Editoriale: A quaranta gradi tutto è possibile, e tutto accade

di Paolo Maria Di Stefano -

Tra uragani, terremoti, incendi, attentati, razzismi, atteggiamenti bellicosi e piacevolezze del genere luglio e agosto non si sono fatti mancare niente, pur se, almeno in apparenza, per gli italiani in vacanza prevalentemente al mare, come ai bei tempi, tutto sembra esser passato senza danni e, soprattutto, senza lasciare tracce evidenti, quasi a concretare un fatalismo che, peraltro, pare essere per noi strutturale.
Tanto più che gli uragani non ci riguardano direttamente, almeno per ora, e quanto è successo negli Stati Uniti a fine agosto è stato per noi più che altro fonte di curiosità. Tanto, non si può far nulla se non cercare di fuggire e di limitare i danni. Un po’ come succede per le bizzarrie del tempo: forse che qualcuno era ed è in grado di evitare che le temperature superassero e superino i quaranta gradi e che le piogge andassero e vadano anch’esse in vacanza? Purché là dove noi siamo vada un poco meglio…
A maggior ragion per i terremoti: siamo in zona sismica; è un intero anno che i movimenti tellurici non danno pace alle popolazioni dell’Italia centrale e meridionale, anche con un colpo di coda – finora – ad Ischia, l’isola splendida che di turismo vive, piena di turisti alcuni dei quali hanno deciso di tornare a casa non ostante i locali abbiano sostenuto che, in fondo, non è successo quasi nulla, e che sia le partenze anticipate che le disdette delle prenotazioni erano e sono ingiustificate. Sì, certo: qualche casa è crollata dalle parti di Casamicciola e quel paio di morti sembrano essere più un caso che un effetto. E poi: avete visto come siamo stati bravi a salvare quei tre bambini rimasti tutta la notte sotto le macerie? E smettiamola di trincerarsi dietro l’abusivismo edilizio. A Ischia, sembra abbiano giurato i sindaci, l’abusivismo non esiste e, anche se esistesse, non ha rapporti con il terremoto. Che è bello ed istruttivo, oltre che sintomatico del modo di fare comunicazione all’italiana.

Casamicciola da oltre cento anni è paradigmatica di disastro e tragedia, e proprio a causa di un terremoto, quello del 1883, che fece duemilacinquecento vittime su circa quattromila abitanti. Tra le vittime vi furono anche i genitori e la sorella del filosofo Benedetto Croce, il quale fu estratto vivo dalle macerie e non mise mai più piede sull’isola.
A Ischia la terra ha sempre tremato. Già il greco Strabone (64 a.C.-19 d.C.) descriveva l’isola soggetta a continui terremoti. E Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia, parlava di sconvolgimenti e di uno sprofondamento vulcanico che seguì un’eruzione nell’area oggi occupata dal Porto d’Ischia. Più recentemente le cronache storiche parlano di ben 15 sismi avvenuti tra il 1228 e il 1883 (Fonte ANSA).
Più che sufficiente per sostenere che sarebbe stato necessario ristrutturare tutto quanto possibile secondo criteri antisismici, con un piano affidabile di interventi, corredato da una attività di controllo ancor più rigorosa. Invece, è stato accertato che quasi o nulla è stato fatto, e che l’edilizia è sempre stata preda di quell’abusivismo che certamente non provoca i terremoti, ma ne moltiplica gli effetti. E l’abusivismo è inosservanza delle leggi (poche e probabilmente mal fatte, ma esistenti) e mancanza di controlli (forse in apparenza molti, ma certamente mal fatti anch’essi).
Ma soprattutto, l’abusivismo è serbatoio di voti.
Che significa: necessità di intervento sulla legislazione in materia e (forse, soprattutto) sulla attività dei controllori, determinandone le competenze, le modalità dell’azione, le sanzioni nei casi di controlli mal fatti o inesistenti. E soprattutto necessità di una “cultura della Politica” che proprio in chi di politica si occupa appare improvvisata.
Che è, innanzitutto, un problema di cultura e di educazione, prima ancora che di Politica nazionale e locale.

Per gli incendi devastanti che hanno percorso il Paese, sembra essere la stessa cosa: un problema di legislazione, di controllo, di educazione e cultura. Con questo in più, rispetto alle costruzioni con criteri antisismici: che si tratta di contrastare – almeno nella grande maggioranza dei casi – l’attività non di disonesti anche intelligenti e furbi e capaci, ma di perfetti imbecilli il cui unico scopo è “vedere le fiamme”, sempre che non si tratti di esecutori cretini di piani criminali, per i quali ultimi a maggior ragione occorre un sistema di prevenzione e di controllo assolutamente capillare, in grado anche di “cancellare il futuro voluto” dagli eventuali mandanti.
Qualcosa di più in “cattedra” dove ci occuperemo un poco più a fondo anche degli attentati che hanno colpito l’Europa e che, forse, con l’imbecillità hanno più di un legame.

Luglio ha visto concludersi la breve vita di Charlie Gard, undici mesi soltanto segnati da un male incurabile, la deplezione mitocondriale, che ha bloccato lo sviluppo di tutti i suoi muscoli, senza esclusione. Ai genitori è stato negato tutto, dalla possibilità di sottoporlo ad una cura sperimentale negli Stati Uniti a quella di riportarlo a casa per morire. Tutto in modo assolutamente legittimo e legale e in attuazione delle sentenze della Corte Suprema Inglese e del Tribunale per i diritti dell’uomo di Strasburgo.
La malattia di Charlie era certamente incurabile, come lo è per i sedici casi accertati nel mondo. Ma un dubbio (almeno) resta: le lungaggini giudiziarie hanno certamente concorso a rendere impossibile perché ormai certamente inutile il trasferimento negli Stati Uniti: e se, invece, si fosse provveduto immediatamente?
Non lo sapremo mai, ma una cosa è certa: ai genitori è stato negato tutto, anche il diritto di far morire il proprio bambino nella sua culla a casa. Che è una ulteriore dimostrazione della correttezza della intuizione di Terenzio, di san Girolamo, di Columella sintetizzata da Cicerone in sole quattro parole: “summum ius, summa iniuria”.

Ad agosto la guerriglia a Roma per lo sgombero dei “clandestini” e la liberazione dei locali occupati da anni. E con una certa Politica che, naturalmente, ha cercato di cavalcare l’evento a botta di luoghi comuni per lo più senza senso, a puro scopo elettoralistico.
E siamo di nuovo ai sindaci che protestano per l’assegnazione di immigrati nel Comune di competenza e allo Stato che non sa cosa fare e si trincea dietro la diminuzione degli arrivi grazie ad uno dei tanti provvedimenti tampone che, come tutti i provvedimenti di questo tipo, avrà vita breve, sarà aggirato, e il legislatore lo modificherà con altro provvedimento tampone.
Come sempre accade quando sono in gioco interessi e poteri forti, manca la capacità quando non la volontà di pianificare.
Sempre a scopo elettorale, c’è chi grida alla guerra: chiudere i porti, affondare le barche che trasportano i disperati, rispedire al Paese di origine i clandestini e via dicendo, con accenti che ricordano sinistramente la superiorità della razza, e che comunque dimenticano i valori sui quali si fonda quella civiltà, la nostra, che in qualche modo è vissuta come migliore delle altre e che, peraltro, si è evoluta anche grazie alla immigrazione in massa in Paesi diversi, alla ricerca di migliori condizioni di vita.
Io ho sempre pensato (e più volte ho avuto occasione di scriverlo) che quella parte del problema che riguarda “il trasferimento” delle persone dalle coste dell’Africa possa essere in gran parte risolto “andando a prendere” coloro che fuggono dai Paesi di origine e smistandoli a seconda delle possibilità nei diversi Paesi che compongono questa nostra strana e quasi immobile Europa. Sarebbe un colpo mortale alle mafie del settore ed anche a quelle organizzazioni apparentemente umanitarie che fanno affari in mare e in terra con il trasporto, l’accoglienza, il ricovero dei nostri fratelli comunque infelici e bisognosi di aiuto.
E sarebbe anche un enorme risparmio di energie e di capitali: quelli necessari per l’identificazione delle persone, almeno, e della conoscenza delle destinazioni.
Così come per la accoglienza e la sistemazione: creare luoghi dignitosi dedicati alla ospitalità ed alla eventuale formazione e all’addestramento al lavoro ed alla “vita” nella nostra comunità degli ospiti, gestiti correttamente da uffici di Stato composti da funzionari e impiegati capaci ed onesti sarebbe certamente un buon passo per evitare ribellioni e violenze e danni a cose e persone e dunque costi.
Ed anche per il destino attuale dei minori che arrivano, accompagnati o no, e che spariscono nel mondo della illegalità, del precariato, della delinquenza, dal quale è probabile non usciranno mai. Che è per noi un altro capitolo di costi tutt’altro che trascurabile.

Lo jus soli si pone al proposito come possibile soluzione da non sottovalutare, sia che venga applicato ai minori che arrivano in Italia, sia che venga limitato ai “nati” sul nostro suolo.
L’argomento richiederebbe una trattazione approfondita alla quale non è possibile dare attuazione in questa sede, così come un approfondimento meriterebbe quanto affermato da Papa Francesco in favore dello ius soli.
A me sembra solo opportuno segnalare la scomposta reazione di Salvini, del resto in linea con la cultura e l’educazione del politico aspirante premier, e quella di Dario Martini sul Tempo, il quotidiano cui collabora. Quest’ultimo scrive (22 agosto) «Papa Francesco ordina lo ius soli all’Italia: cittadinanza dalla nascita. Bergoglio vuole anche che agli immigrati siano garantite pensioni e sanità».
Che a me pare modo piuttosto becero e strumentale per commentare l’opinione del Pontefice, il quale a mio avviso non ha “ordinato” niente a nessuno, limitandosi a ricordare che anche gli immigrati sono esseri umani, e che la Chiesa anche di essi si deve occupare, proprio perché esseri umani.
E poi la più “colta” reazione del quotidiano Libero “Capito, Bergoglio” (titolino di testa e di coda) con lo scopo di far finalmente capire al Pontefice la natura dello Stato del quale è a capo.
Scrive testualmente Libero:

«Papa Francesco – come abbiamo visto – fa propaganda a favore dello ius soli e dell’immigrazione selvaggia. In un’anticipazione del messaggio che invierà in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del prossimo 14 gennaio, dal tema “accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati”, Bergoglio spiega come “nel rispetto del diritto universale a una nazionalità questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita».
Peccato che le leggi del Vaticano, come si legge su Italia Oggi, lo smentiscano. Lo Stato Pontificio è infatti una nazione blindatissima. Qui non si entra: è questa la legge del Vaticano. Lo prevede esplicitamente il diritto vigente nella stessa Nazione. La legge CXXXI (131) sulla cittadinanza, la residenza e l’accesso, promulgata da Benedetto XVI il 22 febbraio 2011, all’ art.1 sull’ acquisto della cittadinanza stabilisce che cittadini dello Stato della Città del Vaticano siano: i Cardinali residenti nella Città del Vaticano in Roma, i diplomatici della Santa Sede; coloro che risiedono nella Città del Vaticano in quanto vi sono tenuti in ragione della carica o del servizio.
Al secondo comma dell’art. 1 si stabilisce che il Papa, e per lui il Cardinale presidente del Governatorato (e cioè il cardinale Giuseppe Bertello), può attribuire a richiesta degli interessati la cittadinanza vaticana: a) a coloro i quali risiedono nella Città del Vaticano in quanto vi sono autorizzati in ragione della carica o del servizio; b) a coloro che, indipendentemente dalle condizioni previste alla precedente lettera a), sono autorizzati dal Sommo Pontefice a risiedere nella Città del Vaticano; c) al coniuge ed ai figli di un cittadino che, a seguito di autorizzazione, risiedono con lui nella città del Vaticano.
In soldoni: se una donna immigrata partorisce a “casa” di Bergoglio, il nuovo nato non è automaticamente un cittadino vaticano. Questo perché il Vaticano non prevede, nelle sue norme, il diritto di cittadinanza per ius soli. Capito Bergoglio?”
Ora finalmente Bergoglio ha capito, e probabilmente, da persona educata, ha anche ringraziato l’estensore, a me ignoto, della lezione.
Mi resta un dubbio, certamente fondato sull’ignoranza (mia!): se “il Vaticano non prevede, nelle sue norme, il diritto di cittadinanza per ius soli”, che cosa può riconoscere a quella “donna immigrata che ha partorito a casa di Bergoglio”?
E inoltre: lo Stato Città del Vaticano non altro è, in realtà, se non un grande “ufficio” l’appartenenza al quale è puramente ed esclusivamente ordinata al lavoro che l’ufficio stesso è chiamato a svolgere, e cessa con il cessare delle funzioni e delle competenze svolte. E’ cittadino, cioè, chi lavora nello e per lo Stato. Riconoscere la cittadinanza a chi è fisicamente nato “in un ufficio” quale che sia, in una impresa qualsivoglia sarebbe un po’ come stabilire che quella nascita comporti in automatico la qualifica di impiegato, quale ne sia il livello. Il che non mi pare abbia molto senso.
E in più non esiste una “nazionalità” vaticana.
Capito, giornalista di Libero?
Forse, invece, occorrerebbe meditare sulla opportunità offerta dalla cittadinanza conseguita in forza dello ius soli: anche questi cittadini dovrebbero poter circolare liberamente in tutti i Paesi della Unione, esattamente come tutti noi.

Luglio ed agosto hanno comunque connotazioni positive: mi pare di poter dire che hanno lasciato intravedere il fondo di quanto accade in questi tempi calamitosi e, per più di un verso, oscuri. Certo, un fondo per raggiungere il quale ci vorrà del tempo ancora, ma un fondo che esiste e che è quindi raggiungibile.
Che non è poco, se è vero che una volta toccato il fondo, si può tentare la risalita.