Editoriale: L’Italia evolve, cambiano i simboli di Stato

di Paolo Maria di Stefano -

Da sempre lo status delle persone così come delle istituzioni si evidenzia attraverso “simboli” in origine esclusivi della categoria socio-economica o dello stile di vita di riferimento, mano a mano estesi per imitazione (e talvolta anche per conquista) agli appartenenti a categorie “in ascesa”. Dai più banali (non sorbire rumorosamente il brodo a tavola e non mangiare con le mani… sono simboli di buona educazione) ad altri più complessi, quali la reggia dell’ormai ex dittatore di Kiev, con tanto di zoo, bagno d’oro, galeone in giardino ed altro, simboli di ricchezza e di potere atti a descrivere il proprietario non solo come potente ai deboli, ricco ai poveri, ma anche come “potente” tra i potenti e “ricco” tra i ricchi. E, soprattutto, campione assoluto della mancanza di gusto.
Con in più che quelli che io chiamo “parasimboli” di stato svolgono il compito di far apparire come appartenenti ad una classe socio economica superiore a quella reale coloro che li detengono. C’è stato un tempo in cui i detentori delle ricchezze e del potere erano proprietari (o utilizzatori per privilegio) di vetture lunghe, larghe, potenti e in più di un caso blindate e, se non di rappresentanza, rosse e veloci; il voler apparire di coloro che non potevano permettersele e che non avevano diritto al privilegio ha dato vita a “mercati paralleli” i cui prodotti “apparivano” lunghi, larghi, potenti e colorati come quelli, ma privi dell’intima sostanza.
E la simbologia di stato è liquida e mutevole, un po’ come il mercurio. Ricordate quando la bicicletta, quella che distingueva gli operai dai dirigenti – che avevano la macchina – divenne simbolo dello status di questi ultimi? A Milano, i dirigenti “veri” e “veri signori” giravano con la bicicletta Montenapoleone, nera, con i freni a bacchetta e le ruote dai fianchi bianchi.  Versione ovviamente più costosa. E ricordate quando la persona importante scoprì che fumare non era di buon gusto, e neppure più caratteristica di un dirigente importante?
Si possono fare milioni di esempi, tutti veri e tutti dotati di un proprio ciclo di vita.

Non aver mai avuto niente a che fare con la Giustizia un tempo costituiva un motivo di orgoglio. Oggi, se non sei in qualche modo pregiudicato oppure non hai un giudizio in corso non sei nessuno. Soprattutto, non hai nessuna credibilità come Politico.
Corollario: mentre un tempo si parlava di “maestà della Giustizia”, oggi la Politica ha insegnato a parlare di “partigianeria”, di “incongruenza”, di “male incurabile della società”, di “giudici corrotti” ed anche di “giudici comunisti”, tutte cose alle quali occorre porre immediato rimedio.
E a non tenere in nessun conto le sentenze, obbligatorie per i comuni mortali, neppure lontana indicazione o suggerimento per i Politici.
Peggio: a farne motivo di orgoglio e argomentazione per la conquista (o il mantenimento) del potere.

Lo streaming più importante del mese ha visto di fronte un imputato e un condannato (almeno, così dicono i mezzi di informazione). L’occasione, le consultazioni per la formazione del nuovo Governo.
Il Presidente (allora) incaricato ha accettato che il suo incontro con il padrone del cinque stelle fosse trasmesso in streaming. Da qualche parte, lo si è ritenuto un errore. Mi permetto di dissentire. Matteo Renzi ne è uscito senza dubbio meglio di quanto non abbia fatto il proprietario del cinque stelle.
“Comunque!” avrebbe concluso Totò.
Il quale avrebbe apprezzato, forse, la gag del proprietario delle cinque stelle, fulgido esempio di comicità surreale e, credo, per una volta inconscia. Ma soprattutto concreta manifestazione non soltanto di ineducazione profonda, ma anche di assoluto disprezzo per tutti coloro che, simpatizzanti di astronomia, avevano deciso che il padrone incontrasse il Presidente incaricato. Cosa che egli ha fatto, fingendo di aderire alla indicazione dei suoi, in realtà qualificandoli come cretini, perché solo un cretino può non essersi accorto della banale e chiassosa farsa messa in atto.
E proseguita con l’occupazione degli spazi di una conferenza stampa nel corso della quale la misura delle banalità inutili si è colmata.
E io credo che il vero errore consista nel dare del cretino a chi in qualche modo ti segue.
Che forse un cretino è, ma non ama sentirselo dire.
E non ce n’era bisogno alcuno!
E il Presidente del Consiglio incaricato è uscito alla grande da un confronto da alcuni ritenuto pericoloso, così dimostrando, anche, che esistono giovani che valgono enormemente di più dei vecchi e rumorosi tromboni. Che non vuol significare esser dotati di capacità eccezionali, bensì soltanto che la loro (eventuale) incapacità è inferiore a quella degli ottoni citati.
“Checché…”, avrebbe detto ancora Totò.

Sembra che il pericolo maggiore venga non tanto e non solo dalla giovane età del Presidente, e neppure dal PD, ma soprattutto da coloro che, attraverso circoli costruiti attorno a due o tre nomi – peraltro non di ignoti peregrini – sostengono, proclamano e scrivono (io l’ho ricevuto via mail il 19 febbraio):
«Libertà e Giustizia segue con preoccupazione la nascita del governo di Matteo Renzi sia per le modalità che hanno portato al suo incarico sia perché temiamo che lo sbocco finale rappresenti il patto non scritto tra Renzi e Berlusconi e Verdini: la “seconda maggioranza” che dovrebbe intervenire a rafforzare il governo quando il 2018 sarà meno distante. Aiutaci a vigilare sulle nostre istituzioni e sulla nostra Costituzione.
Primarie per i segretari regionali del PD deserte; astensionismo del 48% alle elezioni sarde. Aumenta di ora in ora la lontananza fra cittadini, questa politica e questi partiti. Ecco il risultato del governo tecnico e dei governi di larghe intese. (
omissis) . Matteo Renzi, la cui ascesa alla guida del Governo – secondo Barbara Spinelli ha il sapore di certi cambi di guardia al Cremlino, ha concluso in queste ore le consultazioni con partiti e movimenti. Silvio Berlusconi all’uscita dall’incontro con il premier incaricato ha rilasciato una lunga dichiarazione alla stampa.  Ascoltando le parole del leader di Forza Italia, condannato in via definitiva, e ricevuto sia al Quirinale che a Montecitorio, la Presidenza di Libertà e Giustizia chiede a Matteo Renzi se il programma di riforma della Costituzione della P2, snocciolato da Berlusconi, sia anche il suo. (omissis)».

Domande certamente legittime, come certamente legittimo è il diritto di criticare e di dubitare. Ed è anche vero che il giovane Presidente del Consiglio si è mosso con la grazia di un elefante e facendo largo uso dei trucchi di un mestiere – quale è la politica italiana – che non brilla certo per lealtà e chiarezza, e neppure per rispetto degli avversari, se non a parole. E allora, una domanda da parte mia: ma la scuola politica da cui Renzi è uscito non è stata forse quella fatta tutta di pratiche di corridoio, di menzogne, di polvere negli occhi, di demonizzazione degli avversari, di attenzione spasmodica agli interessi propri e dei componenti la banda di riferimento, di pezze a colori e di tutto quanto – questo sì! – ha allontanato la gente dalla Politica (e dalle urne)? Al giovane rampante, reo confesso di ambizione smodata, possiamo forse rimproverare l’aver imparato la lezione?
Certo che è doloroso, ed anche preoccupante,  ma cosa ciascuno di noi ha fatto per impedirlo? Il responsabile avvocato del circolo di Libertà e Giustizia al quale per due anni sono stato ingenuamente iscritto ha preferito schierarsi tra i servi acritici dei fondatori, invece di conquistare al circolo il compito di “consulente” e di “luogo di creatività”. Non solo, ma quando ho cercato di far presente la cosa, sono stato accusato di “aver sparato a palle incatenate” e di “esser rimasto silente” e di altro assolutamente frutto di pura invenzione.
Che è uno dei metodi classici di una politica becera e onesta non più che tanto, e la cui documentazione scritta io conservo a futura memoria, se mai mi tornasse il desiderio di collaborare attivamente.
E chi ci assicura che le critiche e le condanne non siano espressione del rammarico – se non della rabbia – di non esser riusciti a precederlo, Renzi, e neppure ad opporsi in maniera credibile? E, soprattutto, non sono – queste critiche anche rabbiose – il sintomo, questo sì preoccupante, di una guerra già scatenata nel partito e probabilmente capace di impedire il raggiungimento di obbiettivi che non è detto siano negativi?
Il fatto è che gli obbiettivi in Politica mai o quasi sono negativi, così come mai o quasi sono esclusivi.

Il vero problema è che Renzi, esattamente come fanno tutti i suoi colleghi Politici, parla di programmi e non di pianificazioni, e almeno fino ad ora non ha detto nulla di nuovo e nulla che non sia stato detto da tutti i Partiti ed i movimenti attivi in Italia, e dunque anche i programmi non brillano per chiarezza e neppure per originalità. Ma è stato sempre così, è quello che gli è stato insegnato, ed è già tanto ch’egli sia riuscito a ragionare in termini di “tempi”. Male, ma lo ha fatto. Perché una cosa è certa: pianificare la gestione di fatti e situazioni imponenti quali le riforme che concernono il lavoro, il fisco, la giustizia, l’economia e l’istruzione non è cosa che si possa fare “una al mese”. Ripeto: si possono enunciare programmi, tanto in Politica lasciano il tempo che trovano e non costa nulla proclamare – come è accaduto ad opera di un richiamato in servizio – che in poche ore sarebbero stati creati milioni di posti di lavoro; si possono enunciare programmi, dicevo, ma elaborare pianificazioni di gestione è tutt’altra questione, e non c’è dubbio che, a parte l’indirizzo, il compito dei “Politici” è in materia abbastanza contenuto.

E ancora una volta le avvisaglie appaiono negative. Non solo non si parla di piani di gestione, ma le prime parole del nuovo Ministro dell’istruzione sono state: «cinquantatre miliardi per l’istruzione sono insufficienti».
E se lo dice lei, potrebbe esser vero: ha retto e amministrato una Università un tempo prestigiosa. Allora, non sarebbe il caso di andare a vedere a fondo come sono stati spesi i fondi in dotazione? I casi sono due, sostanzialmente: o non sono stati effettuati sprechi di sorta e le risorse sono state impiegate “a maggior gloria” della struttura, magari anche con qualche sacrificio sopportato in proprio, magari contenendo i costi di indennità, rimborsi viaggi e soggiorni, rappresentanza, convegni e congressi che nelle università italiane sono molto spesso inutili e ripetitivi; oppure l’Università è stata gestita in modo clientelare, familistico, a fini soprattutto di lancio personale. Perché non andare a fondo?
Con il solo scopo di aggiungere ai titoli accademici ed alle cariche il merito di essere stata oculata nella amministrazione.
E quindi di poter a buon diritto occupare un Ministero nel quale la buona amministrazione è ancora più essenziale, dal momento che il primo obbiettivo dovrebbe essere costituito dalla eccellenza del prodotto “studenti” e degli scambi che hanno per oggetto ciascuno dei giovani laureati.
E mi pare anche il caso di ricordare che i problemi della istruzione non sono costituiti soltanto dall’edilizia scolastica, della cui importanza nessuno  può dubitare, bensì dalla eccellenza degli scambi aventi per materia la produzione di istruzione, la produzione dei diplomati e dei laureati, la comunicazione e la apprensibilità del “prodotto studente”.
Che è tutt’altra cosa.
Tra l’altro, è possibile che cinquantatre miliardi siano un’inezia per quel ministero: lo ha detto il ministro.
Ma dov’ è il piano di gestione della istruzione? E senza una pianificazione di gestione, come si fa a sostenere che il piatto piange?

E torno ai simboli di Stato. Questo Governo insiste almeno su due vantaggi: l’equa – metà e metà– ripartizione tra uomini e donne dei ministeri e la giovane età media, la più bassa da sempre.  Io credo che dividere la partecipazione “di genere” in base al numero sia inaffidabile. I Ministeri vanno assegnati in forza delle capacità, e io credo che, oggi e in Italia, le donne siano più capaci degli uomini.
Ma bisogna dimostrarlo ed esserne certi. E per questo non basta né il criterio dell’età né quello della ripartizione quantitativa.
Comunque, l’ambizione smodata e l’uso spregiudicato di qualsiasi mezzo sembrano essere venuti alla ribalta – dopo secoli di vita quasi nascosta, anche se non più che tanto – come nuovissimi simboli di stato.
E chissà che non siano anche il collante tra Renzi e i suoi ministri?
Attenzione: il “metodo Renzi” per far carriera è forse il più rapido, ma non è affatto il meno pericoloso, neppure a livello personale. Recita un vecchio adagio: “chi di spada ferisce, di spada perisce”, e il neo Presidente del Consiglio ha fatto quanto ha potuto per circondarsi di persone  almeno in apparenza (e forse non tutte) simili a sé nel livello di ambizione e di mancanza di scrupoli…
E le spalle non sembrano coperte più che tanto.