che fece di una guerra sanguinaria una vicenda eroica e carica di significati patriottici.

Il cimitero militare americano di Nettuno

Il cimitero militare americano di Nettuno

Con la massificazione della morte ignota della Seconda Guerra Mondiale, gli eroi da celebrare sono pochi, anche se permane una tradizione militare che, attraverso l’encomio solenne della morte eroica, mantiene vivo il legame con il passato. Ora anche i civili guardano in faccia la morte e la guerra diventa ancor più lutto infinito.
Il secondo conflitto mondiale amplifica il senso della guerra, la sua realtà materiale che è fatta di violenza mortale: «la morte è ora data in maniera ‘impersonale’ da una tecnologia bellica che razionalizzava e rendeva seriale il gesto di uccidere» [N. Labanca, G. Rochat, 2006, p. 162]. Per questo, nella Seconda Guerra Mondiale la realtà stessa della guerra ebbe un carattere meno occulto della precedente. Stavolta i fatti della guerra stavano direttamente dinanzi agli occhi dei popoli; e ogni tentativo di mascheramento sarebbe comunque crollato di fronte alla tetra realtà dei bombardamenti delle città e dell’invasione: «L’orrore della guerra si manifestò là dove in precedenza era stato possibile tenerlo celato [e] i nuovi monumenti diventano promemoria delle conseguenze devastanti della guerra, piuttosto che della sua gloria. […]. Nella più ampia rassegna dei monumenti eretti dopo la seconda guerra mondiale si legge che il concetto dei caduti come vittime aveva sostituito l’antico ideale eroico». [G.L. Mosse, Le guerre mondiali, 2007, pp. 235-236].
La maggior parte dei sacrari militari in Italia narra la geografia della guerra nel nostro territorio e le Nazioni che hanno combattuto con e contro di essa. Tra i più grandi ricordiamo quelli sparsi lungo la Linea Gustav: il Sacrario Militare Italiano a Mignano Montelungo, a dodici km. da Cassino; il Cimitero del Commonwealth di Cassino sulla via per S. Angelo in Theodice; il Cimitero del Commonwealth di Minturno; il Cimitero germanico a Colle Marino, frazione di Caira; il Cimitero polacco a Montecassino; il Cimitero francese (Legione Straniera) a Venafro, a venti km. da Cassino; il cimitero militare americano di Nettuno e quello di Firenze.
Tuttavia, nei cimiteri militari del secondo dopoguerra «la memoria si ostina a restare divisa» [G. De Luna, Il corpo del nemico ucciso, 2006, p. 49], poiché ogni sacrario contiene le spoglie di soldati nemici distinti per nazionalità. In questo modo i nemici restano separati anche nella morte.

Per saperne di più

Paternoster R., Guerrocrazia. La cultura e la politica armata, Aracne, Roma 2014.
Audoin-Rouzeau S., Becker A., 1914-1918. Retrouver la guerre, Gallimard, Paris 2000, trad. it. La violenza, la crociata, il lutto. La Grande Guerra e la storia del Novecento, Einaudi, Torino 2002.
Bowker J., The meanings of Death, Cambridge University Press, Cambridge 1991, trad. it. La morte nelle religioni: ebraismo, cristianesimo, islam, induismo, buddismo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1996.
De Luna G., Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra contemporanea, Einaudi, Torino 2006.
Dogliani P., Redipuglia, in Luoghi della memoria, a cura di Isnenghi M., Laterza, Roma-Bari 1996.
Janz O., Klinkhammer L., a cura di, La morte per la Patria. La celebrazione dei caduti dal Risorgimento alla Repubblica, Donzelli, Roma 2008.
Labanca N., Rochat G., a cura di, Il soldato, la guerra e il rischio di morire, Edizioni Unicopli, Milano 2006
Miniero A., Da Versailles al Milite Ignoto. Rituali e retoriche della Vittoria in Europa (1919-1921), Gangemi Editore, Roma 2008.
Mosse G.L., Fallen soldiers. Reshaping the memory of the World Wars, Oxford University Press, New York 1990, trad. it. Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza, Roma-Bari 2007.
Winter J., Sites of Memory, sites of mourning. The Great War in European Cultural History, Cambridge University Press, Cambridge 1995, trad. it. Il lutto e la memoria. la Grande guerra nella storia culturale europea, il Mulino, Bologna 1998, ora 2000.