I VETRAI ITALIANI ALLA CONQUISTA DELL’EUROPA

di Massimo Iacopi -

Perle, specchi, occhiali, vetri… Dalla fine del XV secolo i vetrai italiani, di Murano e di Altare, esportano le loro competenze per soddisfare le richieste dell’aristocrazia europea.

Nel 1655 Jean Baptiste Colbert cerca di reclutare vetrai veneziani per impadronirsi delle loro competenza e dei loro “segreti” di fabbricazione, necessari alla Manifattura degli Specchi che aveva appena fondato (1). Nel corso di una vera e propria “guerra dei vetrai”, durante la quale sono state messe in opera tutti i meccanismi dello spionaggio e del controspionaggio, la maggior parte dei vetrai coinvolti decideranno di ritornare a Venezia senza aver veramente rivelato le loro conoscenze della materia.
Questo episodio è, spesso, il solo ricordato per raccontare le migrazioni dei vetrai italiani in Francia. Tuttavia, a quell’epoca, risulta che già da più di un secolo, artigiani italiani del vetro provenienti dalla penisola erano insediati in diverse città della Francia e dell’Europa del Nord.

Su tutte le tavole

Lavorazione del vetro all'inizio del XIX secolo.

Lavorazione del vetro all’inizio del XIX secolo.

Gli artigiani italiani vi fabbricavano vetri che imitavano quelli prodotti a Murano e che per tale motivo venivano denominati “alla maniera di Venezia” (2), allora particolarmente in voga sulle tavole delle aristocratiche e ben presto anche su quelle borghesi. Molti manufatti provengono da Murano, la piccola isola della laguna veneta, dove sin dal XIII secolo erano stati installati i forni per la lavorazione del vetro, poco al di fuori di Venezia per evitare gli incendi. Lungo il canale dei vetrai si è così venuto a creare un distretto del vetro, animato dagli incessanti movimenti di materie prime, prodotti e uomini.
Se i vetrai di Murano non sono stati mai i soli attori in questo ambito nell’Italia del Medioevo – i Toscani erano i principali concorrenti -, nel XV secolo essi rispondono più di altri alle richieste crescente di manufatti che imitano la natura, una moda tipica del tempo. Una serie di innovazioni tecniche, nella composizione e nelle forme, consente di imitare il cristallo di rocca, le pietre preziose e di realizzare oggetti sempre più complessi.
Queste novità vengono apprezzate fuori dalla Serenissima. Il cristallo (un vetro soffiato così puro che assomiglia al cristallo di rocca) viene esportato in Francia nel 1467, a Costantinopoli nel 1473 e in Inghilterra nel 1481. La lista degli ammiratori del vetro di Murano si allunga col passare del tempo. La fama della piccola isola è ancora più grande nel XVI secolo, proprio perche il “genio” dei suoi maestri riesce a far nascere ogni giorno cose nuove. Il tedesco Georg Agricola (1494-1555) fornisce testimonianza, nella sua grande opera sulle arti del fuoco, dei numerosi oggetti realizzati da questi vetrai: “flaconi per profumi, fiale, brocche, ampolle, piatti, piatti per il pesce, vetri, animali, alberi, navi” (3), senza contare i vetri per gli occhiali e quelli da finestra, in cui Murano è specialista.
Le perle e gli specchi di vetro sono stati messi a punto nel XVI secolo grazie alla collaborazione con i mercanti dell’area germanica e a contaminazioni tecniche (il vetro degli specchi viene lucidato con gli stessi metodi utilizzati per i metalli). Specchi e perle diventano così oggetti di lusso ricercati in tutta Europa, attestando, in tal modo, lo sviluppo di una società delle apparenze.
Se i vetrai della Serenissima conservano dunque un primato incontestato fino al XVII secolo, essi non lavorano tutti nella Laguna. Con grave danno delle autorità corporative e statali veneziane, che interdicevano le migrazioni di artigiani qualificati, molti di questi vetrai approfitteranno delle opportunità offerte all’estero per mettersi in gioco. Non si trattò di migrazioni a causa di crisi o di miseria, ma, al contrario, per usare un termine francese, di “migrazioni della brioche”, dove ciascuno tenta di approfittare della moda per far valere le proprie competenze e migliorare così la propria condizione economica. Londra, Parigi, Amsterdam, Stoccolma, la Danimarca e il sud della Boemia vanno incontro simultaneamente a una ondata di migrazioni di vetrai italiani, essenzialmente veneziani. Poi viene il turno di Liegi, Middlesburg o Cassel e di un numero rilevante di città francesi.
Questa penetrazione risulta tanto più rimarchevole per il fatto che Francia va incontro, a quell’epoca, a un periodo molto agitato, con guerre e pestilenze in numerose regioni. I vetrai italiani, apparentemente poco disturbati da queste circostanze, penetrano in tutto il territorio francese. Tuttavia, il gruppo più numeroso non è originario di Murano, ma di Altare, una cittadina fra Genova e Savona. La corporazione di Altare, contrariamente a quella di Venezia, non solo autorizza queste migrazioni, ma le organizza e le incoraggia.
Dopo aver percorso le strade della penisola e della Provenza nel XV secolo, i vetrai di Altare si orientano verso la Francia e l’Europa del Nord per cercare di installare le loro vetrerie o per lavorare in aziende che ricercano le loro competenze. Essi si impiantano più spesso nelle città di media grandezza, al centro di reti commerciali che permettono di far arrivare gli uomini e le materie prime, oltre che esportare i loro prodotti.
Il movimento si amplifica nel XVII secolo. Per penetrare sui mercati e consolidare la loro posizione, i vetrai italiani chiedono privilegi e sollecitano a tal fine i poteri pubblici utilizzando l’argomento del “prestigio”. Quando nel 1572 il genovese Giuseppe Centurini vuole ottenere un privilegio per insediarsi a Liegi, egli sottolinea che esso accresce il prestigio e il decoro (ornement) della città. Questo argomento è avanzato nel 1623 anche dal veneziano Antonio Miotti quando chiede di insediarsi a Bruxelles.
Le concessioni appartengono alla grande categoria dei privilegi di sfruttamento e prevedono in generale l’esclusività della produzione e della commercializzazione in un’area circoscritta. I privilegi ottenuti in Francia, sono tuttavia specifici. Essi si basano sull’attivazione, a beneficio degli Italiani, di privilegi concessi ai nobili vetrai francesi almeno a partire dal 1523. Tali benefici, riguardanti le persone e illimitati nel tempo, comportano grandi esenzioni di tasse sulle materie prime, il cibo e i prodotti finiti. Essi hanno, inoltre, il vantaggio di assimilare i vetrai provenienti dall’Italia alla nobiltà (anche se nel paese d’origine non ne facevano parte).

Nevers, la piccola Murano francese

Ludovico Gonzaga-Nevers

Ludovico Gonzaga-Nevers

La città di Nevers diventa nel XVII secolo una “piccola Murano” francese, anche se i vetrai che vi si installano e fondano lo stabilimento della vetreria provengono tutti da Altare.
Tutto ha inizio nel 1583 quando si insedia nella città un’associazione di vetrai Altaresi. Essi provengono da Lione, capitale economica molto italianizzata del regno, ma a quel tempo toccata dall’epidemia di peste. Nevers è in una posizione strategica, al centro della Francia, alla confluenza di vie fluviali navigabili e, soprattutto, al centro di un territorio il cui duca, Ludovico Gonzaga-Nevers (1539-1595) (4) è allo stesso tempo uomo influente presso la corte francese e membro della famiglia Gonzaga, parente della famiglia regnante a Mantova, dalla quale dipende la cittadina di Altare.
La città diventa un centro di produzione francese di vetro “alla maniera di Venezia”, monopolizzato proprio dagli Altaresi (5).
Fra essi arriva nel 1660 quello che diventerà uno dei vetrai più celebri della fine del XVII secolo, Bernardo Perrotto (1640-1709), conosciuto come Bernard Perrot dopo la naturalizzazione francese. Sarà lui uno degli inventori del “vetro colato”.
Ma come arriva il Perrotto a Nevers? Nato ad Altare nel 1640, parte per Nevers dove lavora per lo zio, quindi si insedia a Orleans sotto la protezione del duca, di cui diviene il vetraio privilegiato. Ad Orleans allaccia relazioni con persone ben introdotte nel mercato e nella società, che gli forniscono capitali e “segreti”. Dal 1666 rompe con la pratica dei vetrai della sua cittadina che non hanno mai rivendicato privilegi di invenzioni: nel 1666 ottiene un brevetto per il “segreto di un fuoco ardente senza fumo”; nel 1668 per “due bei e rari segreti… quello di tendere il vetro in colore rosso trasparente interiormente e nella sua sostanza e l’altro di ottenere un ricco smalto su quadrati e colonne di rame”. Infine, sempre nel 1688, un brevetto per il quale egli dice di aver “inventato un mezzo sconosciuto fino al presente di colare il cristallo in tavole, come si fa per i metalli, dandogli il colore che si vuole” (6).
Il laboratorio di Perrot produce di tutto, dalle medaglie con l’effigie di Luigi XIV fino a piccole bottigliette/flaconi che gli studenti della città possono portarsi come “ricordo”, passando per i servizi da tavola in cristallo dal contorno rosso che distingue la sua produzione (i Veneziani, invece, ornano i loro prodotti con un contorno blu). Se è costretto a sottomettersi a personaggi più potenti di lui nell’affare del vetro colato, egli riceve tuttavia uno stipendio dalla Compagnia, prova e testimonianza del suo ruolo in questa scoperta.
Bernard Perrot, riconosciuto come nobile, sposato con una francese, non lascerà mai Orleans, dove muore nel 1709 all’età di 69 anni, non avendo comunque mai rotto completamente i legami con la comunità d’origine. Senza figli, egli ha contribuito al matrimonio delle nipoti di sua moglie con vetrai di Altare: in tal modo la vetreria rimane nelle loro mani, anche se il suo dinamismo tenderà progressivamente a scemare.
La scoperta di Perrot farà la fortuna della Compagnia dei Vetri di Saint Gobain. In effetti, una seconda Compagnia dei Vetri viene fondata nel 1688 per produrre specchi di una grandezza superiore a quelli della Compagnia privilegiata nel 1655. Il procedimento messo in opera non viene precisato, ma si tratta senza dubbio della colata ideata da un altro protagonista di questa storia particolare e complicata: Lucas de Nehu. Quando le due Compagnie vengono riunite nel 1695, Perrot si vede confiscare la sua tavola per colare il vetro.
Altra specialità nivernese era un vetro imitante – nel colore e nelle venature – pietre quali il diaspro, l’agata ed il calcedonio. ”Gli Italiani di Altare insediatisi nel Nivernese dal XVI secolo – osserva a riguardo Jacqueline Bellanger (7) – divennero [in Francia] i più importanti produttori di vetri disparati. Praticamente tutti i pezzi diasprati francesi di quest’epoca sono tutti provenienti da Nevers”. Uno storico dell’epoca, Pierre Victor Palma Cayet (1525-1610), ricorda riguardo la manifattura nivernese anche una particolare produzione in vetro colorato: “Al duca Luigi Gonzaga si deve, di fatto. la ripresa a Nevers di quest’arte per una fabbricazione non solo in vetro cristallo, ma nei colori topazio, smeraldo, giacinto, acqua marina e di galanterie, simili ad autentici pezzi orientali”. Tali vetri, detti anche “marezzati”, erano costituiti da una pasta vitrea opaca ottenuta con l’aggiunta di vari composti metallici nel crogiolo di fusione (8).
Agli inizi del XVIII secolo – dopo aver fatto per circa duecento anni la fortuna dei centri europei della vetreria – il vetro “alla maniera di Venezia passa di moda. Il flint-glass (vetro al piombo) lo rimpiazza sulle tavole degli aristocratici e dei borghesi.
Prima di chiudere queste note, vale la pena di ricordare che anche le famose vetrerie Bormioli di Parma traggono la loro origine nella Corporazione dei vetrai Bormioli di Altare. Nel XVIII secolo alcuni Bormioli erano stati direttori della vetreria di Nevers e nel 1832, un certo Rocco di Luigi Bormioli (1830-1893), si era trasferito, al seguito del padre, a Borgo San Donnino (oggi Fidenza), nel ducato di Parma. Questi, insieme ai fratelli Domenico e Carlo, fonderà nel 1854 le Vetrerie Fratelli Bormioli di Parma, sul luogo dell’ex Real Fabbrica di stoviglie (maioliche), vetri e cristalli dei Farnese. Da loro derivano i Bormioli attuali: da Domenico deriva il marchio Rocco Bormioli SpA di Fidenza, mentre Rocco e Carlo sono artefici delle Vetrerie Bormioli di Parma. In effetti, dall’omonimo nipote, Rocco, figlio di Luigi di Rocco, nascerà il marchio Rocco Bormioli e Figlio di Parma che, negli anni ’60 del XX secolo, si trasformerà, con Pier Luigi, nella Bormioli Corporate (Gruppo), di dimensioni mondiali (9 stabilimenti di cui tre all’estero – Spagna e Francia – con 2.700 dipendenti).

Note
(1) Fremy E., Histoire de la manufacture royale des glaces de France au XVIIe et au XVIIIe siècle – Plon, 1909.
(2) Vetro alla maniera di Venezia: si tratta di un vetro fabbricato ad imitazione di quello di Murano, un po’ ovunque in Europa; molto fine e malleabile, può essere lavorato in forme complesse, impossibili da realizzare con il vetro di cristallo di rocca o altri tipi di vetro. Vetro soffiato: la tecnica di soffiaggio consente per mezzo di un tubo del vetraio di produrre volumi di vuoti a partire da una massa di vetro in fusione. Vetro colato: contrariamente a quello soffiato, il vetro viene colato su una tavola come fosse un metallo; questo procedimento consente di costruire delle placche di vetro molto più grandi di quelle consentite dalla tecnica del soffiaggio. Vetro tagliato: questo vetro, intagliato nella massa, deve inizialmente essere abbastanza spesso; viene successivamente levigato con la mola e quindi lucidato. Flint-glass: vetro al piombo, messo a punto nella seconda metà del XVII secolo e per il quale il mercante britannico George Ravenscroft richiederà un brevetto nel 1674. Nel suo laboratorio lavorava un vetraio proveniente da Altare in Liguria (Da Costa), che in precedenza aveva lavorato a Nevers, in Francia e in Olanda. L’invenzione del vetro di cristallo (o “cristallino”), un vetro accostabile per purezza e trasparenza al cristallo minerale, è attribuita al muranese Angelo Barovier (nel 1455 circa). L’impasto, di straordinaria plasticità, avvia la realizzazione di nuove forme di raffinata eleganza e di gusto tipicamente rinascimentale, che caratterizzeranno per oltre due secoli la “maniera” imperante in Europa.
(3) Agricola Georg, De Re Metallica (1556).
(4) Figlio di Federico II, duca di Mantova e marchese del Monferrato (cui Altare appartenne), nel 1565 aveva acquisito il titolo di duca di Nevers, recatogli in dote dalla moglie Enrichetta di Cleve. Il suo mecenatismo richiamò numerosi Altaresi a Nevers.
(5) Boutillier abbé François, La verrerie et les gentilshommes verriers de Nevers - Nevers 1885.
(6) AA. VV, Bernard Perrot (1640-1709): secrets et chefs-d’oeuvre des verreries royales d’Orléans – Somogy éditions d’art, 2010.
(7) Bellanger Jacqueline, Verre d’usage et de prestige. France 1500-1800 – Paris, 1988.
(8) Cayet Pierre Victor Palme, Chronologie novennaire, histoire des guerres de Henri IV de 1589 à 1598, Parigi, 1605, e Chronologie septennaire (1598-1604), Parigi, 1606.

 

 

Per saperne di più
L. Zecchin, Bernardo Perrotto vetraio altarese – Altare, 2002.
AA. VV., Bernard Perrot (1640-1709) : Secrets et chefs-d’oeuvre des verreries royales d’Orléans – Somogy éditions d’art, 2010.
M. Brondi Badano, Storia e tecniche del vetro preindustriale. Dalla Liguria a Newcastle – Genova, 1999.
A. Gasparetto, Il Vetro di Murano, dalle origini ad oggi – Neri Pozza, 1954.