GONARS: UNA CAMPO DI CONCENTRAMENTO ITALIANO

di Michele Strazza -

 

Realizzato dal regime fascista nell’autunno del 1941 in provincia di Udine, fu utilizzato per internare i civili rastrellati nei territori occupati dall’esercito italiano in Jugoslavia.

 

Durante la Seconda guerra mondiale, a seguito dell’occupazione della Slovenia da parte dell’esercito italiano nell’aprile del 1941, nonché della successiva repressione di dissidenti e partigiani, vennero costruiti numerosi campi di concentramento dove furono internati anche donne, vecchi e bambini. I generali italiani, infatti, condussero una vera e propria guerra nei confronti della stessa popolazione civile accusata, in vario modo, di sostenere i ribelli. Interi centri abitati furono rasi al suolo, mentre famiglie intere subirono una dura prigionia.
Forse non tutti sanno che alcuni di questi campi di concentramento furono eretti proprio in Italia, a due passi dalle nostre città. Uno di essi era funzionante in provincia di Udine, vicino Palmanova. Era il campo di Gonars.
Nato nell’ottobre del 1941, inizialmente per prigionieri di guerra, dal 22 marzo dell’anno successivo fu utilizzato come campo di internamento per civili.
Tutta l’area venne divisa in due campi distanti tra loro circa un chilometro: uno più piccolo che ospitava ex militari sloveni non considerati “prigionieri di guerra” e uno più grande destinato ai “civili” veri e propri. Costituito da tre settori (Alfa, Beta e Gamma), quest’ultimo campo era circondato da un alto filo spinato, con torrette di guardia dotate di mitragliatrici e potenti fari di illuminazione. Considerato il più grande dei campi italiani, al suo controllo erano destinati carabinieri e 600 soldati con una quarantina di ufficiali dell’XI Corpo d’Armata.
A metà agosto 1942 si contavano circa 6.074 prigionieri, quasi tutti uomini che, soprattutto a causa di una fuga attraverso una galleria scavata per 60 metri, in autunno furono trasferiti nei campi di Monigo e Renicci, lasciando così il posto a donne, vecchi e bambini provenienti dal campo di Arbe.

In definitiva la storia del campo di internamento può essere divisa in due periodi. Nel primo, dal marzo 1942 all’ottobre-novembre dello stesso anno, vennero imprigionati maschi adulti, rastrellati a Lubiana e nelle altre città della Slovenia. I continui afflussi crearono non pochi problemi, soprattutto alle condizioni igieniche, per l’insufficienza di impianti di erogazione dell’acqua e di latrine. In soli tre giorni (1, 2 e 3 luglio), infatti, giunsero 1.600 uomini. Di questi, 1.400 vennero alloggiati in attendamenti provvisori, essendo le baracche stracolme.
Il secondo periodo iniziò dall’autunno del 1942 quando gli uomini furono sostituiti da donne, vecchi e bambini.
Nel febbraio del 1943 la maggioranza era costituita ormai da donne e bambini. Gli uomini, infatti, erano 695 mentre vi erano 1.916 donne e 1.472 bambini. Solo in primavera la situazione mutò nuovamente, con la liberazione di numerosi bambini e donne e con l’arrivo di 1.700 giovani sloveni provenienti da Monigo.
E difatti, all’inizio del luglio 1943 il numero dei bambini era sceso a 683, quello delle donne a 1.346 mentre gli uomini erano in maggioranza con 2.430 unità.
Nel campo vi erano baracche strette e lunghe che ospitavano dagli 80 ai 130 prigionieri, senza riscaldamento o con stufe mal funzionanti. C’era un’intera baracca con bambini orfani. Molti uomini adulti dormivano ancora nelle tende.
Le condizioni del campo erano difficilissime, il sovraffollamento, la mancanza di cibo sufficiente e le malattie ne fecero un vero inferno. Così, nonostante l’impegno umano di alcuni degli ufficiali e soldati, come il medico Mario Cordaro, i morti furono numerosissimi.
Alla fine della sua attività nel campo furono registrati 439 decessi. In realtà si deve ritenere che i morti siano stati almeno 500. Di questi 71 avevano meno di un anno. Per quanto riguarda le nascite, nel campo vennero alla luce almeno 59 bambini, «di questi 6 nati già morti, in maniera accertata, ma secondo alcune testimonianze i nati morti furono molti di più». Dei 53 che sopravvissero alla nascita, 22 morirono durante l’internamento.

Morire di fame era la normalità a Gonars dove anche donne e bambini avevano a disposizione solo un minestrone acquoso a pranzo e cena e 200 grammi di pane. Così scriveva il salesiano padre Tomec il 6 febbraio 1943: «La gente è affamata. Ma forse è meglio dire che muore di fame. […] Queste famiglie non hanno nessuno che possa mandargli i pacchi, perché le loro cause sono state bruciate e i parenti sparpagliati. […] Una grande maggioranza di internati è venuta da Arbe e sono giunti già esausti, simili a scheletri. […] Dal 15 dicembre 1942 al 15 gennaio 1943 ne sono morti 161. In media muoiono 5 persone al giorno. […] Il maggiore medico Betti mi ha detto che in due mesi il 60% di questa gente morirà, se prima non vengono liberati. […] Una scena triste viene offerta dalla baracca nella quale ci sono soltanto bambini orfani che hanno perso i genitori ad Arbe o a Gonars. […] Dio ci guardi da qualche epidemia nel campo. Le persone cadrebbero una dopo l’altra come mosche».
Ricordò la fame pure Milan Cimpric, che a Gonars aveva 9 anni: «A Gonars si pativa una tale fame che faccio meglio a non pensarci. Mangiavamo anche le bucce che i cuochi buttavano nella fossa delle immondizie. Una volta siamo caduti tutti quanti in questa fossa e io ero sotto. Gli altri sono cascati sopra di me. Avevo male alle ossa. Ho trovato poche bucce. E’ stato così triste a Gonars».
Tra i segni della fame ci furono i corpi gonfiati e la perdita della vista. Così Maria Tomac il 12 gennaio 1943: «…da noi ogni giorno va peggiorando. Ogni giorno muoiono dalle 3 alle 4 persone. Gli uomini cominciano a gonfiarsi e a perdere la vista, poi muoiono. Anche mio figlio è incominciato a gonfiare e sta per perdere la vista. Siamo sempre più deboli; non possiamo stare in piedi dal freddo».
Era tanta la disperazione delle madri, al punto da fare esclamare il 3 gennaio 1943 a Paola Rausel: «Se avessi saputo ciò che mi attendeva, avrei ucciso prima i bambini e poi mi sarei soppressa io stessa, poiché non è possibile sopportare ciò che sopportiamo ora». Il 17 dello stesso mese la donna riassumeva in un’altra missiva le sofferenze e i lutti. Questa la traduzione dal croato operata dal traduttore della Commissione Provinciale di Censura di Udine: «Ora siamo nelle baracche, dove moriamo dal freddo e dalla fame. Vi scongiuro di mandarmi qualche cosa da mangiare. Milenka [la figlia] è morta in Arbe; era soltanto pelle ed ossa; il 31/12 è morto pure mio padre, con altri 12 uomini. Liberaci da questo campo, dal Golgota della nostra vita».

I nomi delle vittime sulla lapide del memoriale a Gonars

I nomi delle vittime sulla lapide del memoriale a Gonars

Si tenga, inoltre, presente che a Gonars, come in molti altri campi, parte delle già magre razioni di cibo venivano rubate dalle stesse guardie italiane. Così, nel marzo del 1943, le internate rivolsero al comando del campo la richiesta che i figli mangiassero da soli. La richiesta venne accettata e da allora i bambini mangiarono in uno spazio recintato affinché non venisse loro rubato il cibo.
Ad ottobre il campo era in via di smantellamento, vi rimanevano solo 757 internati sloveni e croati, in maggioranza donne e bambini al di sotto dei 15 anni.
La struttura concentrazionaria funzionò fino all’autunno del 1943 quando, dopo la fuga del contingente di guardia italiano, i prigionieri furono liberi di andarsene. In seguito la popolazione locale smantellò tutto utilizzando il materiale per altre costruzioni, come l’asilo infantile. Per questo oggi del campo di Gonars non rimane più nulla.
A ricordare quelle tristi vicende nel 1973 è stato eretto, all’interno del cimitero di Gonars, un Sacrario Memoriale. Esso, voluto dalla Repubblica Federativa di Jugoslavia, ospita le spoglie di 471 persone: 410 riesumate a Gonars, altre di morti all’ospedale di Palmanova, altre ancora trovate a Visco e a Padova dove erano altri due campi di concentramento.

Per saperne di più
Capogreco C.S., I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista 1940-1943, Torino, Einaudi, 2004.
Capogreco C.S., “Il sistema concentrazionario dell’Italia fascista”, in Comune di Gonars, I campi di concentramento per internati Jugoslavi nell’Italia fascista. I campi di Gonars e Visco, Atti del convegno. Palmanova, 29.11.2003, Udine, Edizioni Kappa Vu, 2004.
Comune di Gonars, Il campo di concentramento di Gonars, Gonars, 2008.
Pahor Verri N. (a cura di), Oltre il filo. Storia del campo di internamento di Gonars 1941-1943, Gonars, Comune di Gonars-Arti Grafiche Friulane, s.d. (1994).
Strazza M., Giochi spezzati. I bambini slavi nei campi di concentramento italiani (1942-1943), Sanremo, EBK-Edizioni Leucotea, 2015.
Trinca M., “Donne e bambini sloveni nei campi fascisti (1941-1943)”, in B. Bianchi (a cura di), Deportazioni e memorie femminili (1899-1953), Milano, Unicopli, 2002.
Kersevan A., Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943, Udine, Edizioni Kappa Vu, 2003.