GIUSTINO FORTUNATO E IL COLLEGIO DI MELFI

di Michele Strazza -

Il futuro meridionalista scese in campo per dar voce alla grande proprietà terriera lucana, allora critica verso la gestione politica della sinistra meridionale. Tuttavia non trascurò di dar voce alle aspirazioni sociali dei contadini e di mantenere un legame diretto con i suoi elettori.

Giustino Fortunato (1848-1932) entra in politica il 16 maggio 1880, venendo eletto al Parlamento in rappresentanza del collegio elettorale di Melfi, con 560 voti su 974 votanti.
Le elezioni del tempo erano espressione dell’Italia dei notabili. Non esisteva il suffragio universale, entrato in vigore, e solo per i maschi, nella tornata elettorale del 1913 (per le donne bisognerà attendere il 1946). A votare erano soltanto i possidenti e coloro che avevano un determinato censo. Il diritto di voto, più precisamente, era attribuito in ragione del genere, dell’età (25 anni), dell’alfabetizzazione (sapere leggere e scrivere), del censo e della capacità. Nel 1880 in Italia vi erano appena 621.896 elettori, l’1,9% della popolazione complessiva del nuovo Regno d’Italia.
Solo nel 1882, con il governo Depretis, si avrà un primo allargamento della base elettorale, abbassando l’età a 21 anni e l’inclusione di nuove categorie di cittadini. L’elettorato sale così al 25% della popolazione maggiorenne maschile (2 milioni di uomini) e al 6,6 % della popolazione complessiva.
Come espressione, dunque, della classe dei notabili, Fortunato conquista il suo seggio da deputato nel 1880. Resta alla Camera dalla XIV alla XXII Legislatura, fino al febbraio del 1909 quando decide di non ricandidarsi. Il 4 aprile dello stesso anno viene nominato senatore.

La candidatura di Fortunato nel collegio di Melfi era stata patrocinata da un altro grande notabile del Vulture. Si trattava del sindaco di Melfi Federico Severini il quale pose come condizione per il suo appoggio l’impegno di Fortunato per la costruzione delle Ferrovie Ofantine e per il riconoscimento governativo dell’Istituto Tecnico di Melfi.
Nelle elezioni del 1880 l’avversario di Fortunato era Floriano Del Zio, deputato di Melfi per sette legislature, uomo politico di tradizioni risorgimentali, che conseguì solo 404 voti contro i 560 del candidato rionerese. Del Zio riuscirà comunque a tornare in Parlamento nel luglio successivo, alle elezioni suppletive del collegio di Tricarico, rimasto vacante per l’opzione di Crispi a favore del primo collegio di Palermo.
Per quale motivo però Federico Severini appoggiò Fortunato e non Del Zio, insigne cittadino di Melfi da sempre in lotta con Rionero? Fortunato, pur unitario convinto, rappresentava una rottura con la tradizione risorgimentale, quantomeno perché la sua famiglia era stata sospettata di aver appoggiato il brigantaggio e, per questo, nel 1862 aveva lasciato Rionero.
In realtà sia i Fortunato sia i Severini erano espressione della grande proprietà terriera, critica verso la gestione politica della sinistra meridionale, la quale riteneva, dopo la caduta della destra storica, di entrare direttamente nell’agone politico anche per cambiare una impostazione fiscale giudicata lesiva dei propri interessi. E per questo progetto Floriano Del Zio era ormai inadeguato.

Fortunato era consapevole che l’appoggio dei Severini, ma anche dei Saraceno di Atella, dei Virgilio di Venosa, dei Lioy di Ripacandida, dei Solimene di Lavello, dei Catena e Giannattasio di Rionero, fosse un appoggio interessato. Ciò nonostante, egli decise proprio di fare leva su di essi, riconoscendone il ruolo di borghesia agraria in larga misura direttamente conduttrice delle sue proprietà. In tal modo – sottolinea lo scrittore Nino Calice – il deputato rionerese «intendeva mettere mano alla costruzione di quella articolata egemonia di classe fondata sul massimo riconoscimento possibile delle aspirazioni sociali dei contadini ma anche sul massimo di chiusura politica nei loro confronti». Si trattava, insomma, come scrisse a Pasquale Villari nel 1875, di esercitare un «patronato dei deboli assunto dai forti».
Per fare questo Fortunato, in tutta la sua attività parlamentare, mantenne un contatto diretto e costante con tutti i suoi elettori del collegio di Melfi, soprattutto attraverso una continua attività epistolare, organizzata quasi in maniera scientifica sulla base di un registro a rubrica alfabetica, che ogni anno provvedeva a ricopiare. Ma anche attraverso la lettura della stampa locale, pure di quella socialista, non limitandosi all’abbonamento ai giornali ma inviando interventi, sotto forma di lettere al direttore o brevi puntualizzazioni.
Oltre alla casa di Rionero, anche quella napoletana era sempre aperta ad amici ed elettori. L’attenzione al collegio si concretizzava pure nel seguire giovani intellettuali capaci che consigliava e incoraggiava, spesso sostenendone studi e ricerche.

Costante attenzione al collegio, ma anche mediazione degli interessi che i suoi elettori rappresentavano, sintetizzandone le aspirazioni e offrendole alla dimensione nazionale.
Così, nel suo impegno per le Ferrovie Ofantine e per il collegamento ferroviario Foggia-Potenza, per i quali si impegnò per 17 anni, dal 1880 al 1897, quando il tronco fu aperto al traffico, egli riuscì ad unificare tutte le diverse spinte municipali di Rionero, Melfi, Atella, Barile, Ripacandida e Rapolla, riuniti in comitato.
Sapendo anche dire dei “no” davanti a richieste assurde. Così ritenne «forsennata» la proposta dei Saraceno di prolungare le ferrovie ofantine da Rionero a Ruvo-Rapone, approfittando della discussione della legge speciale per la Basilicata.
Quale atteggiamento avrebbe tenuto nei confronti dei suoi elettori del collegio lo espresse, in maniera chiara, già all’indomani della sua elezione del 1880, in un discorso tenuto nel salone della Società Operaia di Melfi, quando affermò la sua volontà di operare mantenendo la distanza dal «terribile scambio di corruzione» fra eletti ed elettori, improntando i rapporti con gli elettori secondo «l’alto ufficio di dire tutta la verità, anche a nocumento de’ partiti, dirla schietta, anche a danno degl’interessi di classe, dirla sempre, anche a scapito del favore popolare», così da poter veramente essere «libero di fronte al collegio, e risoluto a restar libero da ogni gelosia di campanile».
Egli era, infatti, ben consapevole delle meschinità della classe borghese del collegio, delle inutili lotte municipali tra Melfi e Rionero, del disprezzo verso i contadini, sottolineando in ogni occasione che «le società non si sono mai perdute per i vizi delle classi inferiori, ma solo per mancanza di virtù e di operosità delle classi dirigenti». Una riflessione, questa, di scottante attualità.

 

 

Per saperne di più
Nino Calice, Ernesto e Giustino Fortunato, l’azienda di Gaudiano e il Collegio di Melfi, De Donato Edizioni, 1982.
Gaetano Cingari, Giustino Fortunato, Roma-Bari, Laterza, 1984.
Gaetano Cingari, Il Mezzogiorno e Giustino Fortunato, Firenze, Parenti, 1954.
Maurizio Griffo, Profilo di Giustino Fortunato: la vita e il pensiero politico, Firenze, Centro editoriale toscano, 2000.
Giovanni Minozzi, Giustino Fortunato, Potenza, M. Armento & C, 1998.