CLUNY, OVVERO LA “LUCE DEL MONDO”

di Max Trimurti -

I suoi abati sono Signori, le sue dipendenze vengono ripartite in più regni dell’Occidente. Anche papa Urbano II è un cluniacense. Qual’è il segreto di questi monaci della Borgogna?

Il 9 gennaio 1097 papa Urbano II fa comporre nella sua residenza del Laterano una lettera indirizzata all’abate Hugues di Cluny, in risposta alle richieste di quest’ultimo. Essa inizia in questi termini: “Dovendo la grazia della carità apostolica sovvenire alle richieste e bisogni di tutti i fedeli, molto di più la Madre Chiesa romana deve far condividere la sua clemenza nei confronti dei figli specialissimi che essa si compiace di avere. Fra questi, la congregazione cluniacense, pienamente impregnata del carisma divino, brilla come un altro sole sulla Terra ed è per questo che risulta particolarmente opportuno di attribuirgli la parola a suo tempo pronunciata da Dio: Voi siete la luce del Mondo”.
La parola pontificale non era priva di significato. “Voi siete la luce del mondo” è la qualifica che il Cristo avrebbe indirizzato agli Apostoli in occasione del sermone sulla Montagna (Matteo, V, 14). L’abate di Cluny e i suoi monaci venivano in tal modo elevati al livello degli Apostoli, come nuove luci in condizione di condurre gli uomini verso la salvezza.
Il papa, anch’egli vecchio gran priore cluniacense, enuncia di seguito una serie di privilegi, alcuni vecchi e altri nuovi. Il dominio di Cluny su una rete di diverse decine di monasteri viene confermato, così come quello sul’insieme di terre, uomini, chiese e decime che gli sono state date. L’abate di Cluny ha la facoltà di ordinare preti, di consacrare altari e chiese, mentre i vescovi, ai quali risale teoricamente tale compito, non possono farlo nei monasteri cluniacensi, a meno che non siano stati invitati dall’abate. I vescovi non possono scomunicare i monaci né vietare la celebrazione dei sacramenti nelle chiese dell’ordine, sotto pena di vedere la sanzione ritornarsi contro di loro. Per contro, ogni persona scomunicata e qualsiasi monaco che vuole lasciare la sua comunità può trovare asilo in un monastero cluniacense.

Privilegi eccezionali

Tale situazione è l’effetto di circa due secoli di dinamiche. Il monastero di Cluny viene fondato nel settembre 909 o 910 nel sud dell’attuale Borgogna, nei pressi di Macon. Il processo è classico, un ricco aristocratico, il duca d’Aquitania, Guglielmo I, dona ad una comunità di monaci un insieme di terre in cambio di preghiere per la salvezza della propria anima e di quella dei suoi parenti. I suoi discendenti e i suoi intimi continuano con le donazioni e la cosa procede in tal modo per diversi anni.
E’ sotto Odone (927-942), il secondo abate di Cluny, che il monastero inizia il suo straordinario sviluppo. Grazie alle sue relazioni e alla sua fama, Odone fa di Cluny il polo di una rete di trasferimento di beni che va dalla Turenna (Tours) a Roma. Egli ottiene l’appoggio di re e dei papi e riesce a far imporre uno statuto speciale al suo monastero: questo non viene sottoposto a nessuna autorità, né principesca, né pontificia, pur essendo protetto da queste in caso di problemi. I tre abati successivi continuano e incrementano l’opera di Odone: Maiueul (954-994), Odilone (994-1049) e Hugues (1049-1109).
Cluny ottiene terre in Borgogna, in Provenza, in Alvernia, nell’Ile de France, in Italia, nella Germania occidentale, in Inghilterra, quindi nella Spagna settentrionale col progredire del processo di Reconquista sui possedimenti mussulmani. Su queste terre vengono edificati monasteri secondo lo stesso processo di Cluny e si viene a formare una famiglia di monaci, che verrà ben presto denominata chiesa cluniacense (ecclesia cluniacensis). Tutti i re occidentali sostengono il monastero borgognone e lo gratificano di doni. I papi confermano di volta in volta i privilegi acquisiti da Odone e li incrementano.
Nel 998 vengono concesse le prime esenzioni a Cluny nei confronti dell’autorità vescovile. Si moltiplicano, nel contempo, dopo l’anno Mille, le maledizioni nei confronti dei re e dei principi che si attaccano ai possedimenti cluniacensi e, a partire dal 1075, i privilegi diventano straordinari, a somiglianza di quelli del 1097.
Alla fine dell’XI secolo si possono contare diverse centinaia di luoghi cluniacensi, ripartiti in maniera difforme nelle regioni in cui gli abati hanno potuto stabilire delle relazioni. Alcuni sono vecchie abbazie aggregate alla congregazione a seguito della loro riforma da parte di un abate cluniacense (Vezelay, Saint Gilles du Gard, Moissac, Payerne, San Paolo fuori le Mura di Roma, San Benedetto di Polirone in Lombardia, Sahagun, Hirsau, ecc.). Altri, più numerosi, sono creazioni tipicamente cluniacensi. Sono delle priorie, il cui superiore viene eletto con l’accordo dell’abate di Cluny, formate da dieci a venti monaci.
Altri ancora sono dei piccoli insediamenti, mezzo priorato, mezza fattoria, che ospitano due o tre monaci e un insieme di servitori, la cui funzione principale è quella di essere un punto di raccordo fra le terre e il monastero da cui dipendono. Questi vengono invariabilmente denominati vicariati, fattorie o priorati.

Un’economia basata sulla donazione

Il cuore del sistema cluniacense è costituito dalle terre donate ai monaci. Uomini provenienti da gruppi sociali dominanti, essi hanno lasciato le attività mondane per consacrarsi “all’opera di Dio” (opus Dei), vale a dire alla preghiera, al canto, alla lettura e alla scrittura. Le attività agricole o artigiane alle quale la regola di San Benedetto, nel VI secolo, attribuiva un valore penitenziale, costituiscono ormai, a partire dal IX secolo, appena una attività marginale.
I monaci sono diventati il perno di un sistema di scambi. Essi si fanno donare delle terre con gli uomini che le coltivano, diritti sui mulini, sui forni, sui corsi d’acqua, sulle strade, sui mercati. Queste entrate costituiscono la struttura di un circuito di ridistribuzione e di trasformazione.
Avendo rinunciato a due aspetti che caratterizzano la vita secolare, la riproduzione sessuale e la trasmissione ereditaria dei beni fondiari (fatti che si traducono nel voto di castità e di povertà), i monaci sono considerati come degli esseri a metà strada fra il genere umano e gli angeli. Essi incarnano l’ideale spirituale definito dai Padri della Chiesa, che consiste nell’allontanarsi progressivamente dalla “carne”, nella quale si nasce, per andare verso lo “spirito”.
La “carne” è il corpo, che deve essere spiritualizzato attraverso il suo controllo e attraverso la pratica delle virtù. Ma è anche la terra che può essere spiritualizzata. Offrire una parte delle terre ai monaci significa offrire indirettamente e per sempre a Dio e ai santi, che sono considerati i veri possessori. I monaci, che in apparenza accumulano le ricchezze, non posseggono nulla per sé stessi. La terra non è quella di Cluny, ma quella di San Pietro, le cui reliquie riposano sotto l’altare maggiore dell’abbazia, dalla fine del X secolo. E la terra di San Pietro è quella di tutta la Chiesa.
I monaci diventano intermediari per la circolazione dei beni fra gli uomini e Dio, e al tempo stesso elementi della circolazione dei beni fra gli uomini. L’insieme del corpo sociale è interessato a questo fenomeno: gli aristocratici come donatori, i monaci come recettori e agenti di transizione, il popolo come coltivatore, i poveri come beneficiari delle elemosine monastiche. Mancherebbero all’appello gli artigiani e i mercanti, ma questi sono ancora marginali. Il loro sviluppo, nella società del X e XI secolo, corrisponde alla comparsa di un nuovo tipo di religiosi, i Francescani e i Domenicani, che sapranno integrarli.

Donazioni e commemorazioni funebri

Le donazioni presso i monaci sono di svariato tipo. Si può trattare di terre, come visto in precedenza, o di entrate sui mezzi di produzione, di denaro o di beni preziosi, come il censo annuale in oro che i re di Castiglia offrivano a Cluny alla fine del XI secolo. Ma si possono donare anche di uomini. I monaci di Cluny hanno sistematizzato la pratica dell’oblazione, che consisteva nell’offerta a loro di un giovanetto, in genere fra i sette e i dodici anni, per educarlo nel monastero e farne un membro attivo della comunità. Per i genitori si trattava di “affidare” una parte della loro “carne” alla Chiesa, in maniera analoga al dono della terra. Attraverso i loro figli, essi si sentivano particolarmente integrati nella comunità. Per i monaci, l’oblazione rappresentava una filiazione non carnale. La comunità veniva così a riprodursi attraverso il dono piuttosto che attraverso il sesso.
Quelli che non potevano donare perché avevano un bisogno vitale delle loro terre e dei loro figli, potevano aggregarsi alla comunità per mezzo del loro lavoro. In effetti, il lavoro per la società feudale significa in primo luogo lo sfruttamento della terra: un compito necessario, ma poco valorizzato, considerato come la conseguenza del peccato originale e opposto all’opera spirituale offerta a Dio. La Chiesa è una struttura pragmatica e non può condannare il lavoro dei campi, ma può orientarlo. Essa proclama che quello che conviene ai signori deriva dalla “carne”, in quanto alimenta banchetti, guerre e conduce verso la dannazione; quello che nutre i monaci si riferisce allo “spirito”, perché serve a offrire doni a Dio e a nutrire i poveri.
Si sa che, verso il 1140, l’abate di Cluny, che navigava in gravi difficoltà finanziarie, sarà costretto a limitare a cinquanta il numero dei poveri sfamati ogni giorno all’ingresso dell’abbazia, ovvero più di diciottomila persone l’anno.
Il sistema dell’elemosina era legato alle commemorazioni funebri. La morte di un monaco o di un grande benefattore veniva celebrata con una serie di messe, in generale una al giorno per trenta giorni dopo il decesso e una alla data dell’anniversario di questo. Ogni messa doveva accompagnarsi a una elemosina per un povero. Queste fondazioni erano perpetue e liste di defunti circolavano da un monastero all’altro affinché tutti i membri della comunità cluniacense venissero commemorati nei diversi luoghi della congregazione.
L’incremento delle commemorazioni funebri e quelle del numero dei benefattori hanno giocato un ruolo determinante nella trasformazione della liturgia e delle costruzioni. La moltiplicazione degli uffizi religiosi o delle messe nello stesso giorno rendeva necessario celebrazioni simultanee, sotto la forma di “messa bassa”, per evitare cacofonie. La moltiplicazione degli altari diventa in tal modo necessaria e, proprio per rispondere a questa esigenza che la grande chiesa abbaziale, ricostruita alla fine del XI secolo, a Cluny, comportava numerose cappelle, demoltiplicando i potenziali luoghi di celebrazione. L’uffizio divino e le messe venivano considerati come dei doni: doni dei fedeli per mezzo di offerte che venivano consacrate in occasione della messa, ma anche doni di monaci che offrivano il loro corpo al canto, per numerose ore, prima di “rifocillarsi” al refettorio. I rigoristi, San Bernardo in primo luogo, hanno molto criticato l’opulenza dei pasti cluniacensi e il numero dei giorni di festa nei quali era consentito di godere di razioni supplementari. La ragione derivava dal simbolismo del corpo mediatore.
I corpi dei monaci erano – letteralmente – riempiti di beni che provenivano dallo sfruttamento della terra e dei doni che loro erano stati fatti. Per la preghiera, il canto, le processioni, la lettura, la copia di manoscritti, la bevanda e il cibo erano, per così dire, trasformati, grazie ai monaci in veri operatori di spiritualizzazione. Il cibo stesso aveva un fondo allegorico e significava la trasformazione o trasmutazione della carne in spirito. In effetti se si mangiava molto, ci si cibava soprattutto di determinati tipi di prodotti come le uova, il pesce e le erbe e si beveva soprattutto vino. Il vino veniva avvicinato al sangue del Cristo, il pesce, alla carne profondamente purificata dall’acqua, le uova alla rigenerazione e le erbe alla fecondità apportata alla comunità monastica.

La più grande chiesa dell’Occidente

Ricostruzione dell'abbazia di Cluny

Ricostruzione dell’abbazia di Cluny

I monaci di Cluny sono stati dei costruttori e hanno spinto più avanti dei loro predecessori l’idea secondo cui il monastero era un simbolo del Paradiso. La descrizione di Cluny conservata nei manoscritti del XI secolo evidenzia un complesso di edifici costruiti intorno a reliquie di santi e altari, articolati dalle deambulazioni dei monaci fra le gallerie, le chiese e i giardini. Gli edifici presentano misure ideali che evocano i prototipi biblici della visione di Ezechiele o del tempio di Salomone.
La chiesa principale viene preceduta da un avancorpo a navata, denominata “Galilea” che la pone nella prospettiva della Terra Santa, e i monaci che la percorrono appaiono come dei nuovi apostoli. I monaci vengono paragonati anche a creature spirituali, i cui canti trasformano il coro in “deambulatorio degli angeli”.
A partire dalla seconda metà del X secolo, la base della chiesa abbaziale era ricoperta dello stesso tipo di pavimento in opus sectile (una composizione fatta di marmi colorati collocati secondo uno schema geometrico) delle chiese di Roma. Odilone ricostruisce il chiostro in marmo, tipo di pietra che simbolizza la purezza e la carne vivente del Cristo. La maior ecclesia, edificio gigantesco iniziato dall’abate Hugues nel 1088, il più grande della Cristianità prima della costruzione di San Pietro a Roma, si basava si un sistema di fondazioni a maglia che ha consentito di aprire delle finestre in tutti i muri, a tutti i piani e di portare la volta a trenta metri di altezza, utilizzando la culla spezzata (berceau-brisé) e, in maniera pionieristica, l’arco portante. La chiesa al suo interno era decorata con pitture, numerosi capitelli e, soprattutto, con reliquiari e oggetti liturgici che rappresentavano concretamente la trasformazione del denaro dei fedeli in opere d’arte.
La maior ecclesia manifesta la potenza di Cluny nella pietra e nelle decorazioni, una chiesa che tende a confondersi con la Chiesa universale, con l’abate che ottiene gli stessi privilegi del papa e che questi sollecita, nel momento più critico della sua disputa con l’imperatore, per fare da conciliatore. Ma questo apogeo è destinato inevitabilmente a suscitare delle reazioni.
Queste vengono, in primo luogo dai vescovi, che si lamentano dei privilegi di Cluny a partire dagli anni 1060. Il conflitto scoppia dopo la morte dell’abate Hugues, nel 1109. Il suo successore, Pons de Melgueil, ottiene dal papa Pasquale II, anch’egli un vecchio monaco, i privilegi più esorbitanti mai concessi a un abate. Allorché il papa muore nel 1118, Pons viene indicato come successore, ma sarà invece in vecchio monaco di Monte Cassino che avrà la meglio, assumendo il nome di Gelasio II. Posto in minoranza a Roma, Gelasio si rifugia a Cluny, dove muore nel 1119. Il papa che gli succede è l’arcivescovo di Vienne, il primo dopo sessant’anni a non essere un monaco. I vescovi ne approfittano. A Cluny, l’autorità di Pons viene severamente minacciata dal vescovo di Macon, che conduce nei suoi riguardi una vera e propria offensiva. La questione investe anche gli stessi cluniacensi, che si dividono fra i due campi. Segue quindi uno scisma e le dimissioni dell’abate di Cluny nel 1122.
Il suo ritorno disastroso nel 1126 porta alla presa d’assalto del monastero. Pons viene condannato e muore in prigione a Roma. Il vento ha ormai cambiato direzione. Il nuovo abate di Cluny, Pietro (1122-1156) il Riformatore, che non è ancora il “Venerabile”, impiegherà più di vent’anni per consolidare la sua autorità e, contrariamente ai suoi predecessori del XI secolo, non diventerà mai santo.
Nel 1098, qualche mese dopo la Bolla di Urbano II, Robert de Molesme crea la Comunità di Citeaux (Cistercensi), nel nord della Borgogna. Il progetto, come quello di Cluny era quello di fondare una comunità umana che prefigurasse il Paradiso. Ma le modalità differivano ormai profondamente. La spiritualizzazione della “carne” veniva intesa in una maniera più radicale ed elitaria.
Nel 1120, quando scoppia il conflitto fra Cluny e i vescovi, Citeaux godeva già di una grande fama. Cluny, per certi aspetti ha generato Citeaux, ma Citeaux non ha vinto Cluny. Le due comunità rappresenteranno due vie per costruire la chiesa di Dio nel secolo: quella di Cluny, che si basa su una ripartizione gerarchica dei compiti, al vertice dei quali si trovano i monaci-angeli; quella di Citeaux, che fa dei monaci-angeli dei modelli ai quali tutti dovrebbero conformarsi.

Per saperne di più
Glauco Maria Cantarella, I monaci di Cluny, Torino, Einaudi, 1993
Agnès Gerhards, L’Abbaye de Cluny, Éditions Complexe, 1992
Raymond Oursel, Il segreto di Cluny, Milano, Jaca Book, 2001