IL GALEONE SCOMPARSO NEL MAR DEI CARAIBI

di Mario Veronesi -

Mar dei Carabi, 2 novembre 1641. In questo giorno consacrato dalla pietà dei vivi e al culto dei morti, una nave carica d’oro e d’argento si inabissa nel mar dei Caraibi. Non è il primo né l’ultimo di una serie di disastri marittimi accaduti in queste acque, da sempre temute dai marinai di tutto il mondo. Acque cristalline che nascondono punte di corallo capaci di spezzare le chiglie più robuste e su cui si scatenano improvvisi uragani.

Nuestra Senòra de la Concepcion è la nave ammiraglia di una piccola flotta formata da otto vascelli fatti costruire a Vera Cruz da Diego Pachego duca di Escalona, nominato viceré del Messico nel 1640 da Filippo IV di Spagna. La potenza marittima spagnola è in declino, la flotta reale conta poco più di 25 navi in grado di effettuare i collegamenti con il Nuovo Mondo, e il nuovo governatore del Messico si adopera per colmare almeno in parte questa deprecabile situazione. Tuttavia, costruire in un solo anno otto galeoni e una fregata è uno sforzo impari per i cantieri messicani. Uno sforzo che si rifletterà, come vedremo, sulla sicurezza delle imbarcazioni e degli equipaggi.

3264568111_1c865c3139Il 23 luglio 1641 la flotta prende il mare in direzione di Cuba, dove si deve incontrare con altre navi prima di attraversare l’Atlantico con la squadra denominata Armada de Barlovento, in tutto 31 velieri pronti per a puntare verso l’Europa. Lasciano l’Avana soltanto il 13 settembre, dopo feste e balli organizzati per salutare le numerose autorità che rientrano in Spagna. La stagione dei cicloni è ormai alle porte. Il secondo giorno di navigazione la nave ammiraglia è costretta a rientrare precipitosamente nel porto di Cuba perché ha le stive piene d’acqua. Riparata alla meglio, in soli dieci giorni, la Nuestra Senòra de la Concepcion, riprende il mare per giungere all’appuntamento con l’uragano. Tre navi del convoglio colano subito a picco, altre vanno a schiantarsi contro la punta della Florida. Nuestra Senòra de la Concepcion viene disarmata dai flutti e dopo un’atroce agonia si schianta su quella formazione corallina che i piloti spagnoli chiamano Abreojos (“tieni gli occhi aperti”), la più terribile di tutta la zona, denominata anche, per i numerosi naufragi di navi spagnole che trasportavano argento verso l’Europa, “Banco d’Argento”. Delle 525 persone a bordo della nave ammiraglia, solo 200 riescono a sopravvivere. L’oro, l’argento e tutte le ricchezze che trasportava si inabissano.

I tesori recuperati da William Phips in una stampa del XIX secolo

I tesori recuperati da William Phips in una stampa del XIX secolo

Passano gli anni e la storia del galeone carico di tesori diventa leggenda, i pirati e i corsari delle Antille si affannano a cercarlo, ma soltanto William Phips, spregiudicato e intraprendene carpentiere di Boston divenuto contrabbandiere, che aveva conosciuto ad Hispaniola uno dei superstiti del naufragio, riesce a mettersi sulle sue tracce. Phips raggiunge il “Banco d’Argento” e localizza il relitto, ma non avendo a disposizione mezzi sufficienti deve desistere. Si sposta quindi a Londra per trovare i mezzi necessari a finanziare il recupero. Stipula così un contratto che assicura alla corona britannica un decimo di quanto sarebbe stato recuperato. Con due navi, il James and Mary di duecento tonnellate, armata di ventidue cannoni, e l’Herry of London più piccola e veloce, torna nel 1687 sul “Banco d’Argento”. Difficile descrivere le fatiche che questa caccia al tesoro procurò alle navi, ai marinai e ai sommozzatori, ma il risultato è al di sopra di ogni aspettativa. Oltre a lingotti e monete, un cofano pieno di perle, rubini, diamanti, gioielli, statue, e coppe di cristallo ripagano i cercatori delle loro fatiche e i finanzieri dei capitali impiegati. Tuttavia è chiaro che quello che è tornato alla luce non è che una piccola parte di quanto trasportava il galeone scomparso.

luzcoin1Tre secoli dopo, nel luglio del 1968, un’altra spedizione raggiunge la zona del naufragio. Jacques Cousteau con la sua Calypso inizia la ricerca del famoso relitto. Ora si possono effettuare ricerche subacquee con attrezzature e strumentazioni moderne e appropriate. Un primo ritrovamento è un cannone, simile a quelli che armavano i galeoni della flotta dell’oro. Successivamente vengono portati in superficie porcellane cinesi, numerosi vasi e tazze, oggetti fragili ma intatti. Non dimentichiamo che all’epoca delle flotte dell’oro, altri galeoni trasportavano merci dalle Filippine, merci che poi venivano trasbordate in Messico per poi arrivare in Europa.
Dopo settimane di ricerche, emergono numeroso sigilli di piombo: si sa che i marinai ponevano dei sigilli sui carichi più preziosi. Questo ritrovamento sembra il segnale del il bottino più atteso, l’oro. Sui sigilli ci sono dei fiori di giglio, e il fiore di giglio era l’emblema comune dei francesi e degli spagnoli. Un peso di piombo utilizzato per le bilance della nave si rileva però decisivo. All’epoca in cui era in uso, le Camere di Commercio delle grandi nazioni marittime verificavano ogni cinque anni la congruità del peso campione e vi scrivevano sopra la data dell’ultima ispezione. La data, 1756, è successiva di oltre un secolo.
Dieci anni dopo, nel 1978, la Concepcion viene ritrovato da Burt Webber Jr., un ricercatore di tesori sommersi. Con i suoi sub riesce a recuperare circa 60.000 monete d’argento, ma nessuna d’oro. Gran parte del tesoro è ancora in fondo al mare, protetto dall’oceano.

Per saperne di più
C. Bonifacio, Galeoni e tesori sommersi – Mursia, Milano 2010
J. Cousteau e P. Diolé, Alla ricerca dei tesori sommersi – Longanesi, Milano 1971
N. Pickford, Atlante dei tesori sommersi: storia, ubicazione, descrizione, mappe e tesori delle navi scomparse in mare – De Agostini, Novara 1995