CRIMEA, UNA PENISOLA CONCUPITA

di Massimo Iacopi -

Nel marzo 2014, esattamente 60 anni dopo il “dono” da parte dell’URSS della Crimea all’Ucraina, Vladimir Putin ha riannesso la penisola del Mar Nero alla Russia. Per capire i rapporti di Mosca con questa repubblica – autonoma dal 1991, ma sotto sovranità Ucraina – occorre fare un salto nella storia di quasi mille anni.

La Crimea e il mar d'Azov in una mappa del XVI secolo

La Crimea e il mar d’Azov in una mappa del XVI secolo

“La Crimea è una terra russa”: questa è l’affermazione che si ascolta dai media di Mosca e dai numerosi commentatori stranieri a proposito della recente annessione. Il discorso non è nuovo: nel 1951 il primo volume dell’opera intitolata “Storia di Crimea”, pubblicata in pieno regime stalinista, non ha alcuna esitazione a considerare, con una certa disinvoltura, gli Sciti, cioè la confederazione di popoli di lingua iraniana che secondo Erodoto erano già presenti sulle rive settentrionali del Mar Nero da tempo immemorabile, come degli Slavi, e conseguentemente, a ritenere la Crimea una terra slava da oltre 3.000 anni. In realtà, la storia della penisola era ben più complessa di queste semplificazioni ad uso propagandistico.
Posta sul punto di incontro fra il mondo ellenistico e i barbari, lungo una antichissima rotta commerciale, la Crimea, nel Medioevo, risulta, allo stesso tempo, bizantina, gota e khazara, prima dello sbarco dei Veneziani, dei Genovesi e dei Tatari. Nel XV secolo lo smembramento dell’Orda d’Oro mongola, lascia il posto ad un Khanato tataro di Crimea che diventa vassallo del sultano di Costantinopoli.
Da un punto di vista giuridico la Crimea è stata russa solamente fra il 1783 e il 1954. Ma se il ricordo della penisola nella memoria russa risulta così profondo, lo si deve soprattutto al fatto che a questo periodo sono associate date estremamente significative. A partire dal Trattato di Kutshuk Kainardj, nel 1774, per mezzo del quale il sultano ottomano rinunciò alla sua sovranità sulla penisola. Per passare poi all’assedio di Sebastopoli (1854-1855), che pur risolvendosi in una sconfitta fu trasformato in episodio quasi epico della storia russ. Fino a giungere al XX secolo, con la deportazione delle popolazioni non russe accusate di collaborazione con i Nazisti nel 1944, e poi alla decisione di Cruscev che nel 1954 decretò il passaggio della penisola sotto la sovranità ucraina.

Fra Greci, Rous e Tatari

Vladimiro e la principessa Rogneda

Vladimiro e la principessa Rogneda

Nell’antichità i geografi greci e romani chiamano la Crimea Tauride, o Chersoneso, che in greco vuol dire “penisola”. Nel VI secolo la provincia di Kherson è la più settentrionale dell’Impero bizantino. Le fonti scritte evidenziano anche la presenza di Goti nel sud della Crimea, almeno sino al XV secolo. Fra il VII secolo e gli inizi del X, una parte della penisola passa sotto il dominio dell’Impero dei Khazari – un popolo turco seminomade, che domina la steppa del Ponto fra il 650 ed il 970 circa. La conversione al giudaismo, nell’861, delle aristocrazie khazare lascia, poi, un segno significativo nella regione.
A partire dall’inizio del X secolo i Greci concludono dei trattati con i loro lontani vicini del nord, i Rhos (o Rous, nella vecchia lingua russa). Queste popolazioni scandinave, che dominano le tribù slave, si sono stabilite nella regione di Kiev intorno al 900. E da questa regione essi riescono a costituire, nel giro di poco meno di un secolo, una potenza territoriale alla quale attribuiscono il loro nome: Rous.
Gli imperatori bizantini tentano di fare di queste popolazioni degli alleati, offrendo loro delle clausole di commercio allettanti. Nel 944, i Rous si impegnano a difendere le città del Chersoneso contro qualsiasi aggressore e, soprattutto, a non impadronirsene… Tuttavia, sarà proprio minacciando Kherson che il principe Vladimiro otterrà la mano di una principessa bizantina, matrimonio che deciderà il suo battesimo e la conversione dei suoi stati al Cristianesimo ortodosso (988-989). Vladimiro porterà a Kiev oggetti di culto, reliquie e anche dei membri del clero di Kherson che contribuiranno alla costituzione della chiesa russa.

Fra l’XI e il XIII secolo la Crimea sfugge a poco a poco ai Greci, senza peraltro cadere nelle mani dei Rous. I Veneziani approfittano della conquista di Costantinopoli da parte dei Crociati nel 1204 per impadronirsi dei migliori porti del sud: Cembalo (Balaklava), Soldaia (Soudak), Teodosia (Caffa). Ciò nonostante, a partire dal 1240 quasi tutto il territorio risulta incorporato all’Orda d’Oro, l’avamposto occidentale dell’Impero mongolo di Gengis Khan. Suo nipote Batu (morto nel 1256) si stabilisce a Sarai, sul basso Volga. I Mongoli costituiscono l’elemento dominante dell’impero di Gengis Khan, ma nell’ambito dell’Orda d’Oro essi sono minoritari e la denominazione di “Tatari”, inizialmente attribuita ad una delle nazioni venuta dalla Mongolia, finirà per designare l’insieme dei popoli turcofoni che risulteranno sotto la loro dominazione.
I Genovesi, da parte loro, sostituiscono i Veneziani nei porti meridionali della Crimea. Verso il 1307 Genova ne governa diversi, a partire dal loro centro principale: Caffa. Questa città è a quei tempi il principale mercato di schiavi della regione, ma anche (nel 1347) uno dei punti di partenza della Grande Peste che devasterà l’Europa. La conversione dei khan dell’Orda d’Oro all’islam trasformerà la Crimea, dal XIV secolo, in un paese musulmano sunnita, con forti minoranze cristiane ed ebree.

Estensione del khanato dell'Orda d'Oro nel 1389

Estensione del khanato dell’Orda d’Oro nel 1389

Per due secoli, l’Orda d’Oro rimane unita sotto il dominio dei discendenti di Batu, quindi si frammenta a causa di rivalità dinastiche. Fra il 1428 ed il 1430, Hadji Giray, discendente di Gengis Khan, si insedia in Crimea. La sua discendenza si radica in tal modo sulle rive settentrionali del Mar Nero, creando il Khanato tataro di Crimea, erede più longevo dell’Orda d’Oro. La penisola, a quell’epoca, risulta fortemente orientata verso sud ed a partire dal 1475 i Giray si pongono, effettivamente, sotto la protezione del sultano ottomano, che 22 anni prima aveva conquistato Costantinopoli ed assunto il controllo degli Stretti.
Ben presto i Turchi si impadroniscono di diverse fortezze della penisola e del continente e Caffa, conquistata nel 1475, diventa Kefe. Essi controllano anche Azov (Azak), sulla foce del Don, che rifornisce Costantinopoli e chiude l’accesso alla Crimea per le bande guerriere che cominciano a formarsi lungo il fiume – i futuri Cosacchi del Don.
Il khanato risulta prospero grazie al traffico di schiavi e gode di una larga autonomia nei confronti della Sublime Porta e gioca, da pari a pari, con la nuova potenza del nordest, la Moscovia. Lo zar Ivan III mantiene ottimi rapporti con il khan Mengli Giray, ma i suoi successori, Vassili III e soprattutto Ivan il Terribile (1533-1584), perdono l’alleanza della Crimea. Nel 1521 e nel 1541 le forze della Crimea arrivano fino ai sobborghi di Mosca e si battono con i Moscoviti per il controllo del Khanato di Kazan, sul medio Volga.

La difficile conquista russa

Pietro il Grande e la presa di Azov nel 1696

Pietro il Grande e la presa di Azov nel 1696

I russi acquisiscono un vantaggio decisivo fra il 1552 ed il 1556, quando riescono a conquistare non solo Kazan, ma anche Astrakhan. Essi effettuano delle incursioni in Crimea ed attaccano Azov nel 1559-1560. Tuttavia, quando il sultano minaccia rappresaglie, lo zar rinuncia a questa strategia e nel 1569 Turchi e Tatari di Crimea tentano di riprendere Astrakhan, ma l’impresa, troppo ambiziosa, fallisce. Nella primavera del 1571, per contro, il khan Devlet Giray colpisce la Moscovia al cuore: Mosca viene saccheggiata e quasi interamente bruciata (23-25 maggio). Il khan ritorna l’anno seguente, ma ne viene respinto al prezzo di numerosi giorni di accanita battaglia. (28 luglio-2 agosto 1572).
Ai Russi saranno necessari ancora due secoli per avere ragione della Crimea. La penisola è molto lontana da Mosca e le steppe del sud costituiscono una zona tampone vasta e inospitale, dove la Russia non è sempre pronta a rischiare l’avventura. In tale contesto, quando nel 1637 i cosacchi del Don conquistano Azov con un attacco a sorpresa, venendo poi a loro volta assediati dai Turchi, lo zar Michele Romanov rifiuta di correre in loro soccorso, costringendoli e restituire la piazzaforte nel 1642. Le spedizioni fallite, del 1688 e del 1689, contro la Crimea costano la reggenza a Sofia, la sorellastra di Pietro il Grande. Pietro il Grande conquista nuovamente Azov nel 1696, ma è costretto a restituirla nel 1711 e solo nel 1736 la città diventerà definitivamente russa.
Sarà Caterina II che riuscirà a conquistare l’intera Crimea al termine di una metodica preparazione. Inizialmente, la zarina si impadronisce nel 1772 di una parte della Polonia, posta a nord del Khanato tataro. Poi la stacca dal suo sovrano turco: di fatto, con il Trattato di Kutshuk Kainardj (21 luglio 1774) il sultano cede Azov già in mano russa, Kertch e Yeni-Kale, poste immediatamente ad est della Crimea e una parte dei territori compresi fra il Bug e il Dniepr. Infine e soprattutto, il sultano rinuncia alla sua sovranità sulla Crimea, dando così ai Russi la possibilità di portare il colpo finale, che avverrà nel 1783.

La penisola, appena conquistata diventa la perla meridionale dell’impero zarista. Nel 1787 Caterina II vi effettua il suo ingresso trionfale, in compagnia di Giuseppe II e di ambasciatori stranieri. La leggenda vuole che Potemkin si sia incaricato di sistemare i villaggi lungo il suo passaggio… Ma sarà dopo una nuova guerra russo-turca ed il Trattato di Iassy (9 gennaio 1792) che l’Impero ottomano riconoscerà ufficialmente la conquista della Crimea cedendo ai Russi le zone comprese fra il Dniestr ed il Bug meridionale, dove ben presto Caterina farà costruire il porto di Odessa (1794), destinato a diventare nel XIX secolo il centro principale di esportazione del grano russo.
I Russi fondano nel 1783 il porto militare di Sebastopoli (la città imperiale o “città augusta”, toponimo che sottolinea la volontà russa di riallacciarsi alla tradizione bizantina con il mito della Terza Roma), per assumere il controllo delle acque del Mar Nero e servire da base navale in vista di una eventuale conquista di Costantinopoli. La città di Aqmescit (“Moschea bianca”, in turco-tataro) viene ribattezzata Simferopol (“città del bene comune”) e la stessa città diventa, fra il 1802 ed il 1917, la capitale del Governo della Tauride, che comprende la penisola, ma anche tre distretti sul continente.
Approfittando della dolcezza del clima della Crimea, i Russi vi costruiscono residenze di villeggiatura. Nei pressi di Yalta, viene assegnato ad un corsaro greco di Caterina un pezzo di terra al quale egli attribuisce il nome della sua città natale: Livadia. Nel 1860, lo zar Alessandro II compra la proprietà e vi costruisce un palazzo, che diventerà una delle villeggiature preferite dagli zar. Nello stesso tempo, coloni russi, ucraini, ma anche dei paesi baltici o tedeschi, contribuiscono al progresso del paese.
La Crimea tatara si ritira nelle campagne – dove pratica l’agricoltura e l’artigianato, oltre ad un piccolo commercio locale – e nella vecchia capitale del khanato, Bakhtshisarai (i giardini del palazzo). Nel 1824 il poeta russo Puskin, sensibile alle sue bellezze, pubblica un’ode dedicata alla fontana che, secondo la tradizione, piange gli amori sfortunati di un principe musulmano e di una schiava cristiana.

Colpo di arresto all’espansione russa

Combattimento a Malakoff l'8 settembre 1855, di Adolphe Yvon

Combattimento a Malakoff l’8 settembre 1855, di Adolphe Yvon

Lo zar Nicola I, diventato “gendarme d’Europa” di fronte alle rivoluzioni del 1848, pensa che sia finalmente arrivato il momento per attaccare l’impero ottomano. Egli formula alla Sublime Porta delle richieste inaccettabili e quindi rompe le relazioni diplomatiche con Istanbul nel maggio 1853. Le prime vittorie riportate dai Russi (30 novembre, battaglia di Sinope) sembrano spianare allo zar la strada per Costantinopoli e galvanizzano il patriottismo russo.
Ma lo zar non tiene conto delle preoccupazioni sollevate dalla sua politica ambiziosa in Francia e in Inghilterra, che corrono in soccorso dell’Impero ottomano. Le due grandi potenze, sostenute anche dal giovane Regno di Sardegna, entrano in guerra contro la Russia il 28 marzo 1854. La Guerra di Crimea, che dura più di un anno e mezzo e causa terribili perdite su entrambi gli schieramenti, provoca un colpo di arresto all’espansionismo russo e mette in evidenza il ritardo militare accumulato dalla Russia, il cui esercito è composto di nobili e di servi. I Piemontesi si mettono in luce nella battaglia della Cernaja e i Francesi in quelle dell’Alma e di Malakoff, che determinano la capitolazione di Sebastopoli (11 settembre 1855).
L’assedio di Sebastopoli, molto aspro, che dura quasi un anno, lascia un significativo ricordo nelle memorie. Per la prima volta nell’epoca contemporanea, i civili subiscono dei bombardamenti, partecipano allo sforzo di guerra e persino ai combattimenti. Sebastopoli semidistrutta, sconfitta, ma eroica, diventa un evento sacro per la memoria dei Russi. Nel 1855 Leone Tolstoi immortala l’assedio, con dignità e semplicità, nei suoi Racconti di Sebastopoli. Al termine del sanguinoso conflitto viene firmato, il 30 maggio 1856, il Trattato di Parigi, che garantisce l’integrità dell’Impero ottomano, neutralizza il Mar Nero e gli Stretti, toglie alla Russia le foci del Danubio e la Bessarabia meridionale, lasciandole però la Crimea.

Pagina di una Bibbia ebraica di origine Karaitica (Codice Leningrado)

Pagina di una Bibbia ebraica di origine Karaitica (Codice Leningrado)

Questa grave sconfitta dà inizio al processo delle riforme iniziate dallo zar Alessandro II fra il 1861 ed il 1874 (abolizione del servaggio, riforma dell’amministrazione locale, della giustizia, del servizio militare), ma provoca anche la prima partenza massiccia dei Tatari di Crimea: fra il 1859 e il 1862 circa 200.000 persone, sulle 300.000 di cui è composta la comunità, si rifugiano nell’Impero ottomano. Da allora i Russi diventano maggioritari in una popolazione marcata da una estrema diversità etnica e confessionale. Nel censimento del 1897, i Tatari sono ormai appena un terzo della popolazione residente in Crimea.
Fra le minoranze si distinguono i Karaiti, adepti di una corrente del giudaismo dissidente dal giudaismo rabbinico, apparsa probabilmente a Bagdad fra il VII e l’VIII secolo, ma che rivendicano, secondo altre teorie, una filiazione con i Khazari. La loro comunità conta circa 13.000 persone nel censimento del 1897. Sotto lo zar Nicola II essi riescono a sfuggire alle misure discriminatorie assunte contro gli ebrei dell’impero zarista, affermando che essi hanno lasciato la terra d’Israele prima della venuta del Cristo e non sono quindi colpevoli della sua morte.

La sovietizzazione

La rivoluzione del febbraio 1917 getta la Crimea nella tormenta. Approfittando della vacanza di potere, ma anche della estrema confusione in cui si trova la Russia, i nazionalisti tatari riuniscono una assemblea tradizionale (kurultai) e fondano diversi movimenti, dei quali il più attivo è il Milli Firka (Partito Nazionale). Dopo l’ottobre 1917 e la presa di potere da parte del Bolscevichi, essi propugnano la costituzione di una repubblica indipendente, ma si debbono scontrare con i soviet locali, legati al governo bolscevico di Pietrogrado. Quest’ultimo ordina ai marinai della flotta, ancorata a Yevpatoria e Sebastopoli, di marciare su Simferopoli e il risultato finale è la creazione di una repubblica socialista sovietica della Tauride il 21 marzo 1918, nel contesto della Russia sovietica.
La repubblica viene rovesciata dai Tedeschi, che occupano la penisola dall’aprile al novembre 1918 e riconoscono la legittimità del Parlamento organizzato dai Tatari. Il parlamento rimette all’ordine del giorno la creazione di una repubblica indipendente, mentre nello stesso tempo, gli Ucraini tentano di rivendicare, senza successo, la Crimea, basandosi sulla pace di Brest Litowski, firmata nell’aprile 1918. Durante la guerra civile, i Bianchi di Denikin, quindi di Wrangel, disputano la Crimea ai Rossi e la sorte della penisola rimane a lungo incerta. Wrangel si ritira nel dicembre 1920, lasciando il paese alle bande di Verdi (anarchici). I Bolscevichi ritornano definitivamente nell’estate del 1921 e il 18 ottobre dello stesso anno la Crimea diventa Repubblica socialista sovietica autonoma (RSSA), unita alla Federazione della Russia (RSFSR).

Un decisivo sforzo viene effettuato dai Bolscevichi per formare e promuovere quadri locali, specialmente Tatari, ma la repubblica è multinazionale. Viene adottato il bilinguismo (russo e tataro), per guadagnare il sostegno della popolazione tatara, e il leader tataro più conosciuto, Veli Ibrahimov, viene elevato alle più alte cariche. Ma, a partire dal 1928, contemporaneamente alla conquista del potere centrale da parte di Stalin, l’uomo viene condannato con l’accusa di “nazionalismo borghese”. Il tataro, inizialmente trascritto in caratteri latini, sul modello turco moderno (1925), si vede imporre l’alfabeto cirillico (1939).
Fino alla Seconda guerra mondiale, le repressioni, non trascurabili, nei confronti dei Tatari riguardano soprattutto gli individui o piccoli gruppi. Poi, la Crimea viene invasa dai Tedeschi e dai Rumeni nell’autunno del 1941. Sebastopoli capitola dopo un secondo assedio (30 ottobre 1941 – 4 luglio 1942) e la popolazione ebrea (fra 85.000 e 92.000 persone) viene quasi interamente eliminata, ad eccezione dei Karaiti. Quando le truppe sovietiche liberano la penisola, nella primavera del 1944, Lavrentij Berija, il capo del’NKVD, supervisiona in Crimea e nel Caucaso, un’operazione di punizione collettiva nei confronti dei popoli giudicati collaborazionisti.

Il porto di Sebastopoli dopo l'assedio nel luglio 1942

Il porto di Sebastopoli dopo l’assedio nel luglio 1942

In tal modo si cerca di regolare i conti con la mancata “sovietizzazione” della regione. I Tatari della Crimea sono il primo obiettivo. La loro deportazione, decisa l’11 maggio 1944, viene eseguita nel giro di pochi giorni (18-20 maggio) e riguarda ben 191.000 persone e la maggior parte di loro è trasferita in Uzbekistan. Successivamente, tocca agli Armeni, ai Bulgari e ai Greci (27 giugno). Ripulita dai “traditori”, Stalin può accogliere a Yalta, nel febbraio 1945, Roosevelt e Churchill. Il ricordo della Conferenza di Yalta, dove sotto l’autorità di Stalin viene negoziata la sorte dei paesi liberati dal nazismo, risulta ancora vivo nella memoria dei Russi.
La russificazione della Crimea è pressoché completa. La Repubblica viene retrocessa al rango di semplice regione (30 giugno 1945) e numerosi toponimi vengono modificati al fine di cancellare le precedenti identità (21 agosto).

Nel 1954, in pieno processo di rottura con lo stalinismo, le autorità sovietiche decidono di commemorare, con grande risalto, il tricentenario dell’unione “liberamente accettata” dell’Ucraina e della Russia, vale a dire del Trattato di Pereyslav, in virtù del quale i Cosacchi Zaporoghi e i ruteni ribelli al re di Polonia avevano accettato di passare sotto la sovranità dello zar Alessio Romanov (1654).
Il decreto del Presidium del Consiglio Supremo della RSFSR del 19 febbraio 1954 decide di trasferire l’oblast (regione) della Crimea all’Ucraina. La decisione ha, all’epoca, una mera importanza simbolica: la Crimea e le sue installazioni militari rimangono gestite direttamente da Mosca come in precedenza. Le popolazioni esiliate non potranno tornare in Crimea: per timore di vendette e perché ormai si vuole che gli Slavi restino maggioritari.
Nel 1956 i popoli condannati dallo stalinismo ritrovano i loro diritti civici e vengono liberati dalle colonie speciali dove erano stati relegati, ma non vengono, per questo, autorizzati a ritornare nelle loro antiche patrie. I Tatari di Crimea, comunque, continueranno a rivendicare per lunghi anni questo ritorno, nonostante la repressione, specialmente nel 1961-1962 e nel 1965-1967. Essi riescono ad ottenere una riabilitazione collettiva, ma troveranno sempre sbarrata la strada della Crimea. Sotto Mikhail Gorbacev la Perestroika riporta la questione all’ordine del giorno. Tra il 1987 ed il 1990 tre commissioni esaminano il caso dei Tatari, mentre, sottobanco, qualcuno inizia a tornare. Le stime, poco affidabili, parlano di circa 200.000 Tatari rientrati in Crimea.

E’ ancora nella penisola che si gioca la fine dell’URSS, ma questa volta la vicenda è meno eroica. Nell’estremo sud della Crimea, nei pressi di Foros (Pharos), Mikhail Gorbacev nell’agosto 1991 viene arrestato durante un tentato colpo di Stato. Fallito il golpe Gorbacev può ritornare a Mosca, dove però la sua stella è già stata eclissata da quella di Boris Eltsin, l’uomo forte della Federazione della Russia.
Il crollo dell’URSS pone nuovamente il problema dello statuto della Crimea e della flotta del Mar Nero. Nel gennaio 1991, la regione decide, tramite referendum, di ridiventare repubblica autonoma, nell’ambito dell’Ucraina ancora sovietica. Diventata indipendente (24 agosto), l’Ucraina tenta di affermare la sua sovranità sulla Crimea, in cambio di una certa autonomia, accettando inoltre di concludere con i Russi un accordo, che lascia loro l’essenziale della vecchia flotta sovietica, oltre a un affitto ventennale di diverse basi e il porto di Sebastopoli. La Crimea, da parte sua, afferma a diverse riprese la sua volontà di indipendenza, o di annessione alla Russia, che, naturalmente, incoraggia tali tendenze.

Il seguito è noto. Victor Ianukovic, presidente pro-russo dell’Ucraina, lascia il paese il 22 febbraio 2014. Egli viene destituito dal Parlamento, che nomina un governo provvisorio prima di indire nuove elezioni, previste per il 25 maggio seguente. Ma le autorità russe non riconoscono questo “colpo di Stato”. Simultaneamente, a partire dal 26 febbraio, forze paramilitari pro-russe assumono il controllo della penisola. Le truppe ucraine della Crimea sono costrette ad accantonarsi nelle loro basi, quindi si fanno disarmare, mentre alcuni loro ufficiali chiedono di entrare a far parte dell’esercito russo. Il 16 marzo 2014 un referendum sancisce, con il 96% dei voti, la volontà di riunificazione alla Russia. (I Tatari e gli Ucraini hanno boicottato questa consultazione). Il giorno successivo il Parlamento della Crimea dichiara l’indipendenza della penisola e chiede di essere annesso alla Federazione della Russia.

Conclusioni

L’analisi sin qui condotta mostra evidente che le rivendicazioni russe sulla Crimea, sotto l’aspetto storico e giuridico, appaiono inconsistenti o quantomeno surrettizie. Ciò nondimeno, l’atteggiamento della Russia e la logica di Vladimir Putin riposano sostanzialmente su ragioni di tipo geopolitico. Due aspetti principali possono spiegare tale atteggiamento.
In primo luogo, la Crimea potrebbe costituire una specie di ostaggio, di pegno o di moneta di scambio nei difficili rapporti fra l’Ucraina e la Russia. Va sottolineato, peraltro, che la Russia non si è mai rassegnata alla perdita dell’Ucraina (e della Bielorussia) e intende conservare un’associazione minima fra i “tre fratelli slavi”, con la speranza di farla poi evolvere nel senso di un “ritorno all’ovile” dei paesi momentaneamente allontanati.
In secondo luogo, la geografia etnica della Crimea, sotto la dominazione russa e nell’ultimo secolo, risulta ormai profondamente modificata e la popolazione tatara, una volta maggioritaria, rappresenta oggi solo una piccola minoranza. Le autorità russe, di fatto, giocano sulla presenza di una forte presenza russa e russofona (anche fra gli Ucraini, dal punto di vista della loro nazionalità). La Crimea, che è insieme all’Ucraina orientale, una delle regioni che propende per la Russia, costituisce pertanto un jolly nelle mani della politica di Mosca.
Ma la storia ci racconta che la Crimea costituisce, da sola, un caso a parte. Alcuni Russi considerano un’aberrazione la sua cessione all’Ucraina nel 1954, un “capriccio di Khruscev” che deve essere puramente e simbolicamente annullato. La Russia ha bisogno di conservare le sue basi navali in “acque calde” e preferisce, chiaramente, averle sul suo territorio piuttosto che essere costretta ad affittarle a titolo più o meno precario. Senza dimenticare che ai suoi occhi, Sebastopoli è russa per il sangue versato nel 1854-1855 e nel 1941-1942.

Per saperne di più
E. Allworth, Tatars of the Crimea: Their Struggle for Survival – Durham, Duke University Press, 1988
E. Armandon, La Crimée entre Russie et Ukraine – Bruxelles, De Boeck-Bruylant, 2012
G. Dufaud, Les Tatars de Crimée – Non Lieu, 2011
A. Fisher, Between Russians, Ottoman and Turks – The Isis Press, Istanbul, 1998
S. Mensurti e G. Giacchetti Boico, Il genocidio dimenticato. Italiani di Crimea – Editrice Goriziana, 2013
R. Conquest, Nation Killers: The Soviet Deportation of Nationalities – New York, The Macmillan Company, 1970