FIDEL E KAROL, IL SOTTILE FILO DEL DIALOGO TRA DUE LEADER

di Renzo Paternoster -

Due figure autorevoli, lontane nella spiritualità ma straordinariamente vicine nella determinazione politica. Gli incontri in Vaticano e a L’Avana, nel 1996 e nel 1998, furono preceduti da anni di preparativi diplomatici e di reciproci scambi di attenzioni.

Nel 1959, a Cuba, all’indomani della rivoluzione, il Movimiento 26 de Julio di Fidel Castro si fa governo. Il nuovo gruppo dirigente cerca subito di alimentare la teoria rivoluzionaria, conciliando le aspirazioni nazionaliste e l’avvio di trasformazioni sociali, economiche ed etiche del Paese. Al tempo stesso si impegna per garantire la sua esistenza, affrontando la minaccia di una invasione degli Stati Uniti d’America, sopprimendo migliaia di controrivoluzionari armati nelle zone rurali dell’isola e contrastando l’opposizione interna.
Il 1° maggio 1960, il governo rivoluzionario diventa comunista e la locuzione “rivoluzione cubana” diventa il termine usato per specificare il processo, ancora in atto, che vuole edificare una società egualitaria secondo i dogmi del marxismo. Il carattere assolutista del nuovo governo è tutto riassunto nelle parole di Fidel Castro, pronunciate in conclusione della “Riunione con gli intellettuali cubani” del giugno 1961: «La Rivoluzione non può rinunciare a che tutti gli uomini e donne onesti […] marcino uniti ad essa; la rivoluzione deve aspirare a convertire in rivoluzionario chiunque abbia dei dubbi […]. La Rivoluzione deve solo rinunciare a quelli che sono ostinatamente reazionari, che sono irriducibilmente controrivoluzionari. […] E questo significa che dentro la Rivoluzione, tutto; contro la Rivoluzione, niente. Contro la Rivoluzione niente, perché la Rivoluzione ha anche i suoi diritti; e il primo diritto della Rivoluzione è il diritto a esistere. E di fronte al diritto della Rivoluzione di essere e di esistere, nessuno ‒ per quanto la Rivoluzione comprende gli interessi del popolo, per quanto la Rivoluzione significa gli interessi della nazione intera ‒ nessuno può rivendicare con ragione un diritto contro di lei. Credo che questo sia ben chiaro».
Così, per chi è considerato estraneo e ostile alla rivoluzione in corso, il governo riserva trattamenti oppressivi.

Dal 1958 al 1961, le abitudini religiose dei cubani non sono particolarmente intaccate dal regime. Nonostante la sua educazione presso i gesuiti, Fidel Castro si dichiara “ateo militante”, considerando la Chiesa di Roma nemica agli interessi della rivoluzione e della “nuova” Cuba. Tuttavia la repressione anticattolica vera e propria non inizia da subito.
Il fallimento dello sbarco alla Baia dei Porci nel 1961 fa precipitare in peggio l’atteggiamento di Castro verso la Chiesa di Roma. Voluto dal cattolico presidente USA John Kennedy, lo sbarco anticastrista è supportato da almeno tre sacerdoti e, probabilmente, molti esponenti della gerarchia ecclesiastica cubana e statunitense hanno appoggiato moralmente il tentativo di scacciare Castro e il governo rivoluzionario. Questo determina un aggravarsi della situazione religiosa nell’isola. La Chiesa e le abitudini religiose dei cattolici cubani iniziano così a essere smantellate senza appello: indispettito anche dalle esasperate posizioni anticomuniste vaticane, Castro cancella la festa nazionale del Natale, nazionalizza le scuole cattoliche, censura tutte le pubblicazioni della Chiesa, espelle tantissimi ecclesiastici non cubani e interna quelli nazionali. La Chiesa si ritrova senza ministri di culto e senza fondi. Tuttavia, se con gli oppositori politici, giornalisti, avvocati, poeti, scrittori, giuristi, intellettuali, attivisti e gay Castro è molto duro, con la Chiesa usa la mano un po’ più morbida. Infatti, seppur la persecuzione religiosa risulta particolarmente attiva, nessun ecclesiastico è ucciso. Nonostante tutto, il filo del dialogo diplomatico tra L’Avana e il Vaticano non si è mai spezzato, da ambo le parti.
L’ostilità totale contro la Chiesa di Roma dura sino al 1991, quando l’alleato e protettore sovietico scompare, privando Cuba di un finanziatore fondamentale. Castro “guarda” al nuovo Papa slavo, riannodando il filo della diplomazia: la dura critica di papa Wojtyla sugli eccessi del liberismo del dopo Guerra fredda, avvicina Cuba a Roma.

L’approccio diplomatico della Santa Sede con Cuba inizia nel 1992, quando Giovanni Paolo II manda il cardinale Roger Etchegaray a incontrare segretamente Fidel Castro. Già nel 1974, dal 27 marzo al 5 aprile, monsignor Agostino Casaroli è stato a Cuba su invito dell’episcopato locale. Qui ha incontrato il ministro degli Esteri, il presidente Dorticos e, l’ultimo giorno, anche Fidel Castro. Importanti sono anche gli anni 1985 e 1989, in quanto, in occasione di una visita della Conferenza episcopale statunitense a quella di Cuba, il cardinale Bernard Low ha incontrato il leader cubano. Con l’incontro tra Castro, monsignor Casaroli e il cardinale Etchegaray, si è iniziata un’attività diplomatica al fine di evitare le conseguenze pericolose di una violenta transizione di poteri a Cuba; ma soprattutto, da parte cattolica, si è voluto contribuire all’instaurazione del dialogo tra gli Stati Uniti e Cuba.
Sempre nel 1992, è approvato un emendamento alla Costituzione che dichiara Cuba uno Stato “secolare” e, quindi, non più ateo. Da quel momento la Chiesa cattolica comincia a reinvestire a Cuba attraverso opere caritatevoli e rivolte all’istruzione.
L’8 settembre 1993, la Conferenza episcopale cubana scrive un documento dove è ribadito il concetto che i problemi di Cuba «devono essere risolti con la collaborazione di tutti noi cubani». Facendosi portavoce del popolo di Cuba, gli undici vescovi aggiungono, sempre nel documento, che i cubani «desiderano avere un dialogo candido, libero e amichevole con il quale esprimere cordialmente il proprio punto di vista [...] sulla scia della misericordia, amnistia e riconciliazione». Tre settimane dopo, il presidente della Conferenza episcopale statunitense, monsignor Roach, invia al segretario di Stato USA, Cristopher Warren, una lettera in cui si sollecita di ascoltare i vescovi cubani che chiedono l’eliminazione della parte più onerosa dell’embargo, per favorire la causa del popolo cubano. Ricordiamo che, il 19 ottobre 1960, il governo di Washington, a seguito delle dichiarazioni di Castro e all’arrivo di armi cecoslovacche sull’isola, proclamò un embargo totale sul commercio americano con Cuba, mentre le relazioni diplomatiche statunitensi con L’Avana furono interrotte all’inizio del 1961.
Nel dicembre dello stesso 1993, il cardinale Etchegaray incontra segretamente, per la seconda volta, Fidel Castro. In seguito a questa visita, il regime castrista mette fine a una serie di restrizioni imposte alla Chiesa cattolica a Cuba.

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L’incontro tra Giovanni Paolo II e Castro in Vaticano

Nel giugno del 1994, Giovanni Paolo parla negativamente, per la prima volta, dell’embargo. Nell’ottobre dello stesso anno nomina il primo cardinale cubano post-rivoluzione (nella storia del Paese è il secondo): il Pontefice sceglie l’arcivescovo dell’Avana Jaine Lucas Ortega y Alamino. Fidel Castro, con un gesto distensivo nei confronti del Vaticano, permette anche a duemilacinquecento fedeli di assistere a Roma alla consacrazione del loro nuovo cardinale.
Nel luglio 1995, il presidente della Commissione pontificia per il Centro America, il cardinale Bernardin Gantin, su istruzioni di Giovanni Paolo, incontra Fidel Castro all’Avana. Di ritorno a Roma, il cardinale riferisce che tra il regime castrista e la Santa Sede il clima va migliorando, «questi cambiamenti di trattamento», dice il cardinale, «rientrano in un mutamento più vasto che, a Cuba, sta interessando la sfera sociale ed economica».
Nell’ottobre 1995, il cardinale newyorchese John O’Connor, incontra nuovamente il leader maximo cubano. La notizia, riportata sul quotidiano Daily News, è svelata dal deputato democratico statunitense Charles Rangel, che precisa che il primo obiettivo cubano è la revoca dell’embargo commerciale. Secondo voci giornalistiche, papa Wojtyla discute del destino di Cuba a Newark, nel New Jersey, durante il previsto colloquio con il presidente statunitense Clinton, all’inizio della sua visita pastorale negli USA. La fondatezza della notizia non è certa, fatto sta però che il presidente Clinton, il giorno dopo aver accolto all’aeroporto Giovanni Paolo, annuncia una serie di nuove misure, tra cui scambi culturali di studenti e accademici, che favoriscono la distensione tra Washington e L’Avana.
A pochi giorni dalla storica visita in Vaticano sono evidenti i primi segni tangibili di una normalizzazione dei rapporti tra Cuba e Santa Sede: in seguito alla visita fatta dal ministro degli Esteri vaticano, Louis Tauran, Castro autorizza due sacerdoti italiani – don Giulio Battistella e don Gioacchino Gaiga – a recarsi a Cuba in qualità di missionari. In seguito sarà allargato il permesso a una quarantina di altri missionari, che su ottanta, hanno chiesto di andare sull’isola a lavorare nelle diocesi.

Nel 1996, il 19 novembre, Fidel Castro incontra in Vaticano Giovanni Paolo II. È un incontro storico, come lo era stato quello di Gorbaciov del 1° dicembre 1989 e quello di altri esponenti di governi marxisti. Il leader cubano, a Roma per il vertice FAO sull’alimentazione, parla privatamente con il Pontefice nella sala del Tronetto, invitandolo a visitare il suo Paese. Il portavoce vaticano Navarro-Valls e lo stesso Castro riferiscono che nell’incontro si è parlato di questioni concernenti la normalizzazione delle condizioni d’esistenza della Chiesa a Cuba. Sicuramente si è anche parlato dell’embargo economico che sta “strozzando” il Paese latinoamericano e, soprattutto, si è discusso della transizione democratica di Cuba.
Indubbiamente Castro ha bisogno della Chiesa, perché a conti fatti solo il Papa potrebbe mettere in difficoltà il progetto statunitense di mantenere l’embargo. Per quanto riguarda l’interesse della Chiesa e la sua politica nei confronti dell’isola, invece, è chiaro che solo le sue strutture nel Paese potrebbero raccogliere l’eredità politica per una guida democratica della società.
Nel frattempo, anche se Fidel Castro si è dimostrato favorevole a rivedere tutta la questione concernente la situazione della Chiesa cattolica a Cuba, non ha cambiato i concetti che hanno plasmato la sua politica, egli continua ad affermare che «mai il capitalismo tornerà a Cuba, Cercheremo solo di rimediare agli errori del socialismo», e per quanto riguarda la situazione politico-economica del suo Paese, egli resta convinto di non aver «la forza di modificare la realtà» che circonda l’isola», ma è consapevole che si può «solo resistere e lo abbiamo dimostrato in questi anni terribili [d’embargo]. Tocca al mondo permettere a Cuba di avere rapporti normali con tutti».

Castro riceve Giovanni Paolo II a Cuba

Castro riceve Giovanni Paolo II a Cuba

Nel gennaio 1998, Giovanni Paolo II restituisce la visita di Castro andando a Cuba. Egli, alla cerimonia di benvenuto all’aeroporto di La Havana, pronuncia una frase che fa il giro del mondo: «Possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba».
Nel discorso del Pontefice, la condanna ufficiale all’embargo statunitense giunge forte e chiara: «Il popolo cubano non può vedersi privato dei vincoli con gli altri popoli, che sono necessari per lo sviluppo economico, sociale e culturale, soprattutto quando l’isolamento forzato si ripercuote in modo indiscriminato sulla popolazione, accrescendo le difficoltà dei più deboli, in aspetti fondamentali come l’alimentazione, la sanità e l’educazione [...]». In definitiva, l’embargo è per Giovanni Paolo «eticamente inaccettabile».
Anche Castro, accogliendo il Papa all’aeroporto, calca la mano sull’embargo. Nel suo discorso di benvenuto, ha voluto evidenziare la crudeltà dei conquistatori contro «gli abitanti naturali» che popolavano l’isola; ha ricordato anche il dramma degli africani «crudelmente strappati dalle loro lontane terre», soprattutto grida al mondo la situazione in cui Cuba si trova a vivere: «Oggi, Santità, si cerca nuovamente il genocidio, pretendendo di arrendere per fame, malattia e asfissia economica, politica e militare» Cuba. Il passaggio del discorso più emozionante è, forse, quando Castro dice: «Santità, pensiamo come lei su molte importanti questioni del mondo di oggi e questo ci dà grande soddisfazione; su altre, le nostre opinioni differiscono, ma rendiamo rispettoso omaggio alla convinzione profonda con cui lei difende le sue idee».
Nel viaggio forti sono state le parole contro il regime oppressivo di Castro, ma non sono state risparmiate anche critiche verso il liberalismo. Nell’omelia della celebrazione eucaristica, tenuta in piazza José Martí il 25 gennaio, Giovanni Paolo usa toni severi: «[...] è bene ricordare che uno Stato moderno non può fare dell’ateismo o secolarismo estremo, deve promuovere un clima sociale sereno e una legislazione adeguata» per consentire a tutti di poter usufruire delle ricchezze spirituali, morali e civili della propria nazione. «D’altro canto, in vari luoghi si sviluppa una forma di neoliberalismo capitalista che subordina la persona» condizionando lo sviluppo di quel popolo «alle forze cieche del mercato». Per papa Wojtyla i programmi economici insostenibili, imposti alle Nazioni come condizione per ricevere aiuti, portano «all’arricchimento esagerato di pochi al prezzo dell’impoverimento crescente di molti».
Alla partenza di papa Wojtyla Fidel Castro lo ringrazia pubblicamente “per tutte le parole pronunciate”: «Santità, La ringrazio sommamente per tutto ciò che Lei ha detto, anche per ciò che mi trova in disaccordo». La disponibilità di Castro è stata quasi totale, tant’è vero che la visita a Cuba ha dato occasione al Pontefice di elevare il vescovo Ortega a cardinale, sono stati fondati il movimento degli universitari cattolici, una sezione della commissione Justitia et Pax, l’Unione della stampa cattolica.
Con la partenza da Cuba di Giovanni Paolo II moltissime restrizioni anticattoliche sono soppresse, anche il Natale è ripristinato come festa nazionale.

Giovanni Paolo II a Cuba

Giovanni Paolo II a Cuba

La visita rimane così impressa nella memoria di tutto il gruppo dirigente cubano che, alla morte di Giovanni Paolo II, sono state stabilite decisioni impensabili. Castro decreta addirittura tre giorni di lutto nazionale per la morte del Papa. Si legge nel comunicato ufficiale: «Con motivo della morte di Sua Santità Giovanni Paolo II, è stato deciso di sospendere nel periodo di lutto ufficiale decretato dal Consiglio di Stato lo svolgimento delle attività festive. Questo include la posposizione, tra l’altro, dei festeggiamenti per l’anniversario dell’Organizzazione dei Pionieri José Martí e dell’Unione dei Giovani Comunisti, oltre alla partita finale della XLIV Serie Nazionale di Baseball». In questa occasione, Giovanni Paolo II è definito dal governo “un amico” di Cuba e Castro partecipa finanche alla messa in suffragio nella cattedrale dell’Avana. Per l’occasione Castro mette da parte la divisa militare, indossando un completo scuro (il “Leader maximo” non prendeva parte a una cerimonia religiosa dal 1959, anno in cui si sposò la sorella). Nel libro delle presenze della nunziatura lascia anche il suo ultimo saluto personale a papa Wojtyla, presentando gli omaggi «all’infaticabile combattente impegnato per l’amicizia tra i popoli, nemico della guerra e amico dei poveri». Un gesto di deferenza e rispetto da parte di Castro al capo della Chiesa di Roma che, dal gennaio del 1998 sino ad appena tre mesi prima della sua morte, ha ripetuto il suo dissenso contro l’embargo economico imposto all’isola dagli Stati Uniti, sostenendo che esso impedisce le condizioni per un reale sviluppo a Cuba. In occasione della morte di papa Wojtyla, il presidente cubano permette, per la seconda volta in due giorni, al cardinale Jaime Ortega, arcivescovo dell’Avana e primate della Chiesa cattolica cubana, di inviare un messaggio ai cattolici nell’isola attraverso la televisione di Stato. Mai in precedenza il cardinale Ortega era apparso alla tv pubblica cubana, rigidamente controllata dal regime.
Il ministro degli Esteri Felipe Perez Roque ha poi letto alla televisione un messaggio governativo di “condoglianze, rispetto e solidarietà alla comunità cattolica a Cuba e nel resto del mondo”: «Abbiamo sempre considerato e continuiamo a considerare Giovanni Paolo II come un amico che si preoccupava dei poveri, che ha combattuto il neoliberismo e che ha lottato per la pace […] lo ricorderemo sempre anche per le sue dichiarazioni contro il blocco che soffre il nostro popolo, definito “una misura economica restrittiva imposta dall’estero, ingiusta ed eticamente inaccettabile».
Nel messaggio personale di condoglianze inviato al segretario di Stato Vaticano Angelo Sodano, così si è espresso il presidente Castro: «Desidero esprimere le più sentite condoglianze del popolo e del governo di Cuba. L’umanità terrà sempre con sé un ricordo commosso dell’instancabile lavoro che Sua Santità Giovanni Paolo II ha sempre compiuto in favore della pace, della giustizia e della solidarietà tra i popoli».

Anche dopo le dimissioni da Presidente del Consiglio di Stato e di Comandante in capo, avvenute il 18 febbraio 2008 per l’aggravarsi delle condizioni di salute, Castro continua a tessere i rapporti diplomatici con Vaticano, incontrando nella sua residenza privata prima papa Benedetto XVI e poi papa Francesco I. Prima di morire, Castro offre il suo ultimo “regalo” alla Chiesa di papa Francesco attraverso il governo guidato da suo fratello Raúl: in risposta all’appello rivolto dal Pontefice all’Angelus di domenica 6 novembre 2016, ai capi di Stato, in occasione del Giubileo dei carcerati, il Consiglio di Stato della Repubblica di Cuba, accetta di offrire l’indulto a 787 condannati.
Il Líder Máximo muore il 25 novembre 2016 e, a quanto si sa, non ha avuto conversioni dell’ultima ora. Dopo una visita fatta a Castro, l’allora presidente venezuelano Hugo Chávez riferisce che egli, dopo aver abbandonato la reggenza dello Stato, ha iniziato a meditare su Dio, dichiarandosi però solo un “cristiano nel sociale”.

Per saperne di più
Caretto E., Castro incontra il cardinale, in «Corriere della Sera», 11 ottobre 1995.
Castro F., Discurso Pronunciado por el Comandante Fidel Castro Ruz, Primer Ministro del Gobierno Revolucionario y Secretario del PURSC, Como Conclusion de las Reuniones con los Intelectuales Cubanos, Efectuadas en la Biblioteca Nacional (La Habana) el 16, 23 y 30 de Junio de 1961, in «Cuba. Gobierno», http://www.cuba.cu/gobierno/discursos/1961/esp/f300661e.html.
Di Nolfo E., Storia delle relazioni internazionali. 1918-1992, Roma-Bari 1995.
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Hubermann L., Sweezy P.M., Socialism in Cuba, Monthly Review Press, New York-London 1969 (trad. it. Il socialismo a Cuba, Dedalo, Bari 1994).
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Raffy S., Castro l’infidèle, Fayard, Paris 2003 (trad. it. Fidel Castro. Una vita, Rizzoli, Milano 2006).
Santini A., Agostino Casaroli. Uomo del dialogo, Edizioni San Paolo, Cinisello B. 1993.
Szulc T., Wojtyla: colloqui segreti con Castro, in “Corriere della Sera”, 29 settembre 1995.
Trento A., Castro e Cuba dalla rivoluzione a oggi, Giunti, Milano 2003.
Zerbini L., Fidel Castro. Il Líder Máximo, Newton Compton, Roma 2016.