Editoriale: Così parlò Donald Trump

di Paolo Maria Di Stefano -

“Io sono un genio”. Così parlò Donald Trump agli inizi di gennaio, quasi ad enunciare uno dei temi, il più importante, forse, di tutto l’anno 2018, in una con l’anticipazione, forse, del suo discorso a conclusione del primo anno di una presidenza che – a suo dire – ha riportato gli Stati Uniti al vertice dell’economia e della potenza mondiale.
La consapevolezza di un genialità conclamata si presta, come è ovvio, ad una serie di considerazioni dalle valenze le più diverse, sulle quali commentatori politici, economici, sociali, e giornalisti di tutti i media non hanno potuto evitare di sbizzarrirsi, anche consci, i giornalisti soprattutto, che una notizia di questa portata non poteva non richiamare l’attenzione.
Io non ho commenti da fare: se lo dice lui, non può che essere vero. L’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America è un genio.
Che non è una fortuna solo per gli americani, ma anche per i Politici (e gli Economisti) italiani se sapranno cogliere le opportunità offerte al nostro Paese proprio nel momento dello svolgimento di una campagna elettorale i cui risultati significano per noi questione di vita o di morte. E già c’è chi subito applaude a quel colpo di genio che è il fare ricorso al protezionismo tramite dazi doganali, stupendosi del mancato ricorso ad essi da parte dei nostri governanti per proteggere quel Made in Italy di cui tutti ci vantiamo ma che pochi conoscono nella sua essenza più vera.
Qualcosa di simile a quanto è accaduto quando il Genio ha proposto la costruzione di un muro al confine messicano: qualche politico italiano ha immediatamente arricchito di mattoni e filo di ferro la propria avversione per gli arrivi dei disperati, centinaia dei quali continuano anche in questo gennaio a morire nel Mediterraneo alla ricerca della libertà.

Disporre di un genio come interlocutore al di là dell’Atlantico è una fortuna per l’Italia e per la Politica italiana: potrebbe far piazza pulita di tutte quelle improbabili e non di rado false promesse alle quali ricorrono tutti i partiti, i movimenti, i gruppi, oltre ai singoli politici professionisti o dilettanti che siano. Basterebbe poco: approfondire (neppure più che tanto) i rapporti – inevitabili e misteriosi- che legano la genialità alla divinità. Si potrebbe scoprire che il nostro Paese da più di venti anni dispone di un “politico” non solo di genio, che sarebbe poca cosa perché i politici di genio in Italia pullulano, ma addirittura illuminato da una natura divina che lo rende immarcescibile e dunque immortale. E che non si è mai proclamato Dio, solo lasciando che i fedeli lo credano tale e ne comunichino la natura agli increduli.
Ora che dall’altra parte dell’oceano c’è un genio, chi potrà rifiutarsi di credere che il colloquio tra i due non si traduca in quella fortuna che lo stellone d’Italia da sempre disegna?
Naturalmente, come in tutte le cose – umane in genere e italiane in particolare- un problema c’è: quel Dio Politico ha un rivale, da sempre silenzioso in agguato, nel quale qualche anima semplice ancora crede. Il primo è Dio della comunicazione, sempre presente in ogni luogo e capace di fiumi di parole; l’altro, interrompe il silenzio solo per impartire essenziali insegnamenti al volgo. Il primo, dialoga con il genio via frizzi, lazzi, barzellette e corna nelle fotografie; l’altro, ha scelto il timore che invade un po’ tutti di fronte alla misteriosa grandezza dell’uomo che tace e del quale è quanto meno difficile interpretare i silenzi.
Ovviamente, tra i due Dei, una miriade di semidei aventi in comune la caratteristica di parlare troppo e troppo spesso senza senso.
Infine, un Sacerdote della Politica, guida spirituale di una Chiesa personale sulla cui forza nessuno sembra scommettere, ma la cui presenza nell’agone politico italiano ha, a ben vedere, un che di rassicurante, forse proprio per l’assenza di misteriosi Dei abitanti in misteriosi Paradisi.
Il Genio potrebbe essere per tutti – dei, semidei e sacerdoti- una sponda ideale: basterebbe osservarne il comportamento e trarne le conseguenze per l’azione in Italia.

“America first non significa America da sola”, disse anche Donald Trump a Davos. Che in fondo è un messaggio di una chiarezza assoluta: significa che chiunque lo voglia (e naturalmente sia gradito a Trump) può collaborare alla ripresa economica dell’America, purché ricordi che qualsiasi sia l’azione intrapresa, i benefici devono innanzitutto investire l’America e solo dopo gli Stati che hanno collaborato. Quello che più stupisce è la estrema novità dell’enunciato Presidenziale: mai nessuno, in migliaia di anni di economia e nei due secoli appena – poco più – di esistenza degli Stati Uniti aveva mai dichiarato che, quando si lavora insieme e tra eguali, c’è qualcuno più eguale degli altri cui spetta la priorità. Nei guadagni, naturalmente, perché nel caso di risultati negativi, questi vanno sopportati prima dagli altri, e poi, se è proprio indispensabile, dai leader.
Qualcosa di simile al patto leonino e al modo di pensare dei Politici e degli Imprenditori.
Soprattutto, comunque, la dimostrazione che noi italiani da Trump abbiamo tutto da imparare: le sue azioni e le sue enunciazioni spiegano meglio di quanto non sia mai stato fatto il perché la distribuzione della ricchezza nel nostro sistema economico è ormai fatta in maniera tale che meno del dieci per cento della popolazione possiede il novanta per cento delle risorse.
Un esempio? Non è forse vero che Trump ha promesso di cancellare o almeno modificare gran parte dei provvedimenti del predecessore Obama?

Da noi, un Partito più sicuro di altri di uscire vincitore dalle prossime consultazioni si è impegnato ad abolire o modificare quattrocento leggi, dieci più dieci meno. Poi dice che i Politici danno i numeri!
Benissimo, comunque. Era ora che qualcuno si accorgesse che almeno quattrocento delle migliaia di leggi italiane sono da rifare. Un dubbio: quel Partito ha pensato di predisporre una forza di tecnici del diritto in grado di produrre leggi efficienti ed efficaci? Perché le leggi che oggi si assumono come sbagliate o comunque da modificare sono state opera dei Parlamentari, che da sempre sono chiamati “a fare le leggi” e che da sempre proclamano di saper fare il proprio lavoro.
Che non è vero.
Ma c’è anche che il sistema per individuare le leggi da cambiare pare sia stato affidato ad un sito ad hoc, attraverso il quale chiunque può dare indicazioni. Una cosa è certa: ciascuno dirà che sono da cambiare le leggi che in qualche modo non fanno gli interessi del proponente.
Che è bello ed istruttivo.
Sopra tutto, è il più potente argomento contro una malintesa “democrazia diretta”.
Comunque, che importanza volete che abbia la circostanza che il leader di quel partito sia un giurista mancato? Ma siete proprio sicuri che il mix di ingegnere non realizzato e di giurista altrettanto rimasto nelle intenzioni nella stessa persona non sia il meglio per l’analisi delle leggi, la decisione di quali cancellare e perché, nonché quella di quali modificare e come non sia la migliore soluzione possibile?

Ventitré centimetri di binario hanno provocato il deragliamento di un treno di pendolari con il risultato di tre morti e una quarantina di feriti. Il gestore afferma che la manutenzione, sia del convoglio che della linea, è regolarmente effettuata dalle imprese appaltatrici e che i treni dedicati all’analisi delle condizioni della linea non avevano segnalato problemi. La stampa ed i network narrano che la stazione di Pioltello era stata attraversata a centoquaranta chilometri l’ora e che le scintille illuminavano alla grande l’alba milanese. Il conducente – il locomotore era in coda- dice di aver frenato non appena messo in allarme da vibrazioni anomale.
Le premesse per non arrivare alla verità ci sono tutte.