DIODATO LIOY: TRA GIORNALISMO, DIRITTO ED ECONOMIA

di Michele Strazza -

Giornalista e giurista allievo di Francesco De Sanctis, fu attento alle vicende nazionali e internazionali. A lui si deve una visione moderna del nascente “diritto internazionale”, atto a dirimere pacificamente le controversie tra Stati.

 

Nato a Venosa, in Basilicata, il 18 febbraio 1830 da Girolamo e Teresa Marolda da Muro Lucano, Diodato Lioy apparteneva a una ricca famiglia gentilizia trasferitasi da Terlizzi, in Terra di Bari.
Dopo i primi studi nel Seminario di Molfetta insieme a Luigi Lavista si recò a Napoli per seguire i corsi di Diritto, Storia e Filosofia. Partecipò ai moti del 1848 e, per tale motivo, venne rimpatriato a Venosa.
Ritornato a Napoli, intraprese la carriera di giornalista. Schierato sulle tesi del “principio unitario” e della “monarchia plebiscitaria”, nel 1848 fondò il quotidiano “L’Indipendenza Italiana”. Il giornale, collegato ad un foglio omonimo pubblicato a Cagliari, uscì il 6 aprile di quell’anno con un resoconto sulle cinque giornate di Milano.
Allievo di Francesco De Sanctis, il 5 aprile del 1861, si complimentava con lui per la nomina a ministro della Pubblica Istruzione, inviandogli la sua traduzione della Storia Greca e della Storia Romana del Duruy da utilizzare nelle scuole secondarie.
Nel 1862, insieme a Pietro Sterbini, diede vita al “Roma”, quotidiano partenopeo che aveva come programma l’accordo “della democrazia con la monarchia e della libertà con la religione”. Il primo numero, in cui Lioy figurava come editore, uscì il 22 agosto di quell’anno. Redazione e tipografia erano al numero 7 di vico Luperano, nel Cavone, a pochi passi da piazza Dante.
Quattro anni dopo il giornale distribuiva 2.800 copie e, nel 1872, raggiungeva una tiratura di 6.000 copie. Grazie, poi, ai capitali investiti dalla ricca famiglia di industriali tessili della moglie, la napoletana Angelina Sava, ne diventò unico proprietario.
Insegnò all’Università di Napoli dove tenne corsi liberi di Economia Pubblica, di Scienze delle Finanze e di Diritto Amministrativo. Fu anche vicepresidente del Credito Agrario Meridionale, Società anonima cooperativa a capitale illimitato, costituita il 23 luglio 1885.
Grazie ad una sua inchiesta giornalistica ebbe un ruolo importante nel famoso processo Cuocolo contro la camorra napoletana, uno dei più ingarbugliati procedimenti giudiziari della storia italiana originato dall’uccisione, nel giugno del 1906, del camorrista Gennaro Cuocolo e di sua moglie Maria Cutinelli, ex prostituta.
Morì a Napoli, nel villino “Poli” di Bellavista, il 30 dicembre 1912. Una strada della città partenopea porta il suo nome.

Tra le sue opere, alcune delle quali pubblicate anche all’estero, ricordiamo: Del principio di nazionalità guardato dal lato della storia e del dritto pubblico (Napoli, Marghieri, 1861), L’Italia e la Chiesa Romana. Risposta a Guizot (Napoli 1861, 1895), La caduta del ministero Rattazzi (Napoli, 1862), Due anni di vita politica e letteraria (Napoli, Marghieri, 1863), Biografia di Giuseppe Ferrari (Torino, UTET, 1864), Il diritto e la filosofia positiva (Napoli, Tip. dell’Industria, 1873), La mia possibile entrata in Parlamento (Napoli, 1874), Il passato e il presente della scienza economica (Firenze, Tip. Carnesecchi e Figli, 1875), Noografia (Napoli, Tip. Dei classici italiani, 1877), Della Filosofia del Diritto (Napoli, Jovene Ed., 1884), Ultima fase della questione romana (Napoli, Regina, 1895) L’economia politica a volo di uccello. Quattro prolusioni ai corsi universitarii (Napoli, Regina Ed., 1896), La catastrofe di un Regno (Napoli 1904); in quest’ultima ricostruì la vita politica napoletana tra il 1859 e il 1861, analizzandone le contraddizioni. Pubblicò anche, nel 1906, Le origini dell’Europa contemporanea. Del 1910, invece, sono Opuscoli politici ed economici (Napoli, Regna) e Opuscoli scientifici e letterari (Napoli, Regina).
Le sue pubblicazioni scientifiche, frutto degli studi e delle lezioni accademiche, seguono un filo indissolubile tra diritto, economia e storia, nella consapevolezza che l’impostazione storica e, spesso, anche filosofica, sono alla base della comprensione dei fenomeni giuridici ed economici.
Così in Due anni di vita politica e letteraria (1863), nonostante la varietà degli scritti raccolti (i quali toccano anche aspetti letterari e artistici), sono le dettagliate analisi politiche ed economiche sulla situazione degli Stati preunitari che attirano la nostra attenzione, mentre le vicende storiche fanno da cornice all’approdo all’Italia unita e alla finanza dei primi anni del nuovo Regno.
Di qui la precisione del suo Diario della rivoluzione dell’ex Regno delle Due Sicilie nel quale ripercorre gli eventi più significativi di tale “rivoluzione”, le sue riflessioni sulla Politica Estera, affrontata con l’occhio sempre attento ai risvolti finanziari e, infine, la trattazione scientifica delle Finanze e della Economia pubblica, dove si sofferma sulla situazione finanziaria del regno borbonico (e del relativo debito pubblico) fino ai primi anni dell’Italia sabauda, senza dimenticare le imposte e lo spinoso problema della divisione dei demani comunali.

Ma è nelle opere giuridiche che traspare l’acutezza del pensiero del Lioy, anche se spesso accompagnata da una innegabile dose di ingenuità culturale, così come è presente quell’entusiastico vigore con cui esercitava la libera docenza presso l’Università partenopea. E le sue intuizioni, insieme ai relativi approfondimenti, ci consegnano la figura di un giurista attento alle vicende nazionali ed internazionali, pur se non troppo distaccato dal pensiero del tempo.
Ne Del principio di nazionalità guardato dal lato della storia e del dritto pubblico, il Lioy si accinge ad una disamina storica di popoli e nazioni, partendo dal mondo antico, con l’obiettivo di approfondire l’origine delle nazioni europee. Nella seconda edizione del 1863, egli manifesta la preoccupazione dell’equilibrio del vecchio continente, un equilibrio che, per realizzarsi, “deve avvenire “con la conservazione e rigenerazione degli Stati esistenti e con l’equa distribuzione de’ territori e dell’influenza fra le tre principali stirpi europee, la latina, la germanica e la slava”.
Nell’Introduzione dell’opera sono delineati sinteticamente tutti gli aspetti oggetto delle sue riflessioni. Molto significativa, dal punto di vista storico e giuridico, è la puntualizzazione della differenza tra Stato e Nazione. Mentre, infatti, a formare uno Stato bastano “gli interessi comuni e la volontà comune”, per la Nazione è necessaria un’origine comune “per avere gli stessi pensieri e gli stessi sentimenti ed una lingua che serva ad esprime questi pensieri e questi sentimenti”.
Certo, essendo un uomo dell’Ottocento, in Lioy non difettano alcuni pregiudizi, tipici dell’epoca, come quello nei confronti della storia dell’Oriente, peraltro poco conosciuta, per cui è solo con la civiltà greca, prima, e, poi, con quella romana, che i popoli presero consapevolezza del “diritto”. Infine al Cristianesimo si deve una visione di “fraternità” che, comunque, le continue guerre mettono in discussione.
Il futuro, per Lioy, riserva, sicuramente, una storia migliore, grazie al miglioramento delle relazioni internazionali e al progresso industriale. Pur essendo qui presenti la visione positivistica dell’uomo ottocentesco e la fiducia nelle “umani sorti”, è innegabile che egli esprima una impostazione più moderna, incentrata proprio sul nascente “diritto internazionale”, unica base per dirimere le controversie pacificamente, in un’ottica unitaria, anche se rispettosa delle singole indipendenze.
Si ravvisa, qui, il superamento della semplice difesa dell’indipendenza delle nazioni che deve trovare un temperamento negli interessi generali da preservare. Del resto, questa concezione moderna, la ritroveremo nei successivi studi che egli riservò proprio al Diritto degli Stati, cioè a quel diritto internazionale che stava compiendo i primi passi.

Difatti, nei Principii di Diritto Pubblico Interno ed Esterno del 1867, egli ritorna, con un maggiore approfondimento, su molte questioni giuridiche già affrontate. In particolare nel primo volume, tratta dei rapporti tra il diritto costituzionale e il diritto internazionale.
L’esposizione del Diritto Interno e del Diritto Esterno è, dunque, il suo obiettivo di fondo. Il libro rappresenta, infatti, l’esposizione del corso universitario da lui tenuto, diviso in quattro parti: diritto pubblico generale, diritto costituzionale, diritto internazionale, diritto amministrativo. Oggetto del primo volume è la disamina del diritto costituzionale e del diritto internazionale.
Nella prima parte egli precisa essersi occupato dei “rapporti tra l’individuo e la società politica”, denominata “Stato”, soffermandosi a descrivere i diritti fondamentali dell’individuo “che ogni politico ordinamento deve rispettare”.
Si passa, poi, ad enumerare le condizioni che limitano il potere coercitivo dell’uomo sull’uomo, “affinché lo svolgimento delle umane facoltà avvenga secondo i dettami della giustizia e della natura”. Di qui la descrizione della struttura politica che, nelle società moderne, meglio risponde a questo scopo, cioè il “governo costituzionale o rappresentativo”.
La seconda parte, invece, è dedicata ai rapporti tra gli Stati. Lo Stato, infatti, ha una sua individualità precisa, è “una persona morale”. Ha, quindi, “diritto ad una vita propria, ad una sfera d’azione che ha la giustizia per regola, i diritti altrui per limiti e le leggi per garentia”.
Ma la società degli Stati – precisa Lioy – resta “una società imperfetta”. Per paura, infatti, di ostacoli “al loro interno svolgimento”, ognuno di essi ha voluto conservare la propria indipendenza, per cui le norme del loro operare devono desumersi dai trattati, dagli usi e dalla ragione. I loro diritti sono stati determinati nello stesso modo usato per gli individui. A garanzia di questi diritti non è stata trovata “una politica costituzione”, ma le relazioni interstatali sono state basate sui trattati di alleanza e sulla guerra. In riferimento a quest’ultima, Lioy amaramente ammette che “mille espedienti” sono stati utilizzati per spingere gli Stati ad abolire la guerra. Tutti sono stati attentamente studiati, pur conservando la convinzione che siano soltanto “le istituzioni liberali e la fusione degli interessi economici” a rappresentare gli “argini a rendere meno frequente la guerra”.

Tralasciando gli aspetti retorici e, spesso, pregiudiziali, di alcuni aspetti della trattazione, è nell’esposizione del diritto internazionale che il Lioy dà prova di una acutezza non comune. Innanzitutto egli non dimentica mai la cornice storica degli avvenimenti da cui trae le sue tesi, ma ha anche una spiccata capacità di individuare gli eventi più significativi per introdurre la sua esposizione giuridica.
Così quando parla dello “jus gentium” romano egli precisa subito che esso, in realtà, corrispondeva al “nostro dritto naturale”, mentre l’origine del diritto internazionale andrebbe ricercato nello “jus feciale”, riguardante proprio le ambasciate, i trattati pubblici e la guerra. I feciali erano gli interpreti, “ed in certa guisa i sacerdoti della fede pubblica”. Gli scrittori, secondo Lioy, in seguito confusero il diritto delle genti, come lo intendevano i romani, con il diritto internazionale secondo l’accezione moderna. Grozio fu il primo a distinguerlo chiaramente, Zouch gli diede il nome di “jus inter gentium”. Bentham, infine, lo chiamò “diritto internazionale”.
Il giurista lucano differenzia, poi, il diritto internazionale “pubblico” da quello “privato”. Mentre il primo si occupa delle regole che dirigono l’attività degli Stati nelle loro relazioni come enti collettivi, il secondo disciplina le relazioni degli individui cittadini dei diversi Stati.
Obiettivo della trattazione del Lioy è il diritto internazionale pubblico. Il fondatore della disciplina – egli precisa – fu Ugo Grozio con il suo De jure belli et pacis, considerato come “il codice delle nazioni”. Ma a spianare la strada all’autore olandese fu Alberico Gentile che fu anche il primo a scriverne in due trattati: De jure belli e De Legationibus.
Dopo aver passato in rassegna pensatori e giuristi che se ne occuparono, senza dimenticare di citare Kant, il quale insistette sull’assoluta necessità di fondare un diritto internazionale, egli si concentra sul diritto internazionale riprendendo alcuni concetti già espressi in Del principio di nazionalità guardato dal lato della storia e del dritto pubblico.
L’intuizione di Lioy, a questo punto della trattazione, è quella di aver capito che l’unico modo per evitare le guerre e gli scontri tra gli Stati consisteva nel rendere obbligatorio un procedimento di conciliazione, come previsto, ad esempio, dal Trattato di Parigi del 1856, non potendo sperare nella realizzazione di una pace “perpetua” o nell’istituzione di un “tribunale internazionale”. E tale intuizione, costituisce, indubbiamente, una importante novità nell’Europa di fine Ottocento.

Per saperne di più
Guidotti L., Il processo Cuocolo, Milano, Curcio, 1950.
Lioy D., Due anni di vita politica e letteraria, Napoli, Marghieri, 1863.
Lioy D., Del principio di nazionalità guardato dal lato della storia e del dritto pubblico, Napoli, Marghieri, 1863.
Lioy D., Principii di Diritto Pubblico Interno ed Esterno, vol. I Diritto Costituzionale – Diritto Internazionale, Napoli, Morano, 1867.
Strazza M., Avvocati dell’Ottocento nel Vulture-Melfese. Repertorio, Melfi, Tarsia, 2006.