Editoriale: Attenzione alle virgole, straripano di significati

di Paolo M. Di Stefano -

Forse quanto scrive l’evangelista Luca (2, 1-14) è il modo migliore per augurare un anno felice: “E subito apparve con l’Angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama’”. Il brano che con queste parole si conclude è stato letto – non a caso – nella Messa (rito ambrosiano) del giorno di Natale.
Mi ha colpito la posizione della virgola. Più ancora della conclusione che per me e forse per tutti o quasi i fedeli da sempre era costituita dalle celeberrime parole “pace in terra agli uomini di buona volontà”, come peraltro riportato da La Sacra Bibbia annotata da Giuseppe Ricciotti, editore Salani 1958, ma non da Il Vangelo e gli Atti degli Apostoli – Nuovo testo CEI, edizioni San Paolo 2008. Comunque, sono andato a controllare. Matteo al capitolo nascita di Gesù non fa cenno alcuno alle legioni dell’esercito celeste e neppure cita il loro Gloria; la stessa cosa fanno Giovanni e Marco.
Identica cosa nell’edizione Fratelli Fabbri, 1968, con la sola differenza nella traduzione: “E subitamente si unì con l’Angelo una schiera della celestiale milizia che lodava Dio, dicendo ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini del buon volere’”. Come dire, spiega la nota, “Gloria all’Altissimo, pace alla terra, la divina benevolenza agli uomini tutti.” Ciò particolarmente per la variante che c’è nel testo greco.
Allora quella virgola “… e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” nel testo di Luca – che peraltro non compare nella edizione della Bibbia TOB, prima ristampa 1995, Editrice Elle Di Ci (Leumann, Torino) – diventa a mio parere di importanza straordinaria. Significa che l’amore di Dio per gli uomini non investe la sola categoria di quelli “di buona volontà”. Dio gli uomini li ama tutti, ed a tutti e a ciascuno dà le stesse possibilità: “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” ricorda lo stesso Luca (3,6) citando Isaia.
E questa è forse la vera essenza della eguaglianza, anche di quella terrena e materiale, e il reale vincolo ad ogni comportamento, la pace, della quale è lecito parlare come “causa”, fine ultimo dell’appartenere al genere umano.
E la parola “pace” ha con tutta evidenza un significato assolutamente assorbente e cogente.
Significa anche che non rispetta la volontà di Dio e neppure la natura umana chi condiziona la pace alla coincidenza con gli interessi propri e del gruppo di appartenenza.
Che potrebbe anche essere il discrimine tra specie umana e specie animali. Tesi, questa, a me particolarmente cara. Io credo che la differenza tra gli uomini e gli altri animali non consista nell’attribuzione esclusiva agli uomini della intelligenza, di cui gli animali sarebbero privi: sono più propenso a credere che al genere umano sia possibile attingere al livello massimo di essa, mentre gli altri esseri viventi sarebbero disposti lungo una scala di attribuzione che parte, forse, da un gradino zero per attingere a quello immediatamente inferiore al vertice, occupato dagli uomini.
Il che fa della pace nella globalità dell’essere la massima manifestazione della intelligenza, e qualifica la guerra, ogni guerra, forse ogni contrasto come manifestazione se non di stupidità, di scarso uso proprio di quella intelligenza che si assume unanimemente distintiva degli esseri umani.
E l’anno si conclude con un dicembre che dimostra quanto lontani gli uomini siano ancora dall’uso corretto della intelligenza e dal corretto intendere la pace.

La morte di Aleppo è forse l’ultima manifestazione in ordine di tempo di questa incapacità. Una città assediata da anni, una violenza cieca, una popolazione martirizzata, fosse comuni per seppellire donne e bambini, tutto per mantenere e possibilmente incrementare ricchezza e potere, a fini soprattutto economici.
Si tratta – per Aleppo, per la Siria, per tutti i Paesi implicati – di una manifestazione di quella “guerra guerreggiata” che è probabilmente l’espressione massima e più evidente di quella violenza il cui fine ultimo è l’annientamento fisico dell’altro. E se la pace è fine ultimo dei comportamenti umani e manifestazione massima dell’intelligenza, concludere che la guerra è stupidità diventa facile: una stupidità cieca e dunque non modificabile proprio per mancanza di intelligenza e dunque di capacità di capire.
Mentre alla carenza di cultura si può ovviare – perché la cultura è prodotto anche strumentale e dunque in grado di generare altri prodotti, destinati ad arricchire il patrimonio culturale di ciascuno di noi e capaci di farlo– alla mancanza di intelligenza sembra non esserci rimedio. Solo che gli esseri umani che della violenza fanno il proprio credo dispongono di un patrimonio di intelligenza, per quanto minimo e distorto, e questo crea in tutti coloro che usano la propria intelligenza per realizzare la pace l’obbligo di “produrre” quanto necessario per incrementare l’intelligenza di chi ne scarseggia.
Esempio e formazione sembra siano i principali prodotti strumentali capaci di tanto, non disgiunti da quella “manifestazione di forza” che, almeno all’inizio, è la sola comprensibile da parte degli imbecilli violenti, ma che richiede sapienza nell’uso, perché comunque difficile da praticare senza che si generino effetti distorti.
Che questa “terza guerra mondiale” in corso sia anche un effetto dei comportamenti dei popoli “evoluti” appare incontestabile. E allora, bisogna prenderne atto e agire in conseguenza.
Che potrebbe anche essere una delle speranze per l’anno nuovo.

Per una parte almeno dei terroristi a me pare necessario e comunque opportuno non sottovalutare il grado di imbecillità degli “imitatori”, tutti coloro che tentiamo di raggruppare sotto l’etichetta di “cani sciolti”, ma che, forse, sono meno sciolti di quanto possa apparire, anche tenendo conto di chi pensa che la difesa “in proprio” sia la migliore – e per questo si arma- e che “colpire per primo” sia una legge di comportamento di valore assoluto.
Dicembre ha visto la strage del mercatino natalizio a Berlino ad opera di un (forse) “cane sciolto” ucciso poi a Sesto San Giovanni dopo aver attraversato Germania e Francia. Ora si cercano eventuali fiancheggiatori e finanziatori, che è cosa buona e giusta ma che, con più di qualche probabilità, non porterà a risultati rilevanti.
E neppure – probabilmente – avrà soluzione il dilemma se sia stata una organizzazione a inventare gli attentati con l’uso dei camion, oppure se il primo dei cani sciolti a far uso di un camion non sia stato l’ispiratore di quel qualcuno che ha assunto – dopo – la figura di creatore e suggeritore.
Forse è veramente importante il saperlo ma, nel frattempo, non sarebbe una buona idea il setacciare a tappeto le città e i paesi e i villaggi alla ricerca almeno di quelle chiamate “armi proprie”, da fuoco e da taglio, sequestrarle (tutte) e provvedere a irrorare le sanzioni di legge a chi le detiene? Certo che non sarebbe un provvedimento risolutivo, ma un inizio questo sì.
E non sarebbe una altrettanto buona idea proibirne la vendita e l’acquisto, senza eccezioni, e dunque emanare in proposito una legge ferrea?
E dal momento che l’Europa tutta sembra sotto tiro, almeno in questa materia gli Stati non potrebbero trovare un accordo?
Che potrebbe essere un’altra delle speranze – e degli obbiettivi – dell’anno che si apre.
E quindi un traguardo dell’attività dei legislatori di tutti i Paesi, Italia in testa.

I profughi hanno continuato a tentare di raggiungere le nostre coste, la più parte cercando di sfuggire alle guerre che tormentano i loro Paesi o anche alla miseria che li ossessiona. Tra coloro che raggiungono vivi la terra, afferma più di qualcuno, si annidano terroristi, e per questo suggeriscono di respingerli in mare. Cosa peraltro impossibile, a meno che non si voglia sparare sui barconi stracarichi, commettendo con ciò omicidi di massa su gente per la maggior parte indifesa.
Più facile e meglio praticabile sarebbe, invece, l’accoglierli andando a prenderli sulle coste di partenza e consentendo loro di raggiungere i Paesi nei quali sperano un vita migliore.
Il brutto è che il problema più importante da risolvere è intanto trovare un accordo tra i diversi Stati che compongono questa Europa moralmente stracciona, priva ormai di valori e palesemente inconsapevole perfino del proprio essere, della propria natura, dei propri perché.
Che non è male, per quella che dovrebbe essere la massima espressione della civiltà avanzata. E poi, trovare la collaborazione dei Paesi che si affacciano sull’altra sponda del Mediterraneo.
Io auguro a tutti noi che l’anno che inizia si curi della formazione dei politici innanzitutto, per ragioni di pratica operativa, e della gente tutta e che organizzi quel sistema di trasferimento dei profughi sul quale più volte ci si è soffermati su queste pagine, in modo tale da raggiungere anche gli obbiettivi di identificazione delle persone “all’origine”, di lotta alle speculazioni lungo tutto l’arco delle operazioni, di contrasto alle mafie e dunque di migliore impiego delle risorse.
Se in questo anno nuovo si potesse iniziare questo processo, sarebbe già una buona ragione per parlare di un grande anno.

Gli italiani hanno respinto le proposte del legislatore di modifica alla Costituzione, e lo hanno fatto con una percentuale importante: il sessanta per cento. E subito si è scatenata la ridda delle interpretazioni, anche perché il Governo si è dimesso, assumendosi in chiaro le proprie responsabilità, continuando nell’ombra ad esistere senza differenze di rilievo.
Io credo che coloro che hanno votato quel NO ormai storico lo abbiano fatto in maggioranza senza approfondimenti, solo in base a quella “resistenza ai cambiamenti” che da sempre è componente dei comportamenti umani. Certo è che hanno detto no ad un cambiamento pasticciato e forse dannoso.
Coloro che hanno votato SI, sempre in maggioranza e sempre a mio parere lo hanno fatto pensando che l’importante è cambiare: il cambiamento per il cambiamento sembra divenuto un “must” non solo della politica, della gente tutta.
La mia opinione – della quale mi assumo ogni responsabilità – è che il progetto di modifica alla Costituzione vigente andava respinto perché oggettivamente fumoso e privo di contenuti veramente rilevanti, e questo perché viziato alla base. Una Costituzione – legge fondamentale di uno Stato, scritta o meno che sia – è l’ossatura organizzativa dello Stato stesso e l’ambito entro il quale l’attività legislativa deve svolgersi.
Deve per questo realizzare le condizioni migliori perché le leggi siano “prodotti di eccellenza”, e dunque deve far sì che i “produttori di leggi” siano specialisti della materia, in grado di dar vita a leggi di alta qualità. E questo – la qualità – non la si ottiene operando esclusivamente sui tempi, per esempio, o su altri elementi importanti, sì, ma non determinanti. Occorre la “preparazione tecnica” del “produttore”. Per questo, da queste pagine ho più volte sostenuto che la soluzione sarebbe stata – forse – fare di una Camera il laboratorio produttivo delle leggi, e dell’altra il “comunicatore e distributore e controllore” della efficienza e della efficacia, oltre che della loro applicazione.
Così non era, e per questo è giusto che il progetto sia stato respinto.
Io, non ostante questi (ed altri) miei convincimenti, ho votato SI, convinto come sono della insufficiente preparazione dei nostri Politici e dunque ritenendo che, forse, l’abitudine di ricorrere a pezze a colori avrebbe risolto qualche problema in più, anche tra quelli creati dal nuovo testo.
Ora mi pare che la cosa migliore da fare sia decidersi a realizzare la Costituzione vigente.
Finalmente.
Che ancora una volta potrebbe essere un obbiettivo dell’anno nuovo.

Il Ministro dell’Istruzione è cambiato. In peggio, pare. Ma non ha importanza: è solo la conferma che il nostro Paese alla Istruzione, soprattutto a quella pubblica, non dedica attenzione più che tanto, oppure ad essa guarda in modo distorto. Uno dei problemi pare consista nella circostanza che un Rettore Universitario sia stato sostituito con un non laureato. Poco male: si tratta del riconoscimento che le lauree, da noi, valgono tanto poco che il non averle conseguite non costituisce più un minus.
Una cosa è certa: l’essere laureato, oggi e in Italia, non garantisce assolutamente nulla. Né un posto di lavoro e neppure capacità diverse.
Molti anni fa, un editore di successo affermava due cose: che i professori universitari erano inaffidabili e che i plurilaureati non servivano a niente.
Importante sarebbe, invece, che alla Istruzione Pubblica venisse data l’importanza che merita, ed anche questo potrebbe essere un obbiettivo del 2017.
Auguri ancora.