DALLAS 1963, IL COMPLOTTO IN FUMO (I)

di Roberto Poggi -

L’assassinio di John Kennedy ha fatto versare fiumi di inchiostro su presunti mandanti che avrebbero armato la mano di Oswald o sulla presenza di altri killer nel luogo del delitto. Ma alla prova dei fatti, tutte queste teorie si sono rivelate per quello che sono: esercizi giornalistici privi di riscontri attendibili o volutamente refrattarie all’uso circostanziato delle testimonianze. (prima parte) 

 

La limousine presidenziale sfila per le vie di Dallas qualche minuto prima dell’attentato

La limousine presidenziale a Dallas poco prima dell’attentato

Qualche minuto prima delle 12,30 del 22 novembre 1963, Howard Brennan, un idraulico quarantenne, stava seduto sul muretto accanto al semaforo all’angolo tra Houston ed Elm Street, esattamente di fronte al Texas School Book Depository, in attesa del corteo presidenziale proveniente dal centro di Dallas. Guardandosi distrattamente intorno notò alcune persone affacciate alle finestre dell’edificio di fronte a lui, e per un attimo il suo sguardo si soffermò su di un giovane snello e vestito di chiaro al quinto piano.
Il sopraggiungere da Houston Street della limousine presidenziale catturò l’attenzione di Brennan come di chiunque altro tra la folla assiepata lungo il percorso del corteo. La limousine, con a bordo il presidente Kennedy, su moglie Jacqueline, il governatore del Texas Connally e sua moglie Nellie, aveva appena svoltato in Elm Street e si stava lentamente allontanando quando Brennan avvertì uno scoppio, immaginò che si trattasse del ritorno di fiamma proveniente dalla marmitta di una delle moto di scorta, poi udì una seconda detonazione che gli parve assomigliare a un fuoco d’artificio lanciato dal deposito di libri. Istintivamente alzò gli occhi e vide il giovane che aveva notato qualche istante prima al quinto piano: stringeva un fucile contro la spalla destra e sporgendosi oltre la cornice della finestra stava prendendo la mira. Dopo aver fatto fuoco Brennan lo vide ritrarsi lentamente, senza fretta.
Altri testimoni, tra cui Amos Lee Euins e James Worrell, videro la canna di un fucile spuntare dalla finestra del sesto piano, ma non furono in grado di descrivere con precisione il tiratore.
Negli stessi istanti, tre impiegati del deposito di libri, Bonnie Ray Williams, Harold Norman e James Jarman, affacciati alle finestra posta all’angolo sud est del quarto piano dell’edificio, udirono distintamente sopra le loro teste tre spari, tre rumori metallici prodotti dall’otturatore di un fucile che veniva ricaricato ed il tintinnio dei bossoli che cadevano sul pavimento del piano superiore. Norman aggiunse di aver notato della polvere cadere dal soffitto dopo ogni sparo.
Pochi minuti prima dell’inizio della sparatoria in Dealey Plaza, Bonnie Ray Williams aveva consumato il suo pranzo a base di pollo al quinto piano, seduto su di un carrello accanto ad alcuni scatoloni. Mentre mangiava non aveva né visto né sentito nessuno, poi era sceso al piano inferiore per incontrarsi con i colleghi.

La finestra al quinto piano da cui Oswald sparò

La finestra al quinto piano da cui sparò Oswald

Nel marzo del 1964, David Belin e Joseph Ball, due investigatori della commissione Warren, incaricata dal presidente Johnson di indagare sull’omicidio Kennedy, si preoccuparono di verificare le testimonianze di Williams, Norman e Jarman. Un agente del Secret Service dotato di un fucile ad otturatore manuale fu posizionato al quinto piano, al piano inferiore Belin, nonostante lo spessore della soletta, capace di reggere il peso di tonnellate di libri scolastici, poté udire con chiarezza il rumore del movimento dell’otturatore ed il tintinnio prodotto dai bossoli a contatto con il pavimento.
All’echeggiare del primo sparo in Dealey Plaza, Rosemary Willis, una bambina che stava correndo sulla sinistra del corteo, si bloccò e si guardò intorno. I piccioni appollaiati sul tetto del deposito di libri si alzarono improvvisamente in volo. Alcuni agenti della scorta ed alcuni spettatori si voltarono in direzione del deposito di libri. A bordo della limousine presidenziale Kennedy smise di salutare ed il governatore Connally accennò a voltarsi. L’agente del Secret Service alla guida della limousine, William Greer, frenò e si voltò per tentare di capire che cosa stesse succedendo. Quella decisione istintiva di frenare lo avrebbe tormentato per anni dopo l’attentato, poiché aveva reso il presidente un bersaglio ancora più facile.
James Tague, un giovane venditore di auto che si trovava nei pressi del cavalcavia ferroviario, sullo stretto marciapiede tra Main e Commerce Street, fu colpito alla guancia da una scheggia di cemento che gli procurò un graffio. Quella mattina Tague si stava recando dalla sua fidanzata per portarla a pranzo, il sopraggiungere del corteo presidenziale gli aveva impedito di proseguire su Commerce Street, aveva quindi abbandonato l’auto sotto il cavalcavia ferroviario e si era cercato un posto da cui osservare Elm Street.

Dealey Plaza a Dallas

Dealey Plaza a Dallas

Per i sostenitori delle teorie complottistiche il lieve ferimento di Tague è la prova che gli spari diretti contro la limousine presidenziale provenivano dalla collinetta erbosa posta difronte al corteo. L’ipotesi appare però tutt’altro che verosimile, in quanto un tiratore posizionato frontalmente al corteo avrebbe dovuto mirare in direzione opposta a Kennedy per riuscire a colpire seppur di rimbalzo il marciapiede tra Main e Commerce Street e quindi la guancia di Tague.
La scheggiatura prodotta sul marciapiede fu sottoposta ad analisi spettrografica dall’FBI e non rivelò tracce del rame di cui erano rivestiti i proiettili sparati dal tiratore posto alle spalle del presidente. Tale constatazione è interpretata dai sostenitori delle tesi complottistiche come una conferma oggettiva dell’esistenza di più di un fucile puntato contro Kennedy la mattina del 22 novembre. L’assenza della camiciatura di rame sul proiettile che colpì il marciapiede su cui si trovava Tague in realtà non implica affatto la presenza di un secondo tiratore. Il proiettile potrebbe essere stato sparato dal quinto piano del deposito di libri ed aver colpito la struttura del semaforo tra Houston ed Elm Street oppure un ramo della quercia che ostruiva la visuale del tiratore. Dopo essere stato deviato il proiettile sarebbe rimbalzato sull’asfalto di Elm Street frantumandosi, una porzione priva della camiciatura di rame sarebbe quindi schizzata fino al marciapiede su cui si trovava Tague. Quattro agenti motociclisti della scorta dichiararono di aver visto l’asfalto di Elm Street colpito da un proiettile. Tuttavia gli inquirenti con negligente superficialità non condussero un’analisi né sull’asfalto di Elm Street, né sulla quercia, né sul semaforo posti difronte al deposito di libri alla ricerca di frammenti o tracce di un proiettile.
Nel 2011 il giornalista americano Max Holland, nel suo documentario intitolato JFK: The lost bullet, ha evidenziato, esaminando fotografie e filmati della Dealey Plaza nelle ore seguenti l’attentato, la presenza di un foro alla base della cornice metallica del semaforo sospeso all’angolo tra Houston ed Elm Street. Tale foro potrebbe essere stato prodotto dall’impatto del primo proiettile sparato dal deposito di libri. Si tratta tuttavia di un’ipotesi destinata a rimanere priva di una conferma definitiva, in quanto il semaforo presente nel 1963 è stato da tempo rimosso e sostituito.

La cinepresa di Zapruder

La cinepresa di Zapruder

Dopo aver mancato il bersaglio al primo tiro, forse tradito dalla tensione, l’assassino appostato al quinto piano del deposito di libri ebbe la visuale completamente libera, prese con cura la mira e fece fuoco. La schiena del presidente si trovava ad appena una sessantina di metri da lui.
Abraham Zapruder, un sarto di origine russa con una passione per le riprese cinematografiche, quella mattina si era recato al suo atelier, situato all’interno del Dal-Tex Building, il palazzo accanto al deposito dei libri, dimenticandosi di portare con sé la sua cinepresa Bell&Howell Zoomatic. Era stata una sua impiegata, Marilyn Sitzman, a convincerlo a tornare a casa a prenderla per filmare il passaggio del presidente su Elm street. Prima dell’arrivo del corteo, Zapruder, in compagnia della sua impiegata, aveva scelto con cura il luogo da cui effettuare la ripresa: un muretto di cemento in cima al terrapieno sul lato destro di Elm street. In 22 secondi filmò l’arrivo di Kennedy, il suo ferimento e la corsa disperata della limousine presidenziale verso il Parkland Hospital. Nell’istante coincidente con il fotogramma 223 del filmato un proiettile raggiunse la parte alta della schiena del presidente con una angolazione di 20 gradi ed uscì dalla trachea sotto il pomo d’Adamo, in prossimità del nodo della cravatta. Kennedy portò le mani alla gola e sua moglie si voltò verso di lui. Al presidente della corte suprema, Earl Warren, Jackie dichiarò di essersi voltata sentendo le urla del governatore Connally, al contrario suo marito non ebbe il tempo di emettere alcun gemito. Ricordò anche di aver visto nei suoi occhi uno sguardo interrogativo.
Lo stesso proiettile uscito dalla trachea del presidente penetrò nella schiena del governatore Connally rompendogli una costola, poi uscì sotto il capezzolo destro, raggiunse il polso destro fratturando il radio e terminò la sua corsa infilandosi sotto la pelle della coscia sinistra, una quindicina di centimetri sopra il ginocchio. Il proiettile fu ritrovato quasi intatto al Parkland Hospital sulla barella che aveva trasportato il governatore.
Nella sua deposizione alla commissione Warren, Connally disse di non aver udito il secondo sparo, ma di aver avvertito soltanto la sensazione di essere stato colpito alla schiena. Quando il sangue aveva incominciato a sgorgargli sul petto aveva pensato di essere stato ferito a morte. Si era allora piegato in avanti, la moglie Nellie lo aveva tirato verso di sé e tenendogli la testa sul suo grembo aveva trovato la forza di rassicurarlo. Per tutto il tempo della sparatoria Connally era rimasto cosciente e con gli occhi aperti.

Il secondo proiettile sparato dal deposito di libri colpisce il presidente Kennedy alla schiena e alla gola

Il secondo proiettile colpisce Kennedy alla schiena e alla gola

La traiettoria appena descritta è considerata dai complottisti come impossibile per un proiettile privo di poteri magici. Come avrebbe potuto un proiettile attraversare due corpi senza deformarsi o distruggersi? Come avrebbe potuto un proiettile procedere a zig-zag, rimanendo addirittura sospeso tra un corpo e l’altro?
La teoria della “pallottola magica” fu elaborata da Arlen Specter, un giovane e brillante assistente del procuratore distrettuale di Filadelfia, inserito nello staff della commissione Warren con il compito di indagare sulle ultime ore di vita del presidente e sulla dinamica del suo assassinio. Oltre a numerosi testimoni oculari della sparatoria, Specter, in quanto responsabile delle prove mediche, interrogò, nel marzo del 1964, anche il comandante James Humes, il patologo della marina che aveva eseguito l’autopsia sul corpo del presidente all’ospedale navale di Bethesda.
Analizzando l’ingrandimento di un fotogramma del filmato di Zapruder che mostrava Kennedy portarsi le mani alla gola, Humes azzardò, senza rendersi conto delle implicazioni, l’ipotesi che lo stesso proiettile dopo aver attraversato la parte inferiore del collo del presidente avrebbe potuto penetrare nel torace del governatore Connally. Quelle affermazioni furono illuminanti per Specter poiché sovvertivano le conclusioni dell’FBI e del Secret Service, secondo cui Kennedy e Connally erano stati raggiunti da due diversi proiettili, fornendo al tempo stesso una spiegazione plausibile del mancato ritrovamento sulla scena del delitto di un secondo proiettile. Attribuire la ferita al collo del presidente e quelle sul corpo del governatore ad un solo proiettile risolveva inoltre il problema dell’incompatibilità tra la teoria dell’assassino solitario e il brevissimo lasso di tempo intercorso tra il ferimento di Kennedy e quello di Connally.

Kennedy poco prima di essere raggiunto dal terzo proiettile esploso dal deposito di libri

Kennedy poco prima di essere raggiunto dal terzo proiettile esploso

I tecnici dell’FBI avevano stabilito che la cinepresa di Zapruder funzionava a una velocità di 18,3 inquadrature al secondo. Questo parametro aveva consentito di calcolare la velocità media della limousine presidenziale mentre attraversava Dealey Plaza, ovvero 18 chilometri all’ora. L’FBI aveva quindi stimato dopo alcuni test che a un tiratore esperto occorressero 2,3 secondi, equivalenti a 42 inquadrature del filmato di Zapruder, per sparare due colpi in rapida successione che andassero a segno su di un bersaglio che procedeva a 18 chilometri l’ora. Tra il momento in cui il presidente era stato trafitto alla schiena e quello in cui Connally mostrava di essere stato colpito erano intercorsi meno di due secondi, cioè una trentina di fotogrammi, non abbastanza affinché un solo tiratore potesse colpirli entrambi. A meno che un solo proiettile “magico”, oppure molto fortunato, non avesse trapassato la schiena di Kennedy ed il torace di Connally incontrando soltanto tessuti molli, incapaci sia di frantumare sia di deformare la pallottola.
Specter sottopose al comandante Humes il reperto catalogato con il numero 399, ovvero la pallottola blindata calibro 6,5, appiattita ma quasi intatta, rivenuta sulla barella di Connally e gli chiese se a suo parere avrebbe potuto trafiggere il corpo di Kennedy e causare tutte le ferite di Connally. Il patologo prendendo le distanze dalle teoria che egli stesso aveva appena suggerito, rispose: “Lo ritengo molto improbabile”.
L’opinione di Humes, che possedeva nozioni di balistica molto limitate, non scoraggiò affatto Specter, né gli impedì di convincere gli altri investigatori dello staff ed i commissari della validità della teoria della pallottola singola. David Belin, l’avvocato trentacinquenne dell’Iowa che per primo aveva intravisto le prove di un complotto analizzando il filmato di Zapruder fotogramma dopo fotogramma alla luce dei test effettuati dall’FBI, non esitò ad abbracciare la ricostruzione proposta da Specter. Sensata e condivisibile apparve anche a Warren e all’ex presidente della banca mondiale John McCloy, entrambi avevano constatato in gioventù nelle trincee della prima guerra mondiale quanto la reazione di un soldato dopo aver ricevuto uno scheggia o una pallottola potesse essere imprevedibile e persino differita. Pertanto il ritardo con cui Connally nel filmato di Zapruder mostrava di essersi reso conto della ferita non li stupì affatto.

Il reperto 399, il proiettile calibro 6,5 trovato quasi intatto sulla barella del governatore Connally

Il reperto 399, il proiettile calibro 6,5 trovato sulla barella del governatore Connally

Oltre all’approvazione di colleghi e superiori, Specter non tardò a ricevere conferme anche sul piano scientifico. I test balistici indipendenti effettuali dall’FBI e dall’esercito nella primavera del 1964 conclusero che la pallottola che colpì Kennedy al collo possedeva ancora energia sufficiente per provocare tutte le ferite subite da Connally. Le prove effettuate dai tecnici dell’esercito nell’arsenale di Edgewood nel Maryland furono particolarmente accurate e contemplarono persino l’uso di teschi umani riempiti di gelatina, braccia di cadaveri e capre vive coperte di strati di stoffa.
Per i teorici della cospirazione quel ritardo nella reazione di Connally, quantificabile in circa tre quarti di secondo, rimane inspiegabile. In realtà, come Warren e McCloy avevano visto con i propri occhi sui campi di battaglia, non esistono parametri statistici che definiscano entro quali tempi un ferito manifesti dolore o qualunque altra reazione. Ogni corpo umano colpito da un proiettile ha tempi e modalità di reazione propri. Basti pensare che il governatore del Texas quando giunse al Parkland Hospital reggeva ancora in mano il cappello, nonostante avesse il poso fratturato.
Al di là dei tempi di percezione e di reazione di Connally, intorno al fotogramma 224 del filmato di Zapruder si può osservare che il bavero della sua giacca si solleva come se qualcosa fosse passato tra il suo corpo e l’indumento. Nel fotogramma precedente, il 223, Kennedy appare colpito alla schiena. Il tempo che intercorse tra il ferimento del presidente e quello del governatore fu ben inferiore ai tre quarti di secondo, nonostante la reazione relativamente tardiva di Connally.

La prova visiva offerta dal filmato di Zapruder non scalfisce comunque la granitica convinzione dei complottisti secondo cui il reperto 399 si presenta troppo integro per aver attraversato due corpi. I proiettili incamiciati, full metal jacket, come quelli sparati su Dealey Plaza possono attraversare più corpi senza subire danni evidenti, inoltre se perdono velocità prima di raggiungere il bersaglio e impattano contro tessuti molli è improbabile che si deformino o si frantumino. Al contrario quando un proiettile raggiunge un osso dopo aver coperto una brevissima distanza e quindi alla sua massima velocità, oltre 670 metri al secondo, tende a deformarsi o addirittura a frantumarsi. Le prove effettuate in tempi recenti con manichini balistici, riproducendo la distanza tra tiratore e bersaglio verificatasi a Dallas la tragica mattina del 22 novembre 1963, dimostrano che la relativa integrità del reperto 399 non ha nulla di magico.
Le circostanze del ritrovamento del reperto 399, a opera di Darrell Tomlinson, un tecnico del Parkland Hospital, hanno suggerito ai complottisti che qualcuno dei congiurati avrebbe potuto agevolmente collocare una pallottola sotto il materassino di gomma della barella di Connally per sviare le indagini e avvalorare così la teoria del tiratore solitario. Tale manovra avrebbe però richiesto ai congiurati straordinarie doti di preveggenza, poiché quando Tomlinson trovò la pallottola nessuno poteva sapere fino a che punto una falsa prova sarebbe stata utile a proteggere il complotto. Anzi, nel caso in cui i proiettili realmente sparati contro il corteo presidenziale fossero stati ritrovati quella falsa prova avrebbe messo in evidenza una oscura macchinazione.
Sul piano scientifico oggi possono sussistere ben pochi dubbi che il reperto 399 abbia attraversato il corpo di Connally. Alla fine degli anni ’70 la commissione parlamentare (HSCA) incaricata di riesaminare il lavoro diretto da Warren più di un decennio prima concluse, alla luce di esami scientifici, che i frammenti trovati nel polso del governatore corrispondevano, con una probabilità del 97%, a quelli mancanti dal reperto 399, rinvenuto quasi intatto, ma non perfettamente intatto.

Il terzo proiettile colpisce il presidente Kennedy alla testa

Il terzo proiettile colpisce Kennedy alla testa

Un altro argomento caro ai teorici del complotto, celebrato con grande efficacia dal film di Oliver Stone, è la supposta traiettoria a zig-zag che la pallottola “magica” avrebbe dovuto percorrere per ferire sia il presidente che il governatore del Texas. Ovviamente non ci fu alcuna traiettoria a zig-zag, per il semplice fatto che Connally era seduto su di uno strapuntino della limousine, con il torso rivolto verso destra, più in basso e più all’interno rispetto a Kennedy. Se si considera l’effettiva posizione del governatore, l’allineamento delle sette ferite prodotte su due degli occupanti della limousine risulta perfetto, senza alcuna offesa né alla fisica, né alla balistica.
Tra il secondo e il terzo sparo, al fotogramma 313 del filmato di Zapruder, intercorsero un paio di secondi. L’assassino corresse il tiro e mirò alla testa del presidente che si trovava a circa ottanta metri di distanza. Il proiettile penetrò nella parte posteriore del cranio di Kennedy con un angolo di impatto di 15 gradi e fuoriuscì nella zona fronto-parietale destra provocando una vasta ferita con un diametro di 13 centimetri.
Nellie Connally udì distintamente il terzo sparo, poi fu investita da schizzi di sangue e brandelli di tessuto cerebrale azzurrognolo. Alla commissione Warren dichiarò: “Era come se dei pallettoni da caccia cadessero tutto intorno a noi”. Il governatore accasciato sul grembo della moglie ricordò di aver visto sui propri pantaloni “un frammento di tessuto cerebrale grosso quanto il mio pollice” e poi di aver urlato: “Oh no, no, no … Dio mio ci ammazzeranno tutti!”
Quel pulviscolo di sangue e tessuti investì anche la first lady che reagì d’istinto salendo sul sedile e tentando di arrampicarsi sul baule della limousine per recuperare un frammento del cranio del marito. Nella sua deposizione alla commissione Warren Jackie disse di non ricordare quella reazione istintiva e disperata e di averne preso coscienza soltanto dopo la visione delle immagini della sparatoria. Nella sua memoria erano rimasti impressi gli istanti successivi, quando aveva stretto in grembo la testa grondante di sangue di suo marito ed aveva urlato: “Ti amo Jack.”
Il governatore Connally riferì di aver sentito Jackie lanciare anche un altro grido: “Hanno ucciso mio marito…ho il suo cervello qui su una mano.”

Dealey Plaza negli istanti successivi all’attentato

Dealey Plaza negli istanti successivi all’attentato

Charles Brehm, un reduce dello sbarco in Normandia che si trovava in compagnia del figlioletto a non più di sei metri dalla limousine presidenziale, dichiarò all’FBI che gli spari provenivano da uno dei due edifici all’intersezione tra Houston ed Elm street. La commissione Warren prese atto della sua testimonianza, ma non ritenne opportuno interrogarlo. Anche i coniugi Connally, pur non essendo affatto persuasi dalla teoria della pallottola “magica”, affermarono che tutti gli spari provenivano dalla direzione del Book Depository, alle spalle del corteo.
All’echeggiare del primo sparo, l’agente del Secret Service Clinton Hill saltò giù dall’auto che seguiva la limousine presidenziale per correre verso Kennedy e proteggerlo; con uno scatto riuscì ad afferrare il mancorrente fissato al paraurti posteriore della limousine e ad appoggiare il piede sul minuscolo predellino sinistro. In quel momento Jackie si era arrampicata sul baule e rischiava, a causa della brusca accelerazione della limousine, di essere sbalzata in strada e travolta dall’auto di scorta. Hill ebbe la prontezza di spingerla all’interno dell’abitacolo impedendole di cadere. Fu l’unico eroe di quella giornata nera per gli apparati di sicurezza degli Stati Uniti, nonostante la sera prima avesse infranto le rigide regole del Secret Service concedendosi, in compagnia dei colleghi, uno scotch con soda in un locale notturno di Fort Worth.

L’unico proiettile che colpì il cranio del presidente si frantumò, due frammenti furono rinvenuti all’interno dell’abitacolo della limousine, altri causarono lievi danni al parabrezza e alla sua cornice cromata. Alcuni teorici del complotto attribuiscono queste scalfitture ad altri proiettili, a loro avviso sparati, come quello che raggiunse la testa del presidente, frontalmente o lateralmente rispetto al corteo, con ogni probabilità dal poggio erboso. L’inspiegabile fretta con cui la limousine fu ripulita dopo l’attentato costituirebbe una prova della volontà dei congiurati di rimuovere tutte le tracce in contrasto con la teoria del tiratore solitario appostato al quinto piano del deposito di libri. Il movimento indietro e a sinistra della testa di Kennedy all’impatto con il proiettile, testimoniato dalle immagini del filmato di Zapruder, sarebbe poi la prova lampante e inconfutabile che almeno un secondo tiratore era appostato sulla collinetta erbosa. Le ricostruzioni fantasiose della sparatoria in Dealey Plaza arrivano a contare sino a quattro tiratori. I fatti accertati raccontano però una realtà ben diversa. Né sulla collinetta erbosa, né in qualunque altro luogo diverso dal quinto piano del deposito di libri furono rinvenuti armi o bossoli.
Almeno un paio di testimoni, Sterling Holland e Lee Bowers, entrambi addetti al controllo del traffico ferroviario, dichiararono di aver notato del fumo in corrispondenza della staccionata in prossimità degli alberi sulla collinetta erbosa. Tali affermazioni per quanto suggestive sono tutt’altro che rilevanti, dal momento che le munizioni delle armi da guerra come quella ritrovata al quinto piano del deposito di libri non emettono fumo al momento dello sparo. I membri dello staff della commissione Warren considerarono l’avvistamento di uno sbuffo di fumo sulla collinetta erbosa inattendibile, non solo in considerazione delle caratteristiche di sparo delle armi presumibilmente impiegate nell’attentato, ma anche della posizione dei fantomatici tiratori, a pochi metri dal pubblico disseminato su Elm street. Ad una distanza così ravvicinata qualcuno avrebbe dovuto vederli chiaramente. Ed invece così non fu.

Dealey Plaza pochi istanti dopo l'attentato

Dealey Plaza pochi istanti dopo l’attentato

Per i sostenitori della cospirazione ciò che i testimoni non videro fu ripreso da Orville Nix, un cineamatore che si trovava in Dealey Plaza sul lato opposto rispetto a Zapruder, quindi con una visuale sulla collinetta erbosa. Alcuni fotogrammi sembrano mostrare la sagoma biancastra di uomo in cima al poggio. Negli anni 60’, la Itek Corporation, un’azienda appaltatrice della difesa specializzata nella produzione di telecamere per i satelliti spia, analizzò il filmato di Nix, giungendo alla conclusione che la macchia visibile era stata causata dai raggi solari che filtravano attraverso le fronde degli alberi. Nel 1978 l’House of Representatives Select Committee on Assassinations (HSCA), la commissione parlamentare incaricata di indagare sull’assassinio di John Kennedy e di Martin Luther King, confermò che la sagoma ripresa da Nix non corrispondeva a una figura umana.
Anche ammettendo, pur in assenza di prove convincenti, che qualcuno fece fuoco dalla collinetta erbosa, questi certamente non colpì la testa del presidente. La radiografia del cranio di Kennedy evidenzia uno sciame di frammenti metallici disposti in una direzione unicamente compatibile con la traiettoria di un proiettile entrato posteriormente e uscito anteriormente. Un proiettile sparato da una diversa direzione non avrebbe potuto provocare una ferita con la forma e le caratteristiche di quella riportata da Kennedy. Le fotografie dell’autopsia mostrano un’apertura a “rosa” verso l’esterno delle ossa craniche che un proiettile proveniente frontalmente o lateralmente non avrebbe potuto di certo provocare. Nemmeno ipotizzare, come azzardano taluni complottisti, che due proiettili distinti, sparati uno da dietro e uno da destra, abbiano colpito contemporaneamente la testa del presidente rimuove l’impossibilità, data l’apertura a “rosa” delle ossa craniche, di riscontrare gli effetti di uno sparo laterale.
La tempia di Kennedy rimase intatta, il proiettile entrò posteriormente nella teca cranica, facendo esplodere la calotta e provocando una violenta fuoriuscita di massa cerebrale che spinse la testa del presidente prima, quasi impercettibilmente in avanti e poi violentemente indietro e a sinistra, in direzione opposta a quella dello scoppio, con un movimento simile a quello di chi emerge dall’acqua e ruota la testa indietro per non far ricadere i capelli in faccia. Ben prima che il premio Nobel per la fisica Luis Alvarez spiegasse nel 1976 il movimento indietro e a sinistra della testa di Kennedy facendo ricorso al cosiddetto ”effetto jet”, i medici e gli esperti di balistica interpellati dalla commissione Warren avevano fatto notare che il movimento apparentemente bizzarro del capo del presidente era imputabile ad uno spasmo nervoso e non presupponeva affatto che il proiettile provenisse lateralmente o frontalmente.

Trascorsero poco più di otto secondi dal primo al terzo sparo e non ce ne fu un quarto. La commissione Warren, mostrando agli occhi dei complottisti un atteggiamento sbrigativo e omissivo, ritenne che i testimoni che avessero contato più di tre detonazioni fossero stati ingannati dall’eco o dalla propria immaginazione. La credibilità di tale conclusione parve vacillare nel dicembre del 1978, quando il professor Robert Blakey, direttore dello staff investigativo dell’House Select Committee, commissionò un riesame del tracciato audio della sparatoria, attribuito alla radio di servizio del poliziotto motociclista McLain, rimasta inavvertitamente accesa. I periti acustici incaricati affermarono che il nastro conteneva non tre, ma quattro spari.
Preso atto di questa risultanza scientifica, la commissione parlamentare, pur in assenza di altre prove, si vide costretta ad ammettere l’esistenza di un secondo tiratore appostato sulla collinetta erbosa e di un quarto sparo andato fuori bersaglio. L’illusione dei complottisti di aver trovato finalmente, dopo tante menzogne e depistaggi, un riscontro oggettivo ai loro sospetti ebbe però breve durata. Circa un anno dopo la pubblicazione del rapporto finale della commissione, Steve Barber, un giovane studente che aveva acquistato la registrazione attribuita alla radio di McLain allegata a un periodico, si accorse, ascolto dopo ascolto, della presenza di una voce che intimava: “Mantenete tutto al sicuro”. I tecnici dell’FBI si incaricarono quindi di riesaminare la traccia e non solo confermarono la scoperta di Barber, attribuendo quella voce allo sceriffo Bill Decker intento a dare istruzioni via radio ai suoi uomini un minuto dopo la sparatoria, ma chiarirono anche che quelli che sembravano spari erano in realtà fruscii. Negli anni successivi studi indipendenti condotti dall’Accademia delle Scienze e dal Comitato Nazionale delle Ricerche giunsero alle stesse conclusioni.
Analizzando i filmati della scena del delitto risultò evidente che la posizione assegnata dai periti dell’HSCA a McLain, all’angolo tra Houston ed Elm Street, era errata. L’agente motociclista, come aveva sempre sostenuto senza essere creduto dalla commissione parlamentare, si trovava al momento degli spari a circa 150 metri dalla limousine presidenziale, all’incrocio tra Houston e Main Street. Inoltre la registrazione analizzata dai periti non poteva provenire dalla sua radio, poiché dopo la sparatoria aveva seguito a sirena spiegata la limousine presidenziale al Parkland Hospital e sul nastro non vi era affatto il rumore di una sirena. Indagini più accurate stabilirono che la registrazione era stata effettuata da una motoveicolo a tre ruote posizionato al Trade Mart, il luogo in cui Kennedy avrebbe dovuto pronunciare un discorso, troppo lontano da Dealey Plaza perché gli spari fossero udibili.

La first lady protesa sul baule della limousine nel vano tentativo di afferrare un frammento del cranio del marito

La first lady protesa sul baule della limousine nel tentativo di afferrare un frammento del cranio del marito

Il terzo ed ultimo sparo scatenò il panico tra gli spettatori. Alla vista del presidente colpito alla testa e della first lady imbrattata del sangue del marito protesa sul baule della limousine alcuni rimasero impietriti, altri si gettarono a terra, altri ancora corsero verso la collinetta erbosa. Anche l’insegnate Jean Hill e la sua amica Mary Moorman, che si trovavano sul lato sinistro di Elm Street a pochi passi da Charles Brehm, dopo un paio di minuti di smarrimento si diressero verso la collinetta erbosa.
Intervistata da una televisione locale mezz’ora dopo la sparatoria Jean Hill rispose con un secco no quando le chiesero se avesse notato qualcosa di sospetto. Alcuni mesi più tardi, al cospetto della commissione Warren si mostrò invece di tutt’altro avviso. Dichiarò di aver udito tre spari in rapida successione e poi dopo una breve pausa altri due o tre. Il modo in cui le fucilate risuonarono la convinse della presenza di più di un tiratore. Indicò con sicurezza nella collinetta erbosa di fronte al corteo presidenziale la provenienza degli spari. Aggiunse di aver visto un uomo disarmato correre sulla cima della collinetta e di aver pensato che fosse uno degli attentatori e quindi di essersi istintivamente lanciata al suo inseguimento. Si azzardò persino a descrivere l’uomo in fuga: indossava un soprabito scuro ed un cappello e somigliava a Jack Ruby, l’assassino di Lee Harvey Oswald. Questo dettaglio rende la testimonianza della Hill del tutto priva di credibilità. E’ infatti accertato che negli istanti in cui il presidente Kennedy veniva colpito a morte Ruby si trovava nella redazione del Dallas Morning News, intento a dettare una inserzione pubblicitaria per il suo locale notturno, il Carousel Club.
Con ogni probabilità fu vittima di una suggestione mediatica anche un’altra testimone non interrogata dalla commissione Warren: Julia Ann Mercer, che confidò al procuratore di New Orelans Jim Garrison di aver visto nei pressi della collinetta erbosa, un’ora prima della sparatoria in Dealey Plaza, Ruby alla guida di un furgone da cui era sceso un uomo armato di fucile.
Per i sostenitori della teoria del complotto la testimonianza della Hill è oro colato, in quanto smentisce le conclusioni della commissione Warren. In realtà le fotografie della Dealey Plaza negli istanti successivi alla sparatoria mostrano che l’insegnate e la sua amica attraversarono Elm Street e si diressero verso la collinetta erbosa più di due minuti dopo l’ultimo sparo. L’affermazione riguardo all’inseguimento dell’assassino in fuga appare pertanto inverosimile e non stupisce che la commissione Warren non abbia tenuto in grande considerazione nessun elemento della testimonianza della Hill.
Nel corso degli anni la fantasia della Hill si sbizzarrì aggiungendo nuovi dettagli a sostegno della teoria del complotto. Nel 1986 dichiarò di aver visto un uomo sparare dalla palizzata di legno sulla collinetta. Tre anni più tardi completò il quadro descrivendo un lampo di luce sulla collinetta.

La fotografia dei vagabondi arrestati dopo l’attentato in prossimità dello scalo ferroviario

La fotografia dei vagabondi arrestati dopo l’attentato in prossimità dello scalo ferroviario

Non appena il corteo presidenziale sparì sotto il cavalcavia ferroviario i poliziotti presenti in Dealey Plaza cercarono di reagire allo shock raccogliendo elementi e testimonianze per ricostruire la dinamica dell’attentato. L’agente Clay Haygood, che al momento della sparatoria si trovava ancora in Main Street, parcheggiò la sua moto poco prima del cavalcavia, poi salì sulla collinetta per avere una visuale completa della piazza e discutere sul da farsi con un collega appostato sul ponte della ferrovia. Fu probabilmente quello spostamento verso la collinetta a ispirare a Jean Hill il suo fantasioso racconto sull’inseguimento dell’assassino.
Altri agenti perlustrarono lo scalo ferroviario alle spalle della collinetta erbosa e fermarono alcuni individui sospetti. William Allen e Joe Smith, due reporter della stampa locale, fotografarono tre barboni scortati all’ufficio dello sceriffo da alcuni poliziotti. Interrogato dalla commissione Warren, il sergente Harkness confermò l’arresto dei tre barboni, ma non fu in grado di esibire alcun documento per identificarli. Tanto bastò ad accendere i sospetti dei complottisti che scorsero nello smarrimento dei verbali di arresto una prova del maldestro tentativo della polizia di Dallas di coprire la fuga degli assassini del presidente.
Sulle immagini che ritraggono i tre vagabondi senza manette ai polsi, con indosso abiti trasandati ma non cenciosi, attorniati da poliziotti dall’aspetto rilassato e non troppo professionale, i complottisti si ostinano a costruire una ragnatela di teorie che lega in un solo diabolico disegno tanto la morte di Kennedy quanto quella del reverendo King, senza tralasciare neppure lo scandalo Watergate.
Nei volti dei tre uomini trovati nascosti in vagone ferroviario pochi minuti dopo la sparatoria in Dealey Plaza, alcuni, tra cui Gianni Bisiach, si dicono certi di riconoscere Frank Fiorini, alias Frank Sturgis, un agente al soldo della CIA implicato in operazioni contro Cuba, Earl Ray, l’assassino di King, e Howard Hunt, il referente del commando sorpreso nel giugno del 1972 a frugare nella sede del partito democratico nel complesso di uffici del Watergate Hotel di Washington.
Nel corso degli anni ’60 e ’70 le illazioni sull’identità dei tre barboni e sui loro possibili collegamenti con gli episodi più intricati e misteriosi della recente storia americana si fecero così insistenti da spingere il Select Committee on Assassinations (HSCA) ad incaricare un pool di antropologi forensi dell’analisi delle immagini scattate da Allen e Smith. Earl Ray fu escluso dagli esami poiché vi era la prova che il 22 novembre del 1963 non poteva trovarsi in Dealey Plaza. Per Sturgis e Hunt l’esito dei rilevamenti fu negativo. Gli accertamenti antropometrici furono estesi, sempre con esito negativo, anche ad altri soggetti indicati come potenziali sicari travestiti da barboni. Tuttavia ciò non bastò a far tacere i complottisti i cui sospetti non si placarono del tutto neppure nel 1989, quando negli archivi della polizia di Dallas furono rinvenuti i verbali d’arresto dei tre vagabondi. Si trattava di Harold Doyle, John Forrester Gedney e Gus W. Abrams, tre sbandati che avevano trascorso la sera prima dell’attentato in un centro di accoglienza dove avevano potuto radersi, lavarsi e indossare abiti puliti. Poco dopo il loro fermo erano stati rilasciati in quanto del tutto estranei a ogni coinvolgimento nella sparatoria.

Il percorso presidenziale

Il percorso presidenziale

Nei pressi del Dal-Tex Building, a pochi passi dal deposito di libri, fu arrestato un altro individuo sospetto: Eugene Hale Brading, un pluripregiudicato con legami con il crimine organizzato, iscritto, con il consenso delle autorità, nel registro dei commercianti di combustibili con lo pseudonimo di Jim Braden. Dopo tre ore di interrogatorio, in cui affermò di essere entrato nel Dal-Tex Building alla ricerca di un telefono da cui chiamare la moglie, Brading fu rilasciato. Due giorni prima dell’attentato aveva ottenuto dal funzionario addetto al controllo della sua libertà vigilata il permesso di recarsi da Los Angeles a Dallas per discutere di un contratto per la vendita di combustibili con Lamar Hunt, uno dei figli del magnate ultraconservatore del petrolio Harold Lafayette Hunt.
Il legame tra un noto malavitoso e la famiglia che aveva pagato l’inserzione listata a lutto comparsa sulle pagine del Dallas Morning News, per accusare Kennedy di aver abbandonato al loro tragico destino gli anticastristi di Cuba, suggerì ai teorici del complotto almeno due diverse interpretazioni, entrambe prive di riscontri oggettivi. Per Jim Garrison, il procuratore distrettuale di New Orleans che nel 1969 tentò, senza successo, di ottenere la condanna di Clay Shaw, uno dei presunti ideatori dell’agguato per assassinare Kennedy, l’arresto di un soggetto con i precedenti e le frequentazioni di Brading non fu altro che un diversivo per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica americana dai veri responsabili della congiura contro il presidente e del conseguente colpo di stato , ovvero la CIA, con la complicità più o meno consapevole di altre agenzie governative, e un ristretto gruppo di politici ai vertici delle istituzioni. Per Bisiach invece, da sempre ossessionato dall’idea del coinvolgimento della mafia nel complotto contro Kennedy, l’arresto di Brading assume di per sé il significato di una conferma. Citando la dichiarazione di un testimone oculare rintracciato da un non meglio identificato gruppo di cittadini di Dallas decisi a investigare per conto proprio sulla morte del presidente, Bisiach arriva a collocare Brading nel parcheggio sulla sommità della collinetta erbosa armato di un fucile. Anche accettando come veritiera tale dubbia testimonianza, rimane accertato, oltre ogni ragionevole dubbio, che nessun proiettile fu sparato dalla collinetta erbosa.

Il Texas School Book Depository

Il Texas School Book Depository

Qualche minuto prima che i suoi colleghi incominciassero a fermare gli individui sospetti lungo i binari della ferrovia o nei pressi del Dal-Tex Building, l’agente motociclista Marrion Baker fece irruzione con la pistola in pugno nel deposito di libri. Era giunto in Dealey Plaza nell’istante in cui era cominciata la sparatoria, la sua attenzione era stata attirata dall’alzarsi in volo dei piccioni dal tetto del deposito di libri. Senza indugio aveva abbandonato la sua moto a qualche metro dal semaforo all’angolo tra Houston ed Elm Street e si era precipitato all’interno del palazzo di mattoni rossi. Aggirandosi al piano terra alla ricerca della scale, Baker si imbatté nel direttore del deposito, Roy Truly, che si offrì prontamente di fargli strada. Essendo entrambi gli ascensori fermi ad altri piani, i due presero le scale. Attraverso un piccolo vetro posto sulla porta del primo piano che dava accesso al locale adibito a refettorio, Baker notò un giovane che stava camminando per la sala e dava l’impressione di esserci appena entrato. Aprì quindi la porta e lo chiamò, ma quando il direttore Truly lo informò che si trattava di un suo impiegato decise di non perdere altro tempo prezioso e riprese la sua corsa verso il tetto dell’edificio.
Quel giovane che Baker non volle interrogare si chiamava Lee Harvey Oswald; lavorava al deposito di libri da poco più di un mese, era stata Ruth Paine, un’amica di sua moglie Marina, a segnalargli quell’opportunità di impiego. Per i teorici del complotto l’assunzione di Oswald presso il Texas School Book Depository costituisce un tassello fondamentale della meticolosa operazione pianificata dai congiurati volta a trasformarlo in un utile idiota, nel posto giusto al momento giusto, a cui addossare ogni responsabilità dell’assassinio del presidente. Ciò che i complottisti omettono è che quando il 16 ottobre Oswald fu assunto nessuno, neanche i più intimi collaboratori di Kennedy, sapeva né che Dallas sarebbe stata una tappa del tour elettorale, né che il corteo presidenziale sarebbe passato sotto le finestre del deposito di libri. Fu il caso e non una preveggente macchinazione di fantomatici congiurati ad offrire ad Oswald l’occasione di dare sfogo alle sue frustrazioni e di conquistarsi un posto nella storia.
L’intervallo di tempo tra la fine della sparatoria e l’incontro nel refettorio fu secondo alcuni complottisti troppo breve per consentire ad Oswald di nascondere il fucile sotto una pila di scatole, oltretutto lontano dalla finestra da cui aveva sparato, e scendere quattro piani di scale a piedi. I riscontri dimostrano però il contrario. L’affermato penalista californiano Joeph Ball e il suo giovane assistente David Belin, incaricati dalla commissione Warren di stabilire l’esatta dinamica dell’assassinio del presidente, cronometrarono, nel marzo del 1964, sia gli spostamenti descritti da Baker che quelli attributi a Oswald e li giudicarono perfettamente compatibili. Stimarono la corsa di Oswald tra un minimo di un minuto e quattordici secondi e un massimo di un minuto e diciotto secondi e quella di Baker tra un minimo di un minuto e quindici secondi e un massimo di un minuto e mezzo. (continua)

Per saperne di più:

Philip SHenon, Anatomia di un assassinio. Storia segreta dell’omicidio Kennedy, Milano, Mondadori, 2013.
Francois Carlier, Elm Street. L’assassinat de Kennedy expliqué, Paris, Publibook, 2008.
Vincent Bugliosi, Reclaiming history. The assassination of John F. Kennedy, New York, W.W. Norton&Company, 2007.
Diego Verdegiglio, Ecco chi ha ucciso John Kennedy, Roma, Mancuso Editore, 1998.
Jim Garrison, JFK sulle tracce degli assassini, Milano, Sperling Paperback, 1994.
Gianni Bisiach, Il Presidente. John Fitzgerald Kennedy la lunga storia di una breve vita, Roma, Newton Compton Editori, 2013.
http://www.johnkennedy.it (Studi e ricerche sull’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, sito curato da Federico Ferrero)
http://www.archives.gov/research/jfk/warren-commission-report/ (Rapporto della Commissione Warren)
http://www.archives.gov/research/jfk/select-committee-report/ (Rapporto dell’House Select Committe on Assassinations)
http://www.jdtippit.com/ (Sito commemorativo di J.D. Tippit)