Editoriale: Agosto, piove sul bagnato. Un record creativo della Politica e dell’Economia?

di Paolo M. di Stefano -

 

E’ il 13 agosto. Come dire Ferragosto. E piove a dirotto, non è caldo, e il colore dominante è un grigio di novembrina memoria. Pare che un momento di sole lo avremo domani.
Tutto perfettamente intonato agli accadimenti ed alle previsioni.
Intanto, l’economia. Sembra si confermi l’improbabilità per l’Italia di uscire in tempi ragionevolmente brevi dalle difficoltà che la attanagliano da alcuni anni, ormai. Anche perché le economie ritenute migliori della nostra cominciano a dare anch’esse segni di debolezza.
Nessuna sorpresa, almeno da parte mia. Solo la conferma di non avere sbagliato quando anche da queste pagine ho ritenuto assolutamente infondate le previsioni di chi sosteneva e sostiene la vicinanza della ripresa. Allora come oggi.
Non era e non è vero.
E non lo sarà fino a quando non ci si sarà resi conto che il sistema economico attuale è, se non in agonia, gravemente malato, e che è pressoché impossibile ridargli le forze della gioventù. Salvo miracoli, naturalmente.
Ma i miracoli non possiamo aspettarceli. Non dagli economisti e neppure dai politici. Dai primi, in quanto, proprio perché specialisti, incapaci di ragionare in modo non tradizionale al sistema di cui sono figli e a un tempo padri e dunque impossibilitati a cercare, trovare e proporre soluzioni; dai secondi, perché incapaci tout court.
Se c’era il bisogno di dimostrare che la politica è pura improvvisazione e che chi la pratica di tutto dispone meno che dell’indispensabile base culturale, bene: la dimostrazione è sotto i nostri occhi.
La Politica non è “l’arte della improvvisazione e delle pezze a colori”, e farne puro effetto di comunicazione – peraltro molto spesso anche incompleta e sempre di parte – ha un che di criminale.
E, probabilmente, anche di criminogeno.
Perché se ci si convince che lo Stato non assolve – o lo fa in modo assolutamente inadeguato – alla funzione che dovrebbe essergli propria, la tentazione di fare da sé diviene irresistibile, quasi obbligata.
E il far da sé riempie un arco che va dall’arrangiarsi come si può fino alla violenza più efferata.

Passando attraverso gradi diversi di egoismo. Come accade, per esempio, quando ci si scaglia contro l’accoglienza di coloro che fuggono dalla miseria e dalle guerre, anche invocando la difesa armata e l’affondamento mirato di quelle carrette stracariche che peraltro affondano comunque.
Ad agosto, altri arrivi, altri morti, altre proteste per le risorse impiegate per salvare i naufraghi.
I quali non sono soltanto vittime delle violenze e dei ricatti degli “agenti di viaggio e trasportatori” dei Paesi di origine: sono anche merce dalla quale le mafie, anche le nostre, traggono utili tutt’altro che trascurabili. Prima, durante e dopo il viaggio.
Con in più questo: che chi vorrebbe blindare le frontiere invoca il valore del risparmio in una con l’impiego delle risorse a vantaggio “degli italiani”, in quanto “padroni di casa”.

Nulla di strano, in fondo: l’affermazione di sé e il trarre profitto dalle circostanze sono due delle basi del sistema economico attuale il quale si fa forte anche di un’asserita indipendenza dalla morale, dall’etica, da diritto.

Ciò che più colpisce è, in fondo, che con una “filosofia economica” come l’attuale e con il sistema che ne deriva nessuno abbia preso in considerazione la possibilità di cogliere l’opportunità di guadagno rappresentata dalla risposta al bisogno dei profughi di acquistare sicurezza procurandosi un viaggio e un’accoglienza. Se è vero (il condizionale è d’obbligo: le fonti sono incerte e le notizie altrettanto) che ogni profugo paga circa cinquemila euro alle mafie che si occupano di portarlo al naufragio in zona di possibile salvezza, perché non trarne profitto chiedendo un prezzo più basso per il trasporto e l’accoglienza? Significa, probabilmente, incapacità proprio da parte di chi dell’economia fa bandiera e professione. A meno che non sia consapevolezza che, se il sistema di viaggio e di accoglienza fosse organizzato, il colpo alle mafie – almeno ad alcune – sarebbe mortale.
Perché non è detto che non siano proprio le mafie a gestire anche quella parte della politica che dovrebbe risolvere il problema.

E una terza ma non per questo meno importante colonna dell’economia (e non solo) è il comunicare “argomentazioni di vendita” atte ad attrarre il consenso o, quanto meno, a diminuire il dissenso.

Come accade per “la velocità”, oggi “plus” di una politica che ne ha fatto l’elemento principe e distintivo (forse, addirittura unico) del proprio modo di essere.
Anche in questo caso dimenticando che il lato positivo del “fare” e del “farlo rapidamente” dovrebbe avere una sua base solida nel sapere “che cosa” e “come”. Almeno.
Perché “cambiare la Costituzione” in tutto o in parte muovendosi come mosche impazzite non serve assolutamente a niente, salvo che a peggiorare quella che è e almeno fino ad oggi rimane una delle migliori Costituzioni del così detto mondo civile.
In presenza di una concreta e chiara pianificazione, invece…
Ma ci rendiamo conto che si insegue l’abolizione delle province senza ridisegnare con attenzione le competenze degli enti territoriali, quali che siano? E anche senza occuparsi dell’organizzazione degli stessi? E senza provvedere a riorganizzare la struttura delle Regioni, in testa quelle a Statuto speciale?
E che si sproloquia su tasse e fisco senza un minimo di affidabilità? E che la stessa cosa accade per la Giustizia?
Per non parlare del disegno dello Stato…
Il Parlamento a questo è riuscito a dedicare anche qualche ora serale, fatto, si dice, senza precedenti. Con un risultato sicuro: dimostrare ancora una volta – e Dio sa se ce ne era bisogno! – che il legislatore italiano non sa fare il proprio mestiere. “Fabbrica” leggi il cui unico scopo sembra essere quello di costituire materia di modifica e di miglioramento.
Sempre ammesso che, invece, i nostri politici non siano gente capacissima di fabbricare polvere e gettarla negli occhi degli italiani con lo scopo di difendere interessi propri e dei sodales.

Certamente, hanno la capacità di distrarre gli italiani dai veri problemi. Come quando si indignano – e si affrettano a comunicarlo! – perché un aspirante presidente della Federazione Gioco Calcio associa le banane ad uno o più giocatori. Accostamento infelice, ma che non mette in discussione nessuno dei valori fondamentali della nazione, pur rimanendo sintomo di una scala di valori almeno discutibile.
Oppure – o anche – quando si stigmatizza l’infelice chiamata dell’ex comandante di una nave da crociera bloccata in un incidente che ha provocato dei morti a tenere una lectio magistralis all’Università, sul tema della gestione degli eventi disastrosi. Docenti, Rettori e Ministri hanno gridato allo scandalo, pronti a cogliere l’occasione di presentarsi come campioni se non di coraggio almeno di etica. Come quel professore che si è arrogato il diritto di pubblicare su di un quotidiano peraltro importante e serio una reprimenda condita di annotazioni varie quali (cito testualmente) “ci sono stati campioncini semi analfabeti di sport seduti in cattedra e cantantucoli sfusi; nei casi peggiori, tutti ci ricordiamo di terroristi chiamati a discettare sugli anni di piombo tra docenti rispettosi e discenti rintronati. Il tutto in severe e statalissime aule universitarie, pagate con le tasse di tutti, dove sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più e di meglio. Ribadirlo sembra ormai inutile. Ma l’università è o dovrebbe essere il luogo dove si fa ricerca, si insegna, si educa al massimo grado, si impara il meglio, e non un magazzino casuale di trovarobe squallido (…)”.
E così potrebbe essere se, per esempio, un qualsiasi docente avesse la dignità di non raccomandare il figlio svogliato e ignorante, anche pretendendo un voto elevato, ed anche minacciando di ostracismo l’esaminatore. Ed anche, pare, pagandogli la laurea con l’assegnazione al relatore di un incarico di ricercatore. Proprio vero che la pagliuzza altrui è enormemente più visibile delle travi proprie, fino al punto di ignorare che docenti come lui hanno portato all’esclusione delle università italiane dall’elenco delle prime centocinquanta del mondo con, in più, la valutazione di quella nella quale insegna agli ultimissimi posti tra gli atenei italiani!
Ma tant’è: si invocano l’etica e il diritto per subito tacere, forse consapevoli di un comportamento generalizzato che consente di impiegare risorse non indifferenti a “far parlare di sé” organizzando congressi e convegni e giornate di studio con ospiti soprattutto “utili”, magari anche soltanto a garantire una cattedra a qualche moglie o a qualche figlio o famigliare o anche cliente, oppure una carriera politica.
Quanto meno, a garantirsi un qualcuno che ci deve qualcosa.

Perché se non dovete nulla a nessuno siete tagliati fuori: non siete ricattabili.

Che è uno dei metodi utilizzati dalle mafie: fare in modo che esistano crediti presto o tardi esigibili nei confronti di personaggi non necessariamente importanti (meglio se lo sono, ovviamente), ma in grado di operare fattivamente perché gli interessi delle mafie si concretizzino. Anche di questo si è parlato nel corso di un dibattito sul tema “legalità e impegno civile”, organizzato dalla Tigulliana e dal Comune di Chiavari, centrato sulla figura e l’opera di don Aniello Manganiello, per quindici anni parroco di Scampia, scrittore e prete anticamorra, e coordinato da Marco Delpino, giornalista, editore, storico e fondatore della Tigulliana. Notato che in piazza Fenice circa duecento persone hanno seguito il dibattito fino ad oltre mezzanotte – caso più unico che raro per la nostra cultura – avremo occasione di tornare sul tema in “cattedra”.

In agosto è tornato di moda un vecchio adagio: mal comune, mezzo gaudio. Quasi un miracolo, considerato il clima di rottamazione e la necessità di alleggerimento delle menti a fine di maggior velocità. L’Italia pare sia in recessione; la Germania ha registrato un risultato negativo; la Francia non ha voluto o potuto esser da meno; l’intera Europa non si sente tanto bene. E di fronte all’allarme di più di qualcuno, la politica italiana ha reagito richiamando la saggezza popolare secondo la quale mal comune è mezzo gaudio. Che è, poi, la prova che anche il sentir della gente può sbagliare, mal comune essendo piuttosto una tragedia.
E in economia, la tragedia è del sistema così come di un pensiero e di un attivarsi che sembrano non essere in grado di accorgersene e che insistono nel volerlo ricostruire solo rappezzando le strade fin qui percorse.
Magari in fretta.
Comunque, un accordo tra i Paesi Europei – grazie ai politici – sembra delinearsi: basta con il rigore, avanti tutta con la flessibilità.
Ci siamo accorti, in questo piovoso agosto assassino di una delle più sentite tradizioni italiane, le vacanze di massa e il non pensiero, ci siamo accorti – dicevo – che di tutto si è parlato, in economia come in politica, meno che di onestà e di consapevolezza dei fatti concreti di quel “bene comune” al quale tutti dicono di ispirarsi?

La notizia mi giunge mentre rileggo queste pagine prima di mandarle in pubblicazione:

Sono state rimandate a settembre (!) le questioni relative all’istruzione. Che è bello e istruttivo, e conferma la posizione di sempre della politica nei confronti di quella che dovrebbe essere al livello di massimo interesse: l’istruzione, appunto.
Io sono un ottimista, e spero che, invece, si sia trattato di un giudizio sulle farneticanti affermazione di un Ministro il quale è riuscito a riportare in vita una programmazione (pare) trentennale abbandonata da chiunque abbia un minimo di coscienza di sé e dei problemi di cui dovrebbe occuparsi, e che da sempre ha fatto di un insieme di parole quasi del tutto privo di senso comune il suo modo di comunicare. Che – fare molta attenzione! – non è segno di ignoranza o di incapacità, almeno non solo: unito al silenzio di cui anche al momento l’ex Rettore fornisce ampia prova, è indice di una (mediocre, peraltro) furbizia che dovrebbe contribuire a metterla al riparo dall’assunzione di posizioni chiare, in modo da consentirle di vendersi al migliore offerente.
E spero, anche, che si tratti di un barlume di luce sull’uso sfrenato delle parole e delle “buone intenzioni” destinate a rimanere tali.
Perché, come al solito, manca ogni pianificazione.
E mancano persone competenti e pensose al bene comune più che ad interessi di carriera. Mentre, pare, si moltiplichino le parole e le occasioni di spargerle nel terreno non fertile ma abbondante, dei creduloni.

A proposito, una richiesta di chiarimento: perché tutta la politica si precipita ai meeting di CL? E soprattutto: perché i meeting di CL sono divenuti così tanto importante cassa di risonanza? Che è la vera domanda, ed anche una prima risposta alla domanda precedente.

Agosto si chiude con un’importante vittoria di Renzi: Federica Mogherini è il nuovo Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione Europea. A questo proposito, l’ISPI scrive testualmente: “ …due sono i fattori che hanno pesato maggiormente sulle nomine di oggi. Innanzitutto, la consapevolezza dei leader europei che non si potesse tardare ulteriormente prima di dare alle opinioni pubbliche, reduci dal voto di maggio, un segnale: quello che la macchina non si è inceppata. Il segnale giunge tra l’altro nello stesso momento in cui Jean Claude Junker, insoddisfatto dalle nomine dei commissari compiute dagli Stati membri, chiede più tempo per mettere a punto una sua squadra. Del pari determinante appare essere stata l’intesa sulla nomina di Donald Tusk a Presidente del Consiglio Europeo. Nell’infinito rompicapo di Bruxelles, il primo ministro polacco si è rivelato il contrappeso ideale alla nomina dell’italiana: da un lato perché la formazione, Piattaforma Civica, è affiliata al Partito Popolare Europeo, mentre Mogherini proviene dalla grande famiglia socialista; dall’altro perché la nomina di Tusk risponde ai timori di quei Paesi dell’Europa centro-orientale che vorrebbero dare un segnale forte a Mosca nel contesto della crisi ucraina (…)”.

Qualcuno forse avrebbe potuto anche ricordare che l’on. Mogherini ha anche esperienza e, sembra, cultura sufficienti, quanto meno, a non far rimpiangere i suoi predecessori. Non in Italia e neppure all’estero. Che non so quanto sia rassicurante, ma è così.
Tutto questo mi consente anche di annotare come continui inossidabile l’idea che la politica sia l’arte del compromesso, con annessi e connessi, ma anche che il Presidente del Consiglio – che della Politica di vecchia scuola è stato allievo a quanto pare ottimo – in qualche modo continua a cercar di distinguersi. Con un solo problema: riuscire a passare con maggior decisione a fatti non solo concreti, ma determinanti al fine di risultati che possano esser venduti ed accettati dalla gente.
Una fan di Renzi, in un intervento ad una tavola rotonda, ha quasi con le lacrime agli occhi implorato di farlo lavorare tranquillo, di dargli l’opportunità di far vedere ciò che vale. Assolutamente d’accordo. Anche perché io sono dell’opinione che “gioventù” non sia sinonimo di inesperienza e, soprattutto, di incapacità.

Ma la gestione di uno Stato ha bisogno di ben di più dell’entusiasmo e della velocità e anche dell’esperienza. E non è affatto detto che il Presidente del Consiglio non lo sappia. Il problema è, forse, che se agli annunzi hanno fatto seguito i fatti, questi vanno seguiti e comunicati.
E le norme che se ne occupano devono essere applicate senza eccezioni.
Certe liquidazioni e certe pensioni, per esempio…
E certi rimborsi di spese di viaggio, di soggiorno e di rappresentanza di dirigenti, funzionari, impiegati e collaboratori pubblici…