Cattedra: Tornare a parlare di Economia, di Politica e di Mafia. Quasi un imperativo categorico

di Paolo M. di Stefano -

In pratica, a molti – forse troppi – il legame appare scontato. Economia, Politica e Mafia sembrano avere, almeno nell’immaginario collettivo, legami inscindibili quanto inevitabili. E non è rara la generalizzazione: tanto, la mafia è dappertutto. Non c’è niente da fare. Con il risultato di una rassegnazione diffusa, da un lato, e un’indignazione peraltro contenuta dall’altro, da parte di tutti coloro che mafiosi non sono e che ritengono che la mafia vada combattuta.
A tutti i livelli.
Con tutti i mezzi.

Il che genera veri e propri eroi, i quali mettono in gioco la propria vita in tutti i suoi aspetti pur di cercare (almeno) di ridimensionare il potere che le mafie di ogni genere sembrano possedere ed esercitare senza andar troppo per il sottile.

Don Aniello Manganiello è l’ultimo – in termini di tempo – che, pur di difendere i più deboli, sta assaporando la fatica di “fare del bene” anche contro coloro che dovrebbero aiutarlo e – di più! – la cui esistenza si giustifica proprio per la difesa dei deboli, la ricerca e il perseguimento della giustizia sociale, del bene comune. E come altri prima di lui, don Aniello dedica tutto se stesso a cercar di riscattare “la sua gente” dallo strapotere della camorra.
E questo fa come può. Forse, ancora al di là delle sue possibilità.
A Scampia, Napoli.
Un prete scomodo, che la camorra lascia vivere forse (è una mia opinione) perché consapevole – la camorra – della solitudine e della debolezza dell’uomo e del sacerdote. Il quale, forse, se fosse riuscito ad ottenere, l’appoggio incondizionato delle gerarchie ecclesiastiche, sarebbe già stato ucciso. Per ora, grazie a Dio, è vivo e attivo. Tra l’altro, sono suoi due titoli importanti: Gesù è più forte della camorra – il primo – e Legalità e Scrittura, l’altro, uscito in questi giorni, scritto con Mino Grassi, giornalista ed editore, nell’ambito di un ambizioso e innovativo progetto per allontanare i giovani dalla seduzione della camorra.
E Chiavari e La Tigulliana hanno cercato di dargli una voce ulteriore in una serata dedicata al tema della legalità e dell’impegno civile.

I risultati del dibattito sono stati più che interessanti. Non a caso il pubblico ha ascoltato ed è intervenuto con domande e proposte e testimonianze per oltre tre ore, fatto assolutamente straordinario per incontri di questo tipo.
E non a caso, ben presto sono venuti alla luce i legami tra “mafie”, politica ed economia.

Anzitutto, le mafie. Sembrano, le mafie di ogni tipo, le sole imprese italiane ad aver compreso fino in fondo il significato di quella “piramide” di Maslow a tutt’oggi il più valido tentativo per descrivere i bisogni, le loro priorità, i relativi comportamenti e via dicendo. Tanto è vero che le mafie attingono ai bisogni di sopravvivenza ed a quelli di sicurezza – che sono alla base – prima che a quelli di accettazione, di affermazione e di autorealizzazione, pur senza escluderli, ovviamente. Così che si fa pagare la sopravvivenza e la sicurezza alla base più numerosa della gemella piramide delle categorie socio-economiche, e questo fa in uno con l’aiuto all’affermazione sociale e all’autorealizzazione, garantite in cambio di favori ottenuti o da ottenere. Dalla promessa ed attuata soddisfazione dei bisogni relativi alla sopravvivenza ed alla sicurezza, le mafie ottengono direttamente ed immediatamente una parte non trascurabile delle risorse; dalla soddisfazione dei bisogni di affermazione e di autorealizzazione, l’esercizio del potere necessario alla vita ed alla progressiva conquista delle ricchezze per quella parte che dipende da chi il potere formalmente possiede ed esercita per intercessione delle mafie stesse.
Con in più il vantaggio di apparire il meno possibile in una realtà che alle mafie si oppone (o cerca di farlo) soprattutto invocando un sistema di “legalità”, il quale a sua volta è la difesa da parte della comunità vincente nei confronti di una concorrenza che ha scelto, forse perché minoritaria, di apparire il meno possibile.

Il vantaggio delle mafie di fronte allo Stato consiste proprio nel fatto che le mafie almeno in apparenza sono più piccole e meno generaliste. Ciò rende il contatto delle mafie con “la base” più diretto, immediato e concreto di quanto non sia possibile allo Stato. Ogni mafia garantisce ai propri affiliati una tangibile difesa degli interessi di ciascuno ed una altrettanto tangibile soddisfazione dei bisogni più immediatamente avvertiti, ivi compreso quello di “distinguersi ed esser qualcuno e dunque disporre di un potere avvertito e riconosciuto” nella comunità. Che da Maslow è titolato come risposta ai bisogni di riconoscimento, di affermazione e (anche) di autorealizzazione.

Dal dibattito di Chiavari io ho tratto alcuni “temi” ai quali mi auguro ognuno di noi voglia dedicare qualche approfondimento.

Definire le mafie è il primo passo da compiere. E si scoprirà che non saranno poche le sorprese.

Scrisse Leonardo Sciascia: “La più completa ed essenziale definizione che si può dare della mafia crediamo sia questa: la mafia è una associazione per delinquere, coi fini di illecito arricchimento per i propri associati, che si impone come intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato”. (Salvatore Scarpino, Storia della mafia, Fenice 2000, 1994, pag. 15).

Le analisi moderne del fenomeno la considerano, prima ancora che una organizzazione criminale, un sistema di potere fondato sul consenso sociale che la legittima in qualche modo; ciò evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto nei proventi delle attività illegali, quanto sul consenso e la simpatia della popolazione e sulle intese e collaborazioni con funzionari ed istituzioni dello Stato, con i politici, nonché del supporto sociale.

Di conseguenza, il termine viene spesso usato per indicare un modo di fare o meglio di organizzare attività illecite. Le organizzazioni appartenenti al genere hanno una propria e tipica struttura, e spesso adottano comportamenti basati su di un modello di economia statale, ma è parallela e sotterranea. L’organizzazione mafiosa trae profitti e vantaggi da numerosi tipi di attività criminali. (Wikipedia)

In estrema sintesi, questi.

Premesso che

1. Le mafie esistono;
2. le mafie operano al fine di soddisfare i propri bisogni e affermare gli interessi di cui sono portatrici;
3. le mafie operano secondo principi che sono propri di una economia ispirata ad un concetto di libertà come assenza di ogni e qualsiasi limite alla affermazione di sé;
4. le mafie si organizzano secondo un principio di autorità “ultimo” ed “assoluto”;

premesso questo, dicevo, è da notare come tutti e quattro questi “capitoli” siano in sé identici a quelli cui ciascuno di noi si ispira, ed ai quali si ispira ogni organizzazione in quanto “individuo”, Stato compreso.

La sola differenza sta, probabilmente, nel limite all’uso dei mezzi ritenuti idonei a raggiungere gli obbiettivi.
E dunque in una diversità della cultura che anima le persone ed i gruppi.

E la diversità si sostanzia (almeno)

1. nella struttura della scala dei bisogni e dunque nelle priorità, oltre che nel modo di essere di ciascun bisogno;
2. nella formazione delle decisioni relative alla soddisfazione dei bisogni ed alla tutela degli interessi, in termini di “modi di mettersi in relazione con gli altri”, individui singoli così come organizzazioni;
3. nel modo di intendere la libertà;
4. nello strutturare i rapporti tra democrazia e autorità, tra politica ed economia;
5 nel riferimento a sistemi giuridici ed etici diversi.

 Ragionar di mafie

Credo che per “ragionar di mafie” occorra esser d’accordo su alcuni elementi di base.
Segnatamente questi:

  • Il profitto e la “utilità sociale” non sono antitetici, bensì i due lati di una stessa medaglia, quella della “utilità”, che nel primo caso “profitto” considera l’utilità essenzialmente “privata”, quella prodotta dagli operatori economici principalmente nell’interesse “proprio”; l’utilità sociale è invece riferibile ad un “gruppo” ed è diversa da quella privata proprio perché diretta a cancellare stati di penosità riferibili ad un’entità “collettiva” e dunque simili ma non eguali a quelli di cui è portatore il singolo. Inutile ricordare che tra la soddisfazione di bisogni individuali e soddisfazione di bisogni collettivi esiste un’ampia zona grigia nella quale le due realtà di “stati di insoddisfazione” si confondono e necessitano quindi di un’intermediazione. E privato significa riferito ad un soggetto singolo o collettivo in quanto tale; pubblico, significa riferito alla comunità.
  • Fine ultimo (“causa”) delle mafie è conquistare quanto più è possibile di ricchezze e di potere. Ricchezza e potere sono due elementi divenuti inscindibili, ammesso e non concesso che sia esistito un tempo in cui si poteva essere ricchi senza disporre di potere ed esser potenti senza disporre di ricchezza. Anche se a fil di logica è ipotizzabile il detenere il potere senza disporre di ricchezze adeguate, così come lo è l’avere a disposizione risorse ingenti senza esser potenti.
  • E’ anche importante sottolineare che “legalità” e “illegalità” significano soltanto che il comportamento sotto giudizio è consentito – obbligato, non proibito, non considerato, permesso – dalle leggi vigenti (legale) oppure non lo è (illegale).
  • Non è facile stabilire, tra potere e ricchezza, una priorità, neppure temporale, seppur sia possibile immaginare che il primo uomo che si è appropriato del pezzo di terra su cui viveva – e dunque di una “ricchezza”, e questo per una sorta di “diritto di nascita” (che tra l’altro sta all’origine dello jus soli – abbia esercitato almeno entro quei confini un “potere” derivante dall’essere quel territorio e il suo contenuto (fatto di frutti della terra e di donne e figli) “di sua proprietà, mio” e lo abbia esercitato, quel potere, anche estendendolo alla “difesa” dal vicino. Il che, forse, almeno nel tempo pone la ricchezza prima del potere.
  • È anche possibile immaginare che l’esercizio del potere sulla terra, sugli animali, sulle mogli e sui figli sia stato un derivato dell’obbiettivo di “produrre” ricchezza in grado sempre maggiore e di “difenderla” a beneficio di se stesso, prima, e dei figli poi, e dei figli dei figli.
  • Con in più che con il crescere della famiglia ed il suo esplodere dapprima in tribù e successivamente in agglomerati diversi (non necessariamente più ampi, ma certamente più “individui”) ha imposto il procurarsi ricchezze sempre più consistenti in una con la necessità di disporre ed esercitare un potere sempre più ampio. All’interno della tribù, per mantenerla unita e per assicurare il godimento della ricchezza in modo organizzato e gerarchico; e dunque anche per organizzare gerarchicamente l’esercizio del potere conseguente, necessario alla difesa delle ricchezze esistenti ed alla “conquista” di quelle ulteriori.

Il problema della “lotta alle mafie” – se questo è vero – sembra essere per lo Stato innanzitutto un problema di “formazione”, di “cultura” dell’intera società e, per essa, della politica e dell’economia.

Non si tratta di carenza di legislazione. Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? (Dante, Purgatorio, canto 16), e in Italia di tutto ci si può lamentare meno che della mancanza di leggi. Ma della loro parziale o totale inefficacia, sì. E le leggi non sono inefficaci solo perché non applicate o applicate male: lo sono soprattutto perché si tratta di prodotti male progettati, peggio fabbricati e spesso ancor peggio ancora applicati. Tanto che si può parlare di scarsa qualità della legislazione e dell’amministrazione della giustizia.
E la scarsa qualità del prodotto chiamato legislazione con annessi e connessi non deriva soltanto da ignoranza o da incapacità del legislatore e per conseguenza dei giudici, bensì è il portato della “formazione” nelle scuole e negli esempi di vita individuale e sociale e quindi della “cultura” della comunità di riferimento.
Ed è la cultura generale che consente di “indirizzare” l’interpretazione delle leggi e dalla loro interpretazione dipende l’intera amministrazione della giustizia, oltre che “il modo di essere” della burocrazia. Corollario: le leggi devono essere prodotte in modo tale da ridurre al minimo la necessità o la possibilità di interpretazione; gli “interpreti” devono esser dotati della cultura necessaria per “leggere” il vero significato delle norme.
E quella che oggi si chiama “interpretazione autentica” potrebbe costituire un passo avanti non indifferente se ogni norma ne fosse accompagnata.
Che è anche una questione di comunicazione, così come accade per qualsiasi altro prodotto: se la comunicazione è carente o distorta, il prodotto nella migliore delle ipotesi “vale di meno” ed è “meno ricercato, meno richiesto, meno accettato”; nella peggiore, è fuori dal mercato, non è in grado di essere oggetto di scambio.

Per il prodotto chiamato “Stato” comunicare ha la stessa valenza. In quanto soggetto attivo, è assolutamente necessario che lo Stato si comunichi per quello che è, si descriva alla società di riferimento e ciò faccia usando tutte le argomentazioni di vendita opportune; in quanto “produttore e distributore di beni e servizi”, lo Stato ha l’interesse – che è poi un obbligo preciso – di utilizzare al meglio la comunicazione per ciascuno dei suoi prodotti. Si tratta di un’altra necessità assoluta se si vuole veramente tentare di sradicare le mafie, le quali si pongono come alternative allo Stato, non solo, ma giungono fino all’utilizzarlo quale mezzo non secondario per il raggiungimento dei propri fini. Significa (anche) che ogni punto di debolezza dello Stato può divenire punto di forza della mafia.

E allora ecco anche l’estrema attenzione che lo Stato deve porre nella propria organizzazione e nella formazione dei suoi dirigenti, dei suoi funzionari, dei suoi impiegati, di tutti i suoi collaboratori.
A questo proposito, un possibile passo potrebbe esser costituito da una legge (ben fatta!) sulle incompatibilità: forse, le mafie incontrerebbero maggiori difficoltà nel penetrare i gangli centrali e periferici e quindi nell’utilizzare lo Stato e la sua burocrazia quale fonte di potere e di ricchezza. Naturalmente, le incompatibilità dovrebbero riguardare tutti i settori e non dovrebbero esistere eccezioni di sorta.
Che non sarà facile: si pensi alla rivolta che si avrebbe nelle università se si stabilissero le caratteristiche di un’incompatibilità parentale per l’accesso alle cattedre. E non è che un esempio minimo, quasi trascurabile. Moltiplicate le incompatibilità per tutti i settori di interesse e…
Non oso neppure immaginarlo ma, per fortuna, io non sono il Presidente del Consiglio e neppure un Ministro. Per la scelta di questi ultimi, non si potrebbe valutare prima tutta l’attività del candidato e trarne le conclusioni più adatte? Ancora una volta, non è che un esempio.

 Per annullare le mafie (meglio: per cercare di ridurre al minimo possibile il fenomeno mafioso) è necessario rivedere “la comunicazione e l’insegnamento” e dunque “la cultura” di quella che noi chiamiamo “la gente”, di ciascuno di noi che “siamo la gente”, in tutti indistintamente gli scambi di cui siamo protagonisti.
E allora una possibile scaletta delle materie da approfondire per stilare un piano di gestione della lotta alle mafie potrebbe partire dall’insegnare:

  • che la libertà ha limiti precisi, e che questi limiti sono individuabili ed invalicabili;
  • che in particolare nel mondo dell’economia, i limiti sono la sostanza della produzione, dell’uso e della distribuzione della ricchezza;
  • che l’eccesso è sempre causa si malfunzionamento e di malattia del sistema nell’ambito del quale si verifica. Il sistema economico, ad esempio, è in crisi soprattutto (esclusivamente?) per eccesso di libertà e per l’uso scorretto di essa;
  • che ogni gruppo sociale è un soggetto portatore di bisogni. Ciascun individuo ha bisogni diversi da quelli del gruppo sociale cui appartiene, così come da quelli di ogni altro individuo, ma ciascun bisogno individuale concorre a descrivere l’area di bisogno specifico della società. Così, la categoria dei bisogni di sopravvivenza dello Stato (o di un Comune, di una Regione, di un’impresa) è certamente diversa da quella del singolo, e dunque, occorre avere ben chiaro di quali bisogni lo Stato è portatore, con quale ordine di priorità, al fine di individuare l’azione che lo Stato è chiamato a compiere per la “propria” sopravvivenza, con questo garantendo anche quella o parte di quella dei singoli cittadini;
  • che l’individuo in quanto parte di una società ha il dovere di anteporre il bene “del genere umano” a quello di sé e dei suoi e di comportarsi in conseguenza. E che il bene “del genere umano” passa per una serie di comportamenti che possono anche significare il sacrificio di alcuni dei bisogni individuali;
  • che la Politica è la gestione della cosa pubblica nell’interesse della società e quindi finalizzata a procurare beni e servizi adatti a soddisfare i bisogni della comunità, in una con i bisogni degli individui. E come tale,
  • che la Politica è materia di insegnamento e di specializzazione professionale. La “pratica” è cosa talvolta buona, ma in Politica – così come nell’economia, nell’avvocatura, nella medicina, nel notariato, nella gestione d’impresa, nell’insegnamento di ogni ordine e grado, nei “mestieri” più strettamente tecnici – non è sufficiente: occorre una solida preparazione teorica;
  • che l’Economia lo è a sua volta, e che non si tratta di qualcosa che nulla ha a che vedere con l’etica, con la morale, con il diritto, bensì di una disciplina e di una pratica complessa che ha il compito di rispettare Etica e Diritto nella produzione e nella distribuzione della ricchezza;
  • e che anche il Diritto lo è e che “produrre, comunicare e scambiare” norme di legge è nobile quanto complessa funzione che deve essere svolta da persone ed enti assolutamente preparati, in ogni aspetto della materia.

Tutte materie da specialisti, – queste e le altre cui non abbiamo potuto neppure far cenno – e dunque che realizzano la professionalità dei legislatori, degli economisti, dei giuristi, e dei “maestri”.
E tutte materie che sono alla base della cultura – della educazione, della formazione, dell’aggiornamento – di ciascuno di noi.
Maggiore è la professionalità dello Stato nel gestire i rapporti di cui è parte, minore è lo spazio che si lascia ad organizzazioni alternative.

Infine, un cenno particolare alla situazione economica.
L’Italia sembra sia in recessione e sotto gli effetti malvagi della deflazione. Che a me sembra un implicito riconoscimento che un sistema economico che ha bisogno di inflazione per vivere e svilupparsi è un sistema malato.
E che cercar di rilanciare un sistema malato senza averlo guarito è quanto meno azzardato.