BABEUF, UN CONGIURATO “COMUNISTA” NELLA RIVOLUZIONE

di Giancarlo Ferraris –

 

Uguaglianza politica e sociale, abolizione della proprietà privata, comunione dei beni e dei frutti del lavoro. Questo il programma babuvista – diffuso con strumenti da AgitProp – per scavalcare a sinistra il Direttorio e incendiare l’Europa…

Una società ancora feudale

François-Noël Babeuf detto anche Gracchus Babeuf, rivoluzionario francese della prima ora (ma potremmo dire anche dell’ultima ora), ebbe un destino storico e politico particolare: non partecipò a nessun grande evento della Rivoluzione, non appartenne a nessun importante schieramento politico del tempo, conobbe alcune vicissitudini giudiziarie nelle quali non sempre è agevole distinguere le accuse legali da quelle politiche, capeggiò una congiura contro il Direttorio, il governo della Francia subentrato a quello giacobino, che venne facilmente scoperta e soffocata nel sangue dopo di che finì ghigliottinato.
François-Noël Babeuf nacque il 23 novembre 1760 a San Quintino, città della regione della Piccardia, nella Francia del Nord. Apparteneva ad una famiglia della piccola borghesia povera, classe sociale molto vicina a quella dei lavoratori non proprietari dalla quale però si distingueva per una maggiore cultura, per la volontà di emergere e per un notevole impegno politico favorito dai lenti, ma inarrestabili mutamenti che stavano accadendo nella società francese del Settecento. Grazie agli insegnamenti del padre Claude acquistò una buona conoscenza nel campo della legislazione fiscale, che gli permise di entrare ancora giovane al servizio di alcuni signori del luogo, imparando così a conoscere e a disprezzare la piccola nobiltà di provincia vorace e ignorante. Nel 1780, sul letto di morte, Claude fece prestare al figlio François-Noël un singolare giuramento: «Tu sarai un nuovo Caius Gracchus».
Rimasto orfano del padre, François-Noël, appena ventenne, dovette prendersi cura della sua numerosa famiglia. Nel 1782 sposò Marie Anne Victorie Langlet, ex-cameriera di una nobildonna presso cui aveva lavorato e dalla quale ebbe cinque figli. Con la sua nuova famiglia si stabilì nella cittadina di Roye, sempre in Piccardia, dove, dopo aver acquisito da autodidatta le necessarie conoscenze tecniche, giuridiche ed economiche, fondò il giornale Le Correspondant Picard che ottenne un certo successo e pubblicò opuscoli e libelli incendiari, finendo anche per essere denunciato ed incarcerato più di una volta con l’accusa di attività sovversive.
Nonostante queste vicissitudini riuscì ad aprire uno studio di commissario al Registro Catastale Agrario, professione equivalente a quella di geometra ed agrimensore. Il suo lavoro consisteva nel definire i diritti signorili, tipici di una società feudale come era ancora quella francese nella seconda metà del XVIII secolo, che gravavano sulle proprietà terriere, diritti frequentemente soggetti a prescrizioni, trascuratezze e contestazioni. In questo particolare contesto economico e sociale la nobiltà feudale, soprattutto quella piccola che Babeuf peraltro già ben conosceva, difese e rivendicò strenuamente questi diritti per fronteggiare il carico sempre maggiore di spese che doveva sostenere, generando in tal modo un processo reazionario interno al sistema feudale francese che portò alla crisi del sistema stesso e alla Rivoluzione del 1789. Lo stesso Babeuf molto tempo dopo scrisse: «Fu proprio nella polvere degli archivi signorili che scoprii i misteri delle usurpazioni della casta nobiliare».
Se in diverse regioni della Francia era in corso una sia pur limitata trasformazione capitalistica dell’economia agraria, nella maggior parte del territorio nazionale il sistema feudale non solo era ancora dominante, ma si stava addirittura rafforzando attraverso la riduzione dei cosiddetti diritti collettivi sulla terra riservati alle popolazioni rurali, come il diritto di pascolo e l’utilizzo di beni comuni, e l’accentramento delle terre in grandi possedimenti fondiari spesso lasciati incolti con la conseguente disoccupazione dei braccianti agricoli e dei contadini.

I rapporti con la cultura illuministica e il mondo accademico

francois-noel_babeufLa formazione culturale e politica di François-Noël Babeuf fu prettamente illuministica. Si sa con certezza che lesse Sulla legislazione o i principi delle leggi di Gabriel Bonnot de Mably, il Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, l’Emilio ovvero dell’educazione e il Contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau, il Codice della natura, o il vero spirito delle sue leggi, in ogni epoca sempre trascurato o misconosciuto di Étienne-Gabriel Morelly, vari scritti di Jean-Paul Marat. Particolarmente significativa, soprattutto in rapporto alla sua professione di commissario al Registro Catastale Agrario, fu la lettura dell’opera La Decima Reale scritta dal marchese di Vauban, militare ed ingegnere al servizio del Re Sole, il quale già nei primissimi anni del Settecento aveva proposto di sostituire le imposte feudali con una tassa unica, pari al dieci per cento di tutti i redditi, estesa anche alle classi sociali elevate.
Nel complesso Babeuf accolse il pensiero di Rousseau, ma non ne condivise il pessimismo, poiché era convinto che la diffusione della cultura generasse inevitabilmente il progresso umano e sociale, e neppure la componente religiosa, restando sempre un ateo ed un materialista. Le sue idee politiche si definirono poco alla volta: partito da un socialismo agrario e utopistico si mosse verso un comunismo ancora lontano da quello industriale e scientifico di Marx e di Engels, restando quindi sospeso tra le due dottrine anche perché svolse la sua azione in un contesto sociale ed economico statico, la Francia agricola di fine Settecento.
Nel 1785 Babeuf iniziò a tenere una fitta corrispondenza epistolare con l’Accademia di Arras, il cui segretario stava raccogliendo analisi concernenti la situazione delle campagne francesi e i relativi progetti finalizzati al loro miglioramento. Dimostrò con uno scritto di essere vicino alle idee di Rousseau, sostenendo che una maggiore popolazione determina l’aumento della ricchezza nazionale, in netta antitesi alla dottrina fisiocratica secondo la quale, invece, minore è la popolazione maggiore è la ricchezza nazionale. In un altro scritto dichiarò di essere sempre vicino a Rousseau per quanto atteneva all’educazione dei suoi cinque figli. Nel 1787 propose all’Accademia – la quale tuttavia non lo prese in considerazione – l’elaborazione di un nuovo Catasto Perpetuo che avrebbe permesso, nelle intenzioni del suo ideatore, di determinare con esattezza la misurazione delle proprietà terriere e conseguentemente l’imposta precisa dovuta dai possidenti alle casse statali in modo tale da tassare anche i grandi patrimoni che per la loro vastità non venivano mai misurati e restavano pressoché ignoti al fisco.
Nello stesso anno l’Accademia trasmise a Babeuf la pubblicazione di un certo avvocato Collignon di Orléans intitolata Il Riformatore del Mondo Intero. Il futuro rivoluzionario ne rimase così folgorato che nella sua lettera di risposta scrisse: «Come amo il Riformatore del Mondo Intero! È un vero peccato che egli lasci un vuoto a proposito dei mezzi [...]; per realizzare una grande rivoluzione bisogna operare grandi mutamenti [...]; tra gli uomini ci devono essere le minime differenze? La Natura [...] ha voluto che un individuo fosse nutrito, vestito, alloggiato meno bene di un altro? [...] Mi sembra che il nostro Riformatore vada oltre il Cittadino di Ginevra (Rousseau n.d.r.) [...]; come lui, sostiene che, essendo tutti gli uomini eguali, non devono possedere nulla in particolare, ma godere di tutto in comune e in modo che, nascendo, ogni individuo non sia né più né meno ricco, né meno considerato di ciascuno di quelli che lo circondano [...]».
In questa stessa lettera Babeuf si dimostrò favorevole all’adozione in tutta la Francia di un nuovo sistema legislativo per porre fine alle violazioni del diritto tipiche dei regimi feudali: «Chiunque fu meno feroce, meno astuto o più sfortunato nella lotta, finì con l’essere servo e oggetto del disprezzo altrui. Di qui, ancora, la formazione di codici bizzarri che servirono agli usurpatori come titoli che legittimavano i loro saccheggi e come irrevocabili decreti, per le famiglie vinte, di confisca delle loro proprietà [...] coloro che avevano più ascendente e preponderanza grazie alle proprie ricchezze fecero stabilire, nelle assemblee convocate per la redazione di siffatti codici, articoli a loro piacimento».
Nel 1788, nonostante gli ottimi rapporti intercorrenti, Babeuf interruppe la corrispondenza epistolare con l’Accademia di Arras di cui aveva compreso la totale inutilità dal momento che essa, nonostante le ricerche, le discussioni e i progetti, non faceva pressoché nulla di concreto.

Nella Rivoluzione

Il 17 luglio 1789, tre giorni dopo la presa della Bastiglia che com’è noto segnò l’inizio della Rivoluzione francese, Babeuf raggiunse Parigi per curare la pubblicazione del suo Catasto Perpetuo, già proposto invano all’Accademia di Arras, e questa volta destinato all’Assemblea Nazionale Costituente, il nuovo parlamento della Francia composto dai rappresentanti della nobiltà, del clero e del Terzo Stato (borghesia e classi popolari). Il Catasto Perpetuo era preceduto da una breve sintesi di rivendicazioni democratiche tra cui la richiesta di un’imposta proporzionale, l’istituzione di un fondo nazionale per l’assistenza ai poveri, l’uso del denaro pubblico per pagare i medici, i chirurghi, i farmacisti e i giudici al fine di avere le loro prestazioni professionali gratuitamente, l’elaborazione di un piano educativo nazionale.
Nell’ottobre dello stesso anno Babeuf fece ritorno a Roye, dove si batté a fondo per ottenere da parte dell’Assemblea Nazionale Costituente l’abolizione delle vecchie tasse feudali, che l’Assemblea medesima aveva mantenuto inalterate in attesa di attuare una riforma fiscale; si fece addirittura promotore di una petizione che venne sottoscritta da ben ottocento centri della Piccardia e di altri territori della Francia tanto da provocare la reazione dell’Assemblea Nazionale, la quale lo fece arrestare liberandolo però poco dopo per le pressioni di molti rivoluzionari e soprattutto del popolo. Appena rimesso in libertà Babeuf sul suo giornale Le Correspondant Picard contestò apertamente la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, il documento giuridico fondamentale della Rivoluzione francese elaborato dall’Assemblea Nazionale Costituente tra l’agosto e l’ottobre dell’89, sostenendo che alla proclamazione dell’uguaglianza giuridica tra i cittadini non aveva fatto seguito l’uguaglianza sociale poiché la Dichiarazione distingueva nettamente tra cittadini detti attivi, dotati di un reddito e del diritto di voto, e cittadini detti passivi (la stragrande maggioranza della popolazione), privi di reddito e anche del diritto di voto.
Negli anni seguenti, sostanzialmente quelli compresi tra il 1790 e il 1794 cioè fino alla caduta di Maximilien Robespierre e la fine del regime del Terrore giacobino, Babeuf visse la Rivoluzione francese a modo suo, battendosi energicamente contro il regime fiscale feudale ancora in vigore in Piccardia e proponendo la riduzione delle grandi proprietà terriere. Ciò provocò la reazione dei notabili di Roye che riuscirono a farlo arrestare e incarcerare benché per un breve periodo, facilitati anche dal fatto che Babeuf aveva commesso un’irregolarità in un atto di vendita. Non mancò di attaccare anche Robespierre al quale rimproverò di non aver saputo garantire a tutti i cittadini francesi un’educazione uguale ed un’assistenza sociale sicura.
All’inizio del 1793 Babeuf fuggì a Parigi, dove si avvicinò al movimento dei sanculotti, i rivoluzionari più radicali, ottenendo un impiego amministrativo nella sussistenza, ma per l’irregolarità commessa in precedenza fu nuovamente arrestato ed imprigionato dal novembre 1793 al luglio 1794. Tornato in libertà nell’ottobre del ‘94 fondò il quotidiano Journal de la Liberté de la Presse subito ridenominato Le Tribun du Peuple in cui, da un lato, accusò Robespierre di aver concepito un mostruoso piano di genocidio sistematico, dall’altro attaccò violentemente i termidoriani che, dopo aver abbattuto Robespierre, avevano creato un nuovo regime di privilegio. Con il suo nuovo giornale Babeuf contava anche di chiamare a raccolta tutti i giacobini superstiti contro la borghesia termidoriana che aveva conquistato il potere ed affamava il popolo di Parigi e di tutta la Francia. Nel febbraio 1795 Babeuf venne arrestato ancora una volta con l’accusa di “istigazione alla ribellione, all’omicidio e alla dissoluzione della rappresentanza nazionale”. In carcere, dapprima a Parigi poi ad Arras, tessé la Congiura degli Eguali per la quale egli è passato alla storia e conobbe altri rivoluzionari tra cui l’italiano Filippo Buonarroti, “ideologo” della sua cospirazione antitermidoriana.

La Società degli Eguali e la congiura “comunista”

Nell’ottobre 1795, uscito di prigione, Babeuf, che nel frattempo aveva deciso di chiamarsi Gracchus onorando così il giuramento prestato al proprio padre sul letto di morte, scelse di passare all’azione. Il suo giudizio estremamente negativo su Robespierre e il giacobinismo era mutato del tutto mentre il nuovo nemico da abbattere si chiamava ora Direttorio, il governo subentrato a quello giacobino dopo la caduta di Robespierre. Babeuf riteneva che il Direttorio impedisse alla Rivoluzione di continuare verso sei obiettivi fondamentali, che erano poi quelli del programma politico, economico e sociale dello stesso Babeuf: il diritto alla vita; l’uguaglianza non solo politica, ma anche e soprattutto sociale con il ripristino della Costituzione giacobina del 1793; l’abolizione della proprietà privata; la comunione dei beni e dei frutti del lavoro dell’uomo; la creazione, in linea con il pensiero di Rousseau, di un potere politico che doveva occuparsi per intero delle attività lavorative e di ridistribuire in modo equo i prodotti tra i lavoratori; la prosecuzione della politica militare già condotta dal governo giacobino nella prospettiva di una Francia repubblicana, geograficamente circondata da repubbliche sorelle libere, non vassalle e rette da ordinamenti democratici. Si trattava, quindi, di un programma “comunista” da realizzare attraverso una congiura “comunista”.
Sempre nell’ottobre del ’95, in una Parigi tormentata dall’inflazione, dalla miseria e dalla fame, attorno a Babeuf si andò raccogliendo una forte opposizione giacobina e popolare che aveva il suo luogo di incontro nel Club del Panthéon. Sul suo giornale Le Tribun du Peuple François-Noël scriveva: «La mia penna non è stata mai soltanto repubblicana, è stata e non cesserà mai di essere democratica proletaria». E ancora: «I nostri dogmi sono la democrazia pura e l’eguaglianza assoluta senza riserve».
Nel novembre, dopo essere sfuggito all’ennesimo arresto, Babeuf pubblicò il Manifeste des Plébeines (Il Manifesto dei Plebei) contenente il suo programma politico, sociale ed economico: «Instaurare l’amministrazione comune, sopprimere la proprietà privata, destinare ogni uomo di talento alla professione che gli è più congeniale, obbligarlo a depositare nel magazzino comune il frutto del suo lavoro; e creare una semplice amministrazione della sussistenza che, registrando tutti gli individui e tutte le cose, spartirà queste ultime nelle più scrupolosa uguaglianza».
La situazione economica e sociale della Francia si aggravò all’inizio del 1796. Nel febbraio il Direttorio pose un calmiere sui prezzi del pane e della carne suscitando l’aspro malcontento non soltanto delle classi popolari, ma anche della piccola e della media borghesia. L’opposizione giacobina e popolare raccoltasi attorno a Babeuf si dette allora una vera e propria organizzazione assumendo il nome di Société des Ėgaux (Società degli Eguali), che prese forma il 30 marzo 1796. A coordinare la Società degli Eguali Babeuf prepose un Comitato Insurrezionale di cui facevano parte lo stesso Babeuf con il nome di battaglia di Gracchus e, tra gli altri, l’italiano Filippo Buonarroti e il ventottenne Augustin Darthé. I componenti del Comitato Insurrezionale erano gli unici che conoscevano completamente il programma rivoluzionario della Società, di cui facevano poi parte gli agenti rivoluzionari e gli agenti militari, spesso ex-giacobini e scontenti del Direttorio, con il compito di svolgere missioni specifiche, i patrioti e le sezioni popolari che costituivano la forza d’appoggio.
Babeuf per attuare la sua congiura “comunista” contro il Direttorio mise a disposizione della Società degli Eguali una formidabile macchina propagandistica composta da tipografie clandestine che quotidianamente stampavano opuscoli e manifesti, squadre di attivisti che ogni sera coprivano i proclami del Direttorio affissi sui muri con manifesti della Società, organizzazione di riunioni nei quartieri parigini e di concerti nei caffè della città dove cantanti, come la bellissima e conosciutissima Sophie Lapierre, intonavano canzoni “sovversive”. La propaganda della Società degli Eguali si rivolgeva in particolare ai lavoratori delle manifatture industriali, agli agenti di polizia e all’esercito creando, soprattutto tra le truppe di stanza in Italia e sul Reno, un notevole fermento.
Per alcune settimane il Direttorio, pur seguendo con attenzione e preoccupazione la frenetica attività della Società degli Eguali, non intervenne poiché riteneva più pericoloso per la sua autorità il proliferare dei vari movimenti monarchici e intendeva anzi strumentalizzare a suo vantaggio l’organizzazione di Babeuf nella lotta contro i realisti. Il 10 maggio però il Direttorio, venuto a conoscenza del fatto che molti agenti di polizia erano passati dalla parte di Babeuf, decise di contrattaccare. In seguito anche ad una delazione tutti i membri del Comitato Insurrezionale della Società degli Eguali vennero arrestati. Due tentativi di liberare Babeuf e di dare corso con le armi alla congiura “comunista” furono soffocati nel sangue.
Il 20 febbraio 1797 ebbe inizio il processo a Babeuf, Buonarroti, Darthé e altri quarantatré imputati. Fu un processo lungo e movimentato, seguito, per la prima volta in Francia, da uno stenografo che registrò meticolosamente tutto il dibattimento processuale. I giudici vennero ripetutamente ed abbondantemente insultati e ricusati dagli imputati: Babeuf, nonostante le difficoltà oratorie, venne applaudito tante volte dal pubblico presente in aula per le sue appassionati autodifese; Buonarroti si distinse per la dignità con cui si difese; Darthé per il suo sdegnoso rifiuto di rispondere alle domande dei giudici. La partecipazione del pubblico al processo fu corale: la cantante Sophie Lapierre intonò, spesso, canzoni cosiddette babuviste seguita da tutti i presenti, irritando così i giudici che fecero sgombrare più volte l’aula. Il 25 maggio venne letta la sentenza: trentotto imputati furono assolti; Buonarroti e altri cinque vennero condannati alla deportazione; per Babeuf e Darthé, invece, la pena fu la morte. Dopo aver ascoltato la sentenza Babeuf e Darthé balzarono in piedi e si trafissero con dei rudimentali pugnali, il primo al petto, il secondo al ventre, ferendosi comunque non gravemente. Il 28 maggio la ghigliottina poneva fine alla vita di Gracchus Babeuf e del suo compagno d’avventura Darthé.

Per saperne di più

V. Advielle, Histoire de Gracchus Babeuf et du babouvisme, Paris, 1995
I. H. Birchall, The Spectre of Babeuf, Paris, 1997
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
F. Larue-Langlois, Gracchus Babeuf: Tribun du peuple, Paris, 2003
Ph. Riviale, La conjuration: essai sur la conjuration pour l’égalité dite de Baubef, Paris, 1994