CHARLOTTE CORDAY, ASSASSINA PER LA PACE E LA LIBERTÀ

di Giancarlo Ferraris –

Nella formazione della donna che uccise Marat erano confluiti fattori culturali come l’Illuminismo, la passione repubblicana e la difesa delle libertà civili e individuali. Anima virile ed entusiasta, con il suo gesto volle liberare la Francia dalla demagogia sanguinaria dei giacobini.

Origine e formazione di una “rivoluzionaria”

     Tutte le donne legano il loro nome all’uomo che più amano nel giorno più bello della loro vita; alcune però lo legano all’uomo che più odiano nel giorno più funesto della loro vita. Tra di esse c’è Charlotte Corday, la celebre assassina di Jean Paul Marat, uno dei leader più famosi della Rivoluzione francese. Per parlare di questa giovane di origine normanna, che commise un omicidio due settimane prima di compiere venticinque anni, dobbiamo innanzitutto capire com’era la Normandia nel XVIII secolo. Collocata nel nord-ovest della Francia e bagnata dal Canale della Manica, la Normandia nei decenni precedenti la Rivoluzione era una regione economicamente florida. L’agricoltura si basava sulla coltivazione dei cereali, che tanta importanza avevano in quell’epoca per la sopravvivenza delle popolazioni, dei frutteti e delle vigne, ma il ruolo principale era svolto dalle attività industriali fondate sui cantieri navali di Cherbourg e Le Havre nonché sulla lavorazione del cotone, della lana e dei metalli. Notevole era anche l’attività tipografica. La società normanna, come quella del resto della Francia, annoverava la nobiltà, il clero e il Terzo Stato, caratterizzandosi per la presenza di una borghesia forte e operosa. La regione, non diversamente dalle altre, era cattolica e tra i personaggi del passato più popolari e maggiormente ammirati emergeva Giovanna d’Arco.
In questo ambiente, per la precisione nel piccolo villaggio di Ligneries posto nei dintorni della cittadina di Argentan, il 28 luglio 1768 venne alla luce Marie-Anne-Charlotte de Corday d’Armont. I suoi genitori erano François de Corday d’Armont, trisnipote del grande drammaturgo Pierre Corneille, e Jacqueline-Charlotte-Marie de Gontier des Autiers. La famiglia nobile, ma decaduta, di cui facevano parte oltre a Charlotte anche altre due femmine e due maschi, era molto vicina alla monarchia e alla Chiesa cattolica. La madre morì quando la giovane era ancora in tenera età. Dopo aver vissuto un’infanzia difficile, nel 1781 entrò nel Convento dell’Abbazia delle Donne di Caen noto perché ospitava soprattutto giovani fanciulle appartenenti a famiglie della nobiltà decaduta. In questo ambiente Charlotte ebbe modo di constatare direttamente le iniquità del suo tempo trovando rifugio nella lettura delle opere di due autori in particolare: François Raynal e Jean Jacques Rousseau. Da Raynal, scrittore tipicamente illuminista, Charlotte Corday mutuò l’amore profondo per la libertà e l’avversione non solo verso il dispotismo, ma anche il colonialismo e lo schiavismo; da Rousseau il concetto che la natura ha creato l’uomo buono mentre la società l’ha corrotto e la formula del contratto sociale capace di garantire la libertà del singolo individuo e l’uguaglianza sociale. Altrettanto importanti furono lo studio delle opere di Plutarco, da cui la giovane normanna trasse il concetto del valore della patria nonché l’ideale dell’eroe che si immola per essa, la conoscenza della storia della Roma repubblicana, che le apparve come una potenza capace di assicurare la pace, la libertà, la sicurezza e la concordia tra gli uomini rimuovendo tutte le cause dei conflitti nonché la lettura delle opere dell’avo Corneille da cui mutuò le quattro virtù dell’onore, del patriottismo, della generosità e della santità. Nella formazione di Charlotte Corday confluirono quindi diversi fattori culturali che la resero un’anima virile ed entusiasta e ne fecero al tempo stesso una rivoluzionaria molto particolare.

Le ragioni di un delitto

        Nel 1790, due anni dopo lo scoppio della Rivoluzione, l’Assemblea Nazionale Legislativa, l’organo parlamentare preposto al governo della Francia, promulgò la Costituzione civile del clero sferrando l’attacco contro la Chiesa cattolica che venne sottoposta al controllo statale. Gli ecclesiastici si divisero in preti costituzionali, che abbracciarono la causa rivoluzionaria e in preti refrattari, che rimasero invece fedeli a Roma. Un successivo provvedimento dell’Assemblea portò alla soppressione dei vari istituti religiosi. Il Convento dell’Abbazia delle Donne di Caen dove risiedeva Charlotte Corday venne ovviamente soppresso, fatto quest’ultimo che turbò in maniera abbastanza profonda la giovane (appartenente, come abbiamo detto, a una famiglia monarchica e cattolica) la quale trovò ospitalità, sempre a Caen, a casa di una sua vecchia zia.
Poco tempo dopo accadde un altro fatto che sconvolse ulteriormente Charlotte e che incominciò a rendere problematico il suo rapporto con la Rivoluzione alla quale ella, nonostante la sua devozione al re e al cattolicesimo, aveva aderito reputandola un evento che avrebbe rinnovato nelle radici la Francia e il suo popolo. Un parroco di Caen, lo stesso che aveva impartito l’estrema unzione alla madre, dopo essersi rifiutato di giurare fedeltà alla Costituzione civile del clero venne scovato dai rivoluzionari nel bosco dove si era rifugiato e ghigliottinato. Fu la prima vittima della Rivoluzione a Caen. Le successive, tragiche vicende a cui andò incontro la monarchia francese, dalla caduta del regime alla proclamazione della repubblica nel 1792 fino alla condanna a morte del re Luigi XVI nel 1793, non fecero altro che accentuare in Charlotte la problematicità del suo rapporto con il moto rivoluzionario il quale stava diventando sempre più radicale al punto tale, fra l’altro, da indurre i suoi due fratelli a lasciare la Francia.
Nella primavera-estate 1793, in questo quadro già di per sé terribilmente fosco, si inserì anche la vicenda politica e umana dei girondini che fece maturare in Charlotte Corday il desiderio e l’intenzione di colpire a morte Jean Paul Marat, esponente di spicco della Montagna (o giacobini) l’ala più estremista dello schieramento politico rivoluzionario, e ritenuto colpevole della parabola sanguinaria della Rivoluzione.
I girondini erano il gruppo moderato di estrazione borghese dello schieramento rivoluzionario. Sostenitori delle libertà civili e individuali nonché tenaci difensori della proprietà privata erano convinti che attraverso la propagazione delle idee illuministiche la società francese e in genere tutta l’umanità avrebbero potuto rinnovarsi radicalmente. La loro azione politica fu volta a consolidare, anche attraverso la guerra della Francia contro l’Europa realista, l’alleanza tra la nuova monarchia costituzionale francese sorta con la Rivoluzione e la Rivoluzione stessa eliminando nel contempo le tendenze estremiste, da quelle popolari a quella rappresentata dalla Montagna. Tuttavia l’esito negativo, nonostante alcune vittorie, del conflitto armato voluto contro l’Europa, il tentativo fallito di salvare il re Luigi XVI dalla pena capitale e la strenua difesa della proprietà privata in un momento di guerra e di carestia finirono per porre i girondini in una situazione politica estremamente critica tanto che tra la fine di maggio e l’inizio di giugno 1793 furono messi fuori gioco e dispersi dalla Montagna alleata con il movimento rivoluzionario popolare. Per sfuggire al patibolo, molti girondini si rifugiarono proprio in Normandia, dove trovarono un ambiente borghese che li accolse favorevolmente e dove iniziarono a svolgere un’intensa propaganda contro la radicalizzazione del moto rivoluzionario il quale aveva il suo fulcro e il suo emblema nella personalità complessa e bizzarra di Jean Paul Marat. Rapidamente i centri abitati della Normandia divennero teatro dei comizi dei girondini che affissero sui muri delle abitazioni tantissimi manifesti contro colui il quale era il loro acerrimo nemico: «Che cada la testa di Marat e la Repubblica sarà salvata!», «Marat è un assassino! Purifichiamo la Francia da quest’uomo assetato di sangue», «Marat vede la salute pubblica solo in un fiume di sangue, ebbene allora che scorra il suo perché deve cadere la sua testa per salvarne altre duemila».
Charlotte Corday assistette a molti dei comizi tenuti dai girondini e li frequentò assiduamente ascoltando le loro testimonianze su quanto accadeva a Parigi e nel resto della Francia. Ebbe anche modo di leggere ciò che Marat scriveva nel suo giornale L’Ami du peuple (L’Amico del popolo) comprendendo così di avere dinanzi a sé un misogino, un tiranno, un folle sanguinario: «Le donne e i bambini non devono prendere parte alle decisioni perché sono rappresentati dai capi di famiglia», «La libertà non può essere concessa a tutti; io non sono uno di quelli che reclamano l’indefinita libertà delle opinioni», «Per difendere il suo avvenire l’uomo ha il diritto di attentare alla proprietà, alla libertà, alla vita stessa dei suoi simili; per sottrarsi all’oppressione ha il diritto di opprimere, incarcerare, massacrare».
Charlotte alla fine si convinse anche di essere investita da una sorta di richiamo divino e che come Giovanna d’Arco, personaggio come abbiamo detto molto adorato in Normandia, aveva liberato il popolo francese dall’oppressione inglese così lei lo avrebbe liberato da un demagogo folle e sanguinario.

Il giorno fatale

L'assassinio di Marat, di di Jean-Joseph Weerts

L’assassinio di Marat, di Jean-Joseph Weerts

        Il 9 luglio 1793 Charlotte Corday lasciò Caen per recarsi a Parigi ben decisa a compiere la sua missione. Giunse nella capitale l’11 luglio prendendo alloggio all’Hotel de la Providence. Il viaggio era stato organizzato da alcuni girondini rifugiatisi in Normandia con il pretesto di richiedere al Ministero degli Interni alcuni documenti utili per un’amica della stessa Corday. Il 12 luglio Charlotte venne a sapere che Marat era a casa malato e che da qualche tempo non prendeva più parte alla vita politica. Dovette così trovare una scusa per farsi ricevere dal leader rivoluzionario nella sua abitazione. La mattina del 13 luglio gli scrisse una breve lettera, che lasciò direttamente nella cassetta postale, e con la quale gli chiedeva di poter essere ricevuta: «Vengo da Caen; il vostro amore per la Patria mi fa presumere che conoscerete con piacere gli sfortunati avvenimenti di questa parte della Repubblica. Mi presenterò a casa vostra verso l’una, abbiate la bontà di ricevermi e di accordarmi un momento della vostra attenzione. Vi darò l’opportunità di rendere un grande servizio alla Francia».
In quella stessa mattina Charlotte si recò alle Gallerie del Palais Royal, il centro commerciale parigino, dove acquistò, senza peraltro destare alcun sospetto, un lungo e affilato coltello con il manico d’ebano e anche un cappello nero con nastrini verdi per nascondere, almeno in parte, il volto. Non avendo poi ottenuto nessuna risposta da parte di Marat decise allora di scrivere una seconda lettera dal contenuto più pregnante al fine di stuzzicarne la curiosità e farsi così ricevere. «Vi ho scritto questa mattina, Marat; avete ricevuto la mia lettera? Non posso crederlo, poiché mi si rifiuta la vostra porta. Spero che domani mi accorderete un incontro. Ve lo ripeto, arrivo da Caen; devo rivelarvi segreti importantissimi per la salvezza della Repubblica. Peraltro sono perseguita per la causa della libertà. Sono sfortunata; è sufficiente che io lo sia per aver diritto al vostro patriottismo».
A differenza della prima lettera Charlotte portò la seconda con sé, insieme al coltello che aveva nascosto nel seno, direttamente a casa di Marat, sita al civico 18 di Rue des Cordeliers, nel tardo pomeriggio del 13 luglio senza neppure aspettare, come aveva invece scritto, il giorno successivo. Ad accoglierla ci fu Catherine Evrard che insieme alla sorella Simonne vegliavano con passione e fanatismo sul capo rivoluzionario, fra l’altro prossimo alle nozze proprio con Simonne la quale, per parecchio tempo, era stata la sua amante. Era presente anche Albertine, una delle sorelle di Jean Paul, mentre un’altra sorella, Marianne, era fuori casa. Ci fu un breve diverbio tra Charlotte e Albertine: la prima chiedeva con insistenza di poter parlare con Marat mentre la seconda si rifiutava di far entrare un’estranea. Alla fine Albertine, obbedendo all’ordine perentorio del fratello ai cui orecchi era giunto il breve alterco tra le due donne, la fece entrare e l’accompagnò nella stanza dove si trovava Jean Paul, lasciando però la porta socchiusa per coglierne la più breve parola o il più piccolo movimento. Le due donne che avevano avuto contatti con la Corday non pensarono minimamente di perquisirla.
La stanza era debolmente illuminata. Marat stava immerso in una singolare vasca a forma di scarpa colma di acqua calda per alleviare il tormento provocato dalla devastante forma di dermatite seborroica che lo affliggeva. Anche in un momento così particolare non rinunciava, com’era sua abitudine, a scrivere tanto che davanti a sé aveva posizionato una mensola di legno grezzo sulla quale c’erano una penna, un calamaio, lettere e fogli manoscritti. Fisicamente si presentava piuttosto magro con la testa avvolta in un logoro straccio e la pelle che emanava un cattivo odore, insomma una persona sofferente ben diversa dall’immagine del mostro che Charlotte aveva pensato di incontrare. La giovane consegnò la sua seconda lettera a Marat che la lesse rapidamente, facendole poi alcune brevi domande sulla situazione politica della Normandia. A queste domande Charlotte dette risposte concilianti volte a elogiare la politica sanguinaria del leader rivoluzionario che le chiese poi i nomi dei girondini rifugiatisi a Caen. La Corday fece tali nomi che Marat annotò su un foglio, asserendo subito che nell’arco di otto giorni sarebbero finiti tutti sulla ghigliottina. Quest’ultima frase infiammò Charlotte che con una rapidità fulminea estrasse il coltello che portava in seno e con grandissima forza lo conficcò fino al manico sotto la clavicola destra di Marat squarciandogli la carotide. Immediatamente dopo lo estrasse grondante di sangue dal corpo dell’uomo lasciandolo cadere ai suoi piedi. Marat fece solo in tempo a dire pochissime parole, lanciò un urlo, poi spirò. Un certo Laurent Basse, che era in una stanza vicina, si precipitò in quella dove era avvenuto il delitto e colpì con una seggiola la Corday, la quale era rimasta immobile davanti a una finestra senza cercare minimamente di fuggire. Charlotte cadde sul pavimento cercando però di rialzarsi, tuttavia Basse l’afferrò per la vita e la scaraventò di nuovo a terra tenendola questa volta bloccata sotto le ginocchia. Pochi attimi dopo entrarono anche le sorelle Evrard ed Albertine le quali, letteralmente sconvolte, presero il corpo di Marat ormai senza vita e lo adagiarono sul suo letto provvedendo poi a informare dell’accaduto alcune guardie nazionali che si trovavano nei dintorni e che procedettero immediatamente all’arresto della Corday.

Il processo e l’esecuzione

Charlotte Corday, di Arturo Michelena

Charlotte Corday, di Arturo Michelena

        Charlotte Corday venne condotta dalle guardie nazionali all’Abbaye, la prigione più vicina all’abitazione di Marat, per essere interrogata. Perquisita, le fu trovato indosso un foglio manoscritto piegato in otto parti contente l’Appello ai francesi amici della legge e della pace da lei stessa redatto:

«Ai francesi amici della legge e della pace. Fino a quando, o sfortunati francesi, vi compiacerete dei problemi e della divisione? Già per troppo tempo dei faziosi, degli scellerati hanno messo l’interesse delle loro ambizioni al posto dell’interesse generale; perché, vittime del loro furore, vi annientate da voi stessi per perseguire il desiderio della loro tirannia sulle rovine della Francia?
Le fazioni scoppiano da tutte le parti, la Montagna trionfa grazie al crimine e all’oppressione, i mostri alimentati dal nostro sangue conducono questi detestabili complotti. […] Noi lavoriamo per la nostra disfatta con più zelo ed energia di quanta ne abbiamo usata per conquistare la libertà! O francesi, ancora poco tempo e non resterà che il ricordo della vostra esistenza!
Già i dipartimenti indignati marciano su Parigi, già il fuoco della discordia e della guerra civile abbraccia la metà di questo vasto impero; esiste ancora un mezzo per comprenderlo, ma questo mezzo deve essere pronto. Già il più vile degli scellerati, Marat, il cui solo nome è l’emblema di tutti i crimini, cadendo sotto il ferro vendicatore, indebolisce la Montagna e fa impallidire Danton, Robespierre e tutti questi altri briganti seduti sul trono sanguinante circondati dal fulmine che gli dei vendicatori dell’umanità sicuramente non sospendono per rendere la loro caduta più eclatante e per colpire tutti quelli che saranno tentati di costruire la loro fortuna sulle rovine dei popoli abusati!
Francesi! Voi conoscete i vostri nemici… Alzatevi! Marciate! Che la Montagna annientata non abbia più fratelli, né amici! Ignoro se il cielo ci riserva un governo repubblicano, ma non può donarci un montagnardo per capo, se non altro per l’eccesso delle sue vendette. […] O Francia! Il tuo riposo dipende dall’esecuzione delle leggi; non ho nuociuto affatto uccidendo Marat: condannato dall’universo, lui è fuori dalla legge. Quale tribunale mi giudicherà? Se sono colpevole, Alcide lo era allora quando distruggeva i mostri! […]
O mia patria! Le tue disgrazie mi spezzano il cuore; non posso offrirti che la mia vita! E rendo grazie al cielo della libertà che ho nel disporne; nessuno perderà nulla con la mia morte; non mi ucciderò. Io voglio che il mio ultimo respiro sia utile ai miei concittadini, che la mia testa portata attraverso Parigi sia un segno di ripresa per tutti gli amici della legge! Che la Montagna vacillante veda la sua sconfitta scritta col mio sangue! Che io sia la loro ultima vittima e che l’universo vendicato dichiari che io ho ben meritato la mia umanità! Del resto, se si volesse vedere la mia condotta in un’altra ottica, me ne preoccuperei poco.
Che all’universo sorpreso questa grande azione sia oggetto d’orrore o d’ammirazione. Il mio spirito, poco interessato di vivere nella memoria, non considera affatto il rimprovero o la gloria. Sempre indipendente e sempre cittadina, il mio dovere mi basta, tutto il resto è niente. Forza, dovete pensare solo a uscire dalla schiavitù!
La mia famiglia e i miei amici non devono inquietarsi, nessuno conosceva i miei progetti. Allego il mio estratto di battesimo per mostrare come la più debole mano può essere guidata dalla completa devozione. Se non riuscissi nella mia impresa, francesi, Vi ho mostrato la strada, voi conoscete i vostri nemici. Alzatevi! Marciate! Colpite!»

        Il 16 luglio Charlotte venne trasferita alla prigione della Conciergerie, dove scrisse una lunga lettera al padre per spiegargli il motivo del suo atto:

        «Perdonatemi, mio caro papà, di aver disposto della mia esistenza senza il vostro permesso. Ho vendicato delle vittime innocenti e ho evitato altri disastri. Il popolo, un giorno non più abusato, si rallegrerà di essersi liberato di un tiranno. Se vi ho fatto credere che sarei andata in Inghilterra, è perché speravo di mantenere l’incognito, ma ne ho riconosciuto l’impossibilità. Spero che non vi tormenterete. In ogni caso, credo che avrete dei difensori a Caen. Io ho scelto un avvocato, ma un tale attentato non permette difesa, è solo per formalità. Addio, mio caro papà, vi prego di dimenticarmi o piuttosto di volermi raggiungere nella mia sorte, poiché per questa causa ne vale la pena. Abbraccio mia sorella che amo con tutto il cuore e la mia famiglia. Non dimenticate questo verso di Corneille: il crimine fa la vergogna e non il telaio! Sarò giudicata domani alle otto. Questo 16 luglio».

        Il 17 luglio, di mattina presto, Charlotte fu condotta davanti al Tribunale Rivoluzionario alle cui domande rispose con serenità, fermezza e orgoglio senza mai abbassare lo sguardo:
«Quali erano le vostre intenzioni uccidendo Marat?»
«Di far cessare i torbidi della Francia».
«Ed era da molto tempo che avevate formato questo progetto?»
«Dopo l’affare del 31 maggio, giorno delle proscrizioni dei deputati dal popolo [i girondini N.d.A.]».
«È dunque dai giornali che avete saputo che Marat era un anarchico?»
«Si, sapevo che egli turbava la Francia… Ho ucciso un uomo per salvarne centomila, uno scellerato per salvare degli innocenti, una bestia feroce per dare pace al mio paese. Ero repubblicana prima della Rivoluzione e l’energia non mi è mai mancata».
La giuria del Tribunale Rivoluzionario, dopo aver proceduto alla lettura della lettera che Charlotte aveva destinato al padre, ne riconobbe la colpevolezza e l’accusò di aver commesso un assassinio con intenzioni premeditate. Fattale indossare l’abito rosso riservato ai parricidi – Marat era considerato un padre della Rivoluzione – la giovane venne condotta alla ghigliottina sotto una pioggia scrosciante nella prima mattina di quello stesso 17 luglio. Le testimonianze dicono che salì da sola, senza l’aiuto del boia e dei suoi uomini, le scalette che la portavano faccia a faccia con la ghigliottina, che da sola si stese a pancia in giù sulla tavola basculante e che da sola infilò la testa nella lunetta. Un aiutante del boia, terminata l’esecuzione, schiaffeggiò la testa della Corday sulla quale, secondo talune testimonianze, apparve immediatamente un’espressione di profondo sdegno.

Per saperne di più
A. De Lamartine, Storia dei Girondini, Napoli, 1849
P. Déterville, De la Normandie à Paris… Charlotte Corday. Itinéraire d’une courte vie, Nonant, 2006
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
G. Mazeau, Charlotte Corday et la Révolution française en 30 questions, La Crèche, 2006
F.-A.-M. Mignet, Storia della Rivoluzione francese dal 1789 al 1814, trad. it., Firenze, 1928